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Abrogato il reato di abuso d’ufficio. O forse no

L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio disposto con la Legge Nordio (Legge n. 114 pubblicata nella G.U. n. 187 del 10 agosto 2024) è oggetto di contrastanti valutazioni.

La norma abrogata. –  Art. 323 del Codice Penale.

L’abuso d’ufficio è il delitto che commette il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio il quale, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. L’abuso di ufficio rientra fra i reati contro la pubblica amministrazione.

Le opinioni e i commenti

Il commento del vice Presidente ANCI, Roberto Pella

In un’intervista rilasciata al quotidiano ItaliaOggi, Roberto Pella, vicepresidente vicario dell’Anci e deputato di Forza Italia, esprime la soddisfazione da parte dei Sindaci “non per aver raggiunto un’impunità che non volevamo, ma semplicemente per essere stati messi nelle condizioni di poter lavorare in serenità, visto che in questi anno molti sindaci hanno lasciato la politica in quanto indagati per abuso d’ufficio. […] In questi anni molti sindaci hanno lasciato la politica, raggiunti da un avviso di garanzia per abuso d’ufficio. Molti amministratori hanno rinunciato a ricoprire la carica di primo cittadino proprio per paura di finire indagati.“

ANAC – Abuso d’ufficio – va precisato ma non abolito

“Se le finalità che hanno portato a intervenire sull’abuso d’ufficio sono condivisibili, la cancellazione di questo reato crea problemi: se lo abrogassimo tout court avremmo diversi vuoti normativi e un’inadempienza rispetto a vincoli internazionali”. E’ quanto ha affermato nel corso dell’audizione sulla riforma della giustizia in commissione Giustizia al Senato il Presidente di Anac Giuseppe Busìa.

“Sono giuste le finalità volte a tipizzare il reato. Con l’intervento del 2020 si è cercato di contenere e precisare la fattispecie di reato; ma per quanto il testo sia puntuale, diverse indagini sono state avviate riferendosi a violazioni di principi generali quali il buon andamento della Pubblica Amministrazione, stabilito dall’articolo 97 della Costituzione. Questo allarga eccessivamente la fattispecie, e giustifica la necessità di un ulteriore intervento normativo. Tuttavia è sbagliato abrogare come tale il reato”, ha aggiunto. 

“Innanzitutto – ha osservato Busia – ci sono rischi di incoerenza con l’ordinamento internazionale ed europeo. Con un decreto legislativo dell’ottobre 2022, abbiamo giustificato il pieno rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite e della direttiva europea sulla Protezione Interessi Finanziari, in materia di peculato, inserendo un rinvio all’abuso d’ufficio, che verrebbe meno nel caso di abrogazione. Inoltre, si creerebbero vuoti in fattispecie e in casi di violazione di legge e favoritismi in cui non vi è scambio di denaro, che non possiamo lasciare scoperti. Per esempio, l’affidamento diretto invece di fare le gare, assegnando un lucroso contratto ad un amico, andando oltre le soglie del Codice; o favoritismi nei concorsi pubblici, quando un commissario di gara fa vincere il concorso alla sua amante; o condotte prevaricatrici nella Pubblica Amministrazione, come il demansionamento di dipendenti, o il mancato rinnovo di incarichi per fini ritorsivi; abusi in sanità di operatori sanitari che dirottano verso cliniche private, come il medico che non rispetta le norme relative all’intramoenia e favorisce la sanità privata; l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi, eccetera. In molti casi si creerebbero ambiguità, con il rischio di ulteriore confusione”.

“Per non lasciare tali vuoti, sarebbe quindi doveroso, di conseguenza, intervenire su altri reati contro la Pubblica Amministrazione, con il rischio, però, di peggiorare il quadro e di squilibrare il sistema. Allora meglio limitarsi a interventi per precisare l’articolo 323 (reato d’abuso d’ufficio), evitando interpretazioni estensive. Ad esempio, escludendo punibilità per violazioni di mere norme di principio o disposizioni puramente formali”, ha sottolineato.

“Discorso analogo – ha proseguito Busia – riguarda il traffico di influenze, sul quale pure il disegno governativo interviene. Occorre valutare la coerenza della proposta normativa con i vincoli internazionali. Uno degli elementi che ha reso incerta l’applicazione, inoltre, è legato all’assenza di indicazione di cosa è lecito e cosa non lo è. Questo richiede, quindi, parallelamente un intervento normativo, una disciplina organica sui portatori d’interesse, sulle lobby, che oggi manca in Italia. Intervenire e colmare tale lacuna che il nostro ordinamento ha, sarebbe di estremo aiuto. Come pure rafforzare la normativa sulla prevenzione della corruzione, alla quale si dedica l’Anac”.

“Giustificare l’abolizione dell’abuso d’ufficio come volontà di eliminare la paura della firma – ha concluso Busia – non è del tutto corretto. Essa, infatti, solo in parte residuale deriva dal timore di essere oggetto di indagini penali. Essa è invece dovuta alla scarsa chiarezza delle disposizioni, anche amministrative, che dovrebbero definire puntualmente l’ambito della discrezionalità dei funzionari pubblici sulla quale non deve intervenire il giudice penale”. 

Il commento del presidente del Consiglio nazionale forense –  Francesco Greco

“L’abrogazione radicale dell’abuso d’ufficio, sancita dal recente ddl Nordio, rappresenta un significativo passo avanti verso una maggiore certezza del diritto. La riforma del reato, che ha sempre avuto un’ampia risonanza mediatica e residuali risvolti sul piano giudiziario, permetterà agli amministratori pubblici e ai funzionari di svolgere il proprio lavoro senza la costante minaccia di incriminazioni talvolta strumentali.”

Spunta un reato “sostitutivo”

“(…..) il governo ha fatto passare alla chetichella una misura-tampone per colmare almeno in parte il vuoto normativo che si produrrà con l’abrogazione, accogliendo la moral suasion del Quirinale e allontanando il rischio di una procedura d’infrazione europea. Nel decreto-legge dedicato alle carceri è stata infilata l’ennesima nuova fattispecie di reato, chiamata “indebita destinazione di denaro o di cose mobili“: uno stratagemma per salvaguardare la punibilità del cosiddetto “peculato per distrazione“, cioè – semplificando al massimo – il reato del pubblico ufficiale che regala soldi pubblici agli amici. Infatti il peculato “classico”, previsto dall’articolo 314 del codice penale, punisce solo il funzionario che “si appropria” di denaro o altri beni pubblici, mentre chi li destina illegalmente a qualcun altro – un amico, un amante, un vicino di casa, un sostenitore politico – è punibile a titolo di abuso d’ufficio. Così, per evitare che i dipendenti pubblici realizzassero di poter fare “regalini” a destra e a manca senza rischiare nulla sul piano penale, l’esecutivo si è inventato la nuova fattispecie ad hoc, inserita subito dopo il peculato all’articolo 314-bis del codice. Eccola: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina a un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni“.

La sovrapponibilità del nuovo reato all’abuso d’ufficio evidente già dal lessico: la norma, infatti, copia le espressioni dell’articolo 323 del codice, citando le “specifiche disposizioni di legge” da cui non devono “residuare margini di discrezionalità” e l’”intenzionalità” del vantaggio o del danno procurato. Eppure il Guardasigilli Carlo Nordio nega l’evidenza: “È un’ipotesi completamente diversa. È diverso il bene protetto, qui si parla di distrazione, che significa veicolare le risorse che hai a disposizione verso una destinazione che non è quella fisiologica. Quindi non ha niente a che vedere con l’abuso di atti di ufficio che prescindeva dalla distrazione”. Ma la sua ricostruzione non regge: anche se l’abuso d’ufficio “prescinde” dalla distrazione, la distrazione di fondi, secondo la Cassazione, può senza dubbio costituire abuso d’ufficio, quando realizzata in violazione di legge per favorire un terzo. E a sottolineare l’incoerenza è il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia: “La cosa che colpisce è che si abroga il reato di abuso d’ufficio e se ne introduce un altro, con decreto legge, che è il vecchio peculato per distrazione. È il segno tangibile che la scelta di abrogare l’abuso di ufficio è una scelta infelice. Si corre ai ripari con un provvedimento normativo d’urgenza per introdurre una pezza per colmare quei vuoti di tutela che saranno creati dall’imminente abrogazione dell’abuso. Hanno maturato anche loro una consapevolezza che il sistema non regge (fonte: Il Fatto Quotidiano).