Focus: analisi sulla spesa trimestrale in dispositivi medici
Confindustria dispositivi medici
La nuova uscita della pubblicazione Focus. Economia, finanza e politica, aggiornata a dicembre 2023, fa il punto della situazione economica in cui ci troviamo attraverso un’analisi degli indicatori macroeconomici, quali il Pil e le sue componenti, lo spread e il debito pubblico, i prezzi delle materie prime e il mercato del lavoro.
Fra gli indicatori analizzati dal Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici è stato dedicato un approfondimento alla spesa pubblica trimestrale in dispositivi medici.
La spesa nel 3° trimestre del 2022 ha raggiunto, dopo una leggera diminuzione, un valore pari a 1.744,25 milioni di euro, con una variazione congiunturale del -7,3% e una tendenziale prossima allo 0%. Tuttavia, i primi nove mesi dell’anno hanno registrato un nuovo record di spesa, pari a 5,5 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e del 16% rispetto al 2019. Questo aumento di spesa ha già portato alcune regioni a superare il tetto di spesa previsto per il 2022, con altre che corrono il rischio di sforamento entro la fine dell’anno. La componente maggiore della spesa totale è rappresentata dai dispositivi medici generici, che rappresentano oltre il 68% della spesa totale e hanno avuto una variazione congiunturale minore rispetto alle altre componenti. Nel periodo 2015-2022, la spesa in dispositivi medici generici è cresciuta a un tasso medio annuo dell’1,8%, passando da 716,5 a 1.234 milioni di euro. Al contrario, la spesa per dispositivi medici impiantabili attivi è in calo sia rispetto al trimestre precedente che a quello dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel periodo 2015-2022, la crescita è stata molto inferiore rispetto ai dispositivi medici generici e alla diagnostica in vitro, solo del 16,7%. La diagnostica in vitro, pur essendo in calo da tre trimestri consecutivi, registra una variazione pressoché nulla rispetto ai primi tre trimestri del 2021, ma in crescita del 35% rispetto al periodo pre-pandemico del 2019. (fonte: Confindustria dispositivi medici)
Tracciabilità dei dispositivi medici: siamo al punto zero
Quanto sono diffusi nel nostro Paese i sistemi di tracciabilità dei dispositivi medici? La ricerca di due ingegneri della Liuc
Due laureati della Liuc – Università Cattaneo in Ingegneria Gestionale, che hanno scelto il percorso in Gestione integrata delle aziende e dei servizi in sanità e oggi, dopo un tirocinio durante gli studi, lavorano entrambi nell’ambito di strutture sanitarie, hanno dedicato la loro tesi di laurea a questo tema, svolgendo una ricerca che mette in luce alcuni elementi di stretta attualità. Andrea Paparelli e Tommaso Toia – questi i loro nomi – hanno svolto la ricerca a partire da una survey di oltre 50 domande, diffusa tra le principali strutture ospedaliere italiane. La ricerca è stata presentata nel corso di un webinar promosso dall’HD LAB – Healthcare Datascience Lab (Emergencies, Technologies and Beyond) della Liuc.
“L’idea – raccontano – è nata dal contatto con Ingesan, l’Associazione Italiana degli Ingegneri in Sanità, che ci ha segnalato la necessità di approfondire il tema, finora molto trattato a livello scientifico ma poco o per nulla mappato, per quanto estremamente “caldo” sia in Italia che a livello europeo. Nel contesto sanitario, infatti, è fondamentale monitorare, gestire e controllare non solo i farmaci, ma anche i dispositivi medici. Lo scopo è quello di ridurre al minimo, o ancora meglio, di azzerare le ripercussioni negative sulla salute pubblica. Ci siamo rivolti in particolare ad alcune specifiche aree delle strutture, ossia direzioni operative, farmacie, controllo di gestione, ingegneria clinica. Su oltre trecento strutture interpellate, abbiamo ottenuto risposta da 30 di loro. Con il supporto di Ingesan e dell’Hd Lab della Liuc, abbiamo approfondito in particolare l’impatto economico dei dispositivi medici sulle diverse realtà, anche in relazione al numero di pazienti delle stesse. Inoltre, abbiamo sondato le modalità di organizzazione e gestione dei dispositivi e i sistemi software alla base della gestione dei materiali”.
Cosa è emerso dunque rispetto alla diffusione dei sistemi di tracciabilità nel panorama italiano? “Siamo purtroppo al punto zero. Nessuna delle strutture che hanno risposto, infatti, ha dichiarato di avere adottato un modello evoluto per la tracciabilità. Anche le realtà più attive hanno infatti scelto sistemi molto basici, di semplice utilizzo, anche per integrarli al meglio con i sistemi aziendali. Di fatto, solamente il 50% delle strutture rispondenti utilizza un software integrato con essi. Uno dei maggiori problemi riguarda il fatto che il 39% delle strutture non ha mai introdotto un sistema di tracciabilità e non ha mai pensato di introdurlo. Inoltre, il 14% dei rispondenti persiste nell’utilizzo del cartaceo, con l’archiviazione, per i singoli prodotti, delle bolle di carico e delle etichette. E’ una questione, dunque, legata soprattutto alla cultura aziendale, ma anche al budget. I vantaggi collegati all’adozione di questi sistemi, però, sono evidenti e vanno dalla sensibile riduzione dell’errore umano a una migliore gestione della rendicontazione, soprattutto per le strutture pubbliche”.
Tra i casi virtuosi rilevati dalla ricerca c’è quello del Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli di Roma, che ha adottato con successo la tecnologia RFId per la tracciabilità dei dispositivi, con conseguente miglioramento della sicurezza clinica (+85%) e risparmio monetario sulla gestione delle scorte (-2 milioni di Euro).
La ricerca offre anche un’occasione di riflessione sull’importanza di figure professionali che possano fare la differenza all’interno delle strutture: “Il tema della tracciabilità dei dispositivi – concludono i due laureati Liuc – è uno dei tanti temi chiave di cui si può occupare un ingegnere gestionale all’interno di un’azienda sanitaria: il nostro ruolo, infatti, è sinonimo di innovazione ma anche di una necessaria sinergia tra gli aspetti economici e quelli sanitari”. (fonte: Panorama della Sanità)
Confindustria dispositivi medici: si inserisca in manovra la cancellazione del payback
Boggetti: con il payback le aziende del settore rischiano il fallimento per mancanza di liquidità
“Il Governo inserisca nella manovra la cancellazione del payback altrimenti le aziende del settore rischiano di chiudere i bilanci in perdita, di deteriorare il rating delle banche, che garantisce proprio alle aziende accesso al credito. Questo significa far fallire un settore che eroga salute e lasciar pagare ai cittadini le spese sanitarie di tasca propria, rinunciando alla sanità pubblica e all’innovazione tecnologica. E tutto ciò senza che arrivi nel concreto un euro nelle tasche del Governo”.
Questo l’appello lanciato dal Presidente di Confindustria Dispostivi Medici, Massimiliano Boggetti, al Forum Risk Management in Sanità di Arezzo nell’ambito del convegno “Innovazione e sicurezza dei dispositivi medici – La governance del settore”.
“Sono centinaia le imprese su cui impatta il payback, che rischiano di fermarsi e chiudere: ormai l’accesso al credito – ha spiegato il Presidente Boggetti – è diventato complicatissimo per via delle note difficoltà degli istituti bancari a erogare liquidità in questo momento. E con il payback le imprese dovranno accantonare poste di esercizio, fra l’altro indeducibili, che faranno chiudere il 2022 con bilanci in perdita, che abbassano il rating bancario e l’accesso ai crediti bancari, essenziali per l’operatività aziendale. Questo non è altro che un modo per portare le aziende al fallimento per mancanza di cassa con conseguenze catastrofiche per l’occupazione, i territori e la qualità della salute. Se le nostre imprese chiudono si potrebbero non riuscire a garantire le forniture di prodotti, anche salvavita, agli ospedali; la qualità delle tecnologie mediche rischia di abbassarsi; i medici si troveranno costretti a lavorare senza avere le tecnologie all’avanguardia fondamentali per poter esercitare al meglio la professione e in ultima istanza essere disincentivati a rimanere nel nostro Paese, preferendo l’estero. Le conseguenze per i cittadini sono altrettanto gravi: senza risorse destinate alla Sanità e senza imprese che la riforniscono, sempre più persone non avranno accesso alle cure con un notevole impoverimento dell’offerta e della qualità dei servizi sanitari”.
Secondo Boggetti se le Regioni continuano a bandire gare la cui somma dei valori aggiudicati supera il fondo sanitario a disposizione e il Governo non aumenta le risorse destinate alla Sanità, non saranno le imprese dei dispositivi medici a potersi far carico degli sforamenti di spesa pubblica. “È inaccettabile che il Governo – ha concluso Boggetti – non capisca l’impatto di un tale sistema sull’industria della salute e non comprenda le dinamiche e le conseguenze di questo provvedimento. Perseverare nel mantenimento dei tetti di spesa e di meccanismi quali il payback e le gare al ribasso significa contribuire a rendere l’Italia un Paese sempre meno appetibile per investimenti nazionali ed esteri, quando invece abbiamo bisogno di far tornare in Italia produzione e ricerca. Realizzare un reshoring, soprattutto nel caso dei dispositivi medici, significa investire su un settore in grado non solo di tutelare il Paese di fronte ad altre eventuali emergenze sanitarie, ma anche capace di far crescere il tessuto industriale in un comparto che è considerato oggi uno dei più promettenti, in grado di generare PIL e occupazione”.
Sono oltre 100 i ricorsi presentati ai TAR dalle aziende dei dispositivi medici sull’attuazione del payback in riferimento all’articolo 18 del Decreto Legge Aiuti bis e al decreto del Ministero della Salute che detta linee guida di attuazione del payback. E proprio in questi giorni sono arrivate le lettere delle Asl con richiesta di pagamento per il periodo 2015-2018 da evadere entro 30 giorni. Con i ricorsi viene contestata l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per l’incostituzionalità della normativa primaria di legge, la non conformità con il diritto eurounitario e la violazione di norme di legge preesistenti. All’atto pratico, le imprese che forniscono in virtù di una gara vinta, non hanno alcuna evidenza se il tetto regionale verrà sforato, né sono in grado di ipotizzare se e quanto saranno chiamate a restituire. Tale sistema non è compatibile con i principi contabili costituzionali che prevedono che i bilanci dello Stato siano prudenti, veritieri, realistici e fondati sull’attendibilità delle previsioni passate. Infatti, definendo i tetti di spesa regionali in maniera retroattiva non si tiene conto della mancata, ma necessaria, conoscenza da parte delle imprese di quale sia più o meno il budget di spesa a loro disposizione. Senza considerare che su quei bilanci le imprese hanno pagato le tasse, che non verranno mai restituite.
Dispositivi medici. Accordo AIIC-Consip per collaborazione informativa
Presidente Nocco: una collaborazione che rende evidente la competenze e il ruolo dell’ingegnere clinico nell’ambito dei device e delle apparecchiature elettromedicali
L’Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC) ha siglato un accordo di collaborazione con CONSIP (Società del MEF che gestisce gli acquisti nell’ambito della Pubblica Amministrazione) per svolgere confronti informativi in tema di dispositivi medici e apparecchiature elettromedicali, con particolare riferimento all’ambito dei servizi di gestione e manutenzione. “I confronti sulle tematiche di interesse – si legge nell’accordo sottoscritto dal presidente AIIC Umberto Nocco – potranno avvenire sulla base delle esigenze rappresentate da CONSIP in relazione alle quali l’Associazione potrà fornire documenti, informazioni e dati scientifici dalla stessa elaborati in relazione alle proprie competenze specifiche”.
L’accordo si basa sull’interesse di CONSIP, nell’ambito della sua attività di centrale di committenza per le Pubbliche Amministrazioni e al fine di soddisfare al meglio le esigenze delle stesse, a “collaborare con associazioni, società ed istituti scientifici operanti nelle merceologie e nei settori di possibile interesse per la stessa Centrale”. In particolare, si legge nell’accordo, CONSIP “intende avviare una consultazione di carattere scientifico, eventualmente con scambio di materiale, informazioni e dati, con l’Associazione, per conoscere in maniera più approfondita il settore merceologico relativo ai dispositivi medici e alle apparecchiature elettromedicali”.
Dal suo lato l’Associazione – che ha per fine istituzionale la diffusione della conoscenza e l’avanzamento delle conoscenze scientifiche, tecniche ed organizzative nel campo dell’Ingegneria Clinica nonché la diffusione dei Servizi di Ingegneria Clinica all’interno delle strutture – si rende immediatamente disponibile a una collaborazione costante con CONSIP: “Siamo orgogliosi della firma di questo accordo”, sottolinea Umberto Nocco, presidente AIIC, “la collaborazione rende evidente la competenza e il ruolo dell’ingegnere clinico nell’ambito dei dispositivi medici e delle apparecchiature elettromedicali. Siamo certi che la relazione con CONSIP, che nel periodo pandemico è divenuta particolarmente stringente, saprà fornire risultati tangibili sia in termini di qualità, che di sicurezza e di sostenibilità”.
Il tipo di collaborazione e/o consultazione di carattere scientifico così avviata, totalmente gratuita, si basa sulla comunanza di interessi ed è volta al soddisfacimento delle esigenze della Pubblica Amministrazione, utilizzatore finale dei prodotti e dei servizi eventualmente messi in gara da CONSIP. L’accordo è valido per un periodo di tre anni dalla data di sottoscrizione.
Dispositivi medici, Confimi sanità: “iter certificazione chiarito, le aziende tornano a vedere la luce”
Le imprese del medical device tirano un sospiro di sollievo Italia e Germania ripristinano ordine nel comparto dei dispositivi medici europeo
Unite nella lotta per un adeguato regolamento sulla certificazione dei dispositivi medici, Italia e Germania – insieme – raggiungono l’obiettivo: garantire un futuro alle imprese del medical device e un approvvigionamento all’avanguardia per la sanità del Vecchio continente. A renderlo ufficiale è un documento redatto dal Medical Devices Coordination Group che attraverso 19 punti dona un respiro di sollievo ai produttori di dispositivi medici che sotto il cappello di Confimi Industria Sanità (in Italia) e della BVMed – Bundesverband Medizintechnologie (in Germania) hanno portato avanti la battaglia denunciando le difficoltà introdotte nel Nuovo Regolamento europeo di certificazione.
“Le nuove linee guida – spiega Massimo Marcon di Confimi Sanità – chiariscono e semplificano in primis il rapporto tra aziende produttrici e organismi notificanti”. E venendo al dunque Marcon prova a fare degli esempi: “Fino a pochi giorni fa, c’era la concreta possibilità che buona parte delle 4500 aziende italiane del comparto chiudessero o riducessero drasticamente il personale perché impossibilitate per tempi e costi a certificare i loro prodotti. Questo voleva dire arrivare al 2024 con solo il 30-40% dei dispositivi ancora disponibili sul mercato. Ovvero a disposizione della nostra sanità”.
“Oggi invece, grazie a questa nuova circolare, gli organismi notificanti sono chiamati a rendere trasparenti i costi, a tener conto delle certificazioni già rilasciate a un dispositivo, a garantire l’arco temporale per completare l’iter di certificazione di un MD e di un IVR”. Tempi ridotti e minor costi.
Non solo, viene garantito anche un iter di approvazione per quegli ausili definiti orfani, ovvero per i quali è attualmente scaduta la certificazione e per i quali vengono individuati percorsi agevolati anche per tutti quegli ausili che non necessitano di evidenza clinica, come ad esempio i letti ospedalieri.
“Da Bruxelles hanno scelto di operare in termini di semplificazione – sottolinea ancora Marcon – anche nei confronti degli organismi notificanti: a loro vengono tolti diversi oneri burocratici così da essere messi nelle condizioni di processare un maggior numero di certificati in minor tempo. E si è pensato anche a un diverso inserimento di nuovi auditors”. Meno burocrazia e più personale a disposizione.
“La vera novità – tiene a far presente il referente dei Dispostivi Medici in Confimi Industria Sanità – è la richiesta nero su bianco di un dialogo costruttivo fra le parti e il ruolo di formazione che viene riconosciuto ai corpi intermedi, alle associazioni di categoria chiamate a redigere linee guida ed organizzare corsi, webinar e sessioni informative per accrescere la preparazione e la consapevolezza degli operatori economici ai requisiti imposti dai Regolamenti”.
“Si tratta di un messaggio importante – ricorda il presidente di Confimi Sanità Massimo Pulin – questa circolare esplicativa rende manifesto che lavorare fianco a fianco con la nostra politica, come abbiamo fatto in questi mesi con la Direzione generale dei Dispositivi Medici e del servizio farmaceutico del Ministero della Salute e la Commissione Sanità del Senato, abbia contribuito al raggiungimento di un importante traguardo per la sanità tutta, pubblica e privata”.
“Un grande passo avanti sì” conferma Pulin “ma ci sono ancora tanti aspetti da ottimizzare come, per citarne alcuni, i percorsi di formazione per le certificazioni, le misure di sostegno economico per permettere alle imprese di coprire gli extracosti di certificazione, la costruzione di un dialogo concreto tra fabbricanti e strutture pubbliche per gli studi clinici, sostegni all’innovazione”.
Dispositivi medici: aumento dei costi delle materie prime del 50%
Secondo una nuova indagine del Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici il 79% delle imprese ha ritardato la produzione.
8 aziende su 10 nel settore dei dispositivi medici hanno ritardato la produzione e il 21% ha dovuto ridurla a causa dell’aumento dei costi delle materie prime. L’impatto della guerra ha ulteriormente aggravato la situazione: il 66% delle aziende ha avuto ulteriori problematiche per l’operatività (aumento costi e difficoltà approvvigionamento) e il 15% ha evidenziato ricadute dirette, operando nei paesi coinvolti. Sono questi i principali dati emersi dalla seconda edizione dell’indagine condotta dal Centro studi di Confindustria Dispositivi Medici per evidenziare l’impatto indiretto della pandemia prima e della guerra poi sull’industria del settore.
“Le imprese dei dispositivi medici – afferma Confindustria Dispositivi Medici – hanno sostenuto costi per acquisto di materie prime, in media, maggiori del 50% circa rispetto all’anno precedente. Il 17% circa di queste imprese, inoltre, afferma di aver visto questa voce di costo più che raddoppiare dal 2021 al 2020. Un effetto di entità simile viene evidenziato anche in termini di costi per acquisto di servizi di finitura che, in media, sono risultati maggiori quasi del 65% rispetto all’anno precedente. La partita più importante, tuttavia, viene giocata – oggi, ma ancora di più in un futuro prossimo – sul mercato dell’energia: la media del tasso di variazione dei costi per acquisto di energia elettrica da parte delle aziende di dispositivi medici supera il 100%, determinando un effetto di portata simile, di riflesso, sui costi per acquisto di servizi di trasporto. Il 19% dei rispondenti, quasi 1 su 5, dichiara inoltre di aver sostenuto, nel 2021, costi per acquisto di energia elettrica per un valore di tre volte superiore rispetto a quello relativo all’anno 2020”.
Le materie prime e i semilavorati, necessari per la realizzazione dei dispositivi medici, segnalati come maggiormente rilevanti in termini di variazione dei costi di acquisto sono: alcuni metalli (es. acciaio, alluminio) e le principali fonti di energia (es. gas naturale, petrolio). In aggiunta, componenti elettrici ed elettronici, materie chimiche e plastiche, tessuti e imballaggi.
Tra le principali preoccupazioni espresse dalle aziende risiedono la possibile perdita di un mercato di esportazione, la fragilità della catena di produzione che coinvolge materie prime esportate da Russia e Ucraina e ultima, ma non per importanza, la potenzialità più che concreta che la guerra si protragga nel tempo al punto da ridisegnare il contesto macroeconomico globale con un paradigma più fragile e frammentato.
“Pandemia, guerra e crisi delle materie prime – ha commentato Massimiliano Boggetti, Presidente di Confindustria Dispositivi Medici – stanno lasciando il nostro comparto in forte sofferenza. Le aziende dei dispositivi medici si rivolgono prevalentemente al pubblico e il mercato si realizza attraverso l’aggiudicazione di gare per lotti spesso molto grandi e pluriennali. Trattandosi di beni di prima necessità per il funzionamento di ospedali, ambulatori, non è possibile interrompere le forniture per non configurare un’interruzione di pubblico servizio. Da ciò si capisce come le peculiarità che caratterizzano il nostro settore producono effetti molto diversi rispetto ad altri comparti industriali, al di là dei numeri evidenziati dall’indagine. Senza considerare che un numero ampio di studi clinici, sia multicentrici che specifici, che venivano fatti in Ucraina, in Bielorussia e nella Federazione Russa sono stati bloccati, perché non si riesce più a collaborare con gli ospedali in quelle aree, rallentando di fatto l’immissione dell’innovazione sul mercato. La guerra sta inoltre lasciando una sensazione generalizzata di paura anche a casa nostra: dobbiamo affrontare una stagione di investimenti nel servizio sanitario e nella medicina territoriale e avere il coraggio di aumentare le produzioni a fronte dei finanziamenti collegati al PNRR. A queste criticità vanno purtroppo aggiunti sistemi di tassazione specifici per il settore, come il payback e la tassa dello 0.75% sul fatturato, che andrebbero sospesi e superati, anche alla luce delle difficoltà che il settore sta vivendo a causa della congiuntura macroeconomica globale”, ha concluso Massimiliano Boggetti, Presidente di Confindustria Dispositivi Medici.
Un programma nazionale per valutare i dispositivi medici in Italia
di Rosanna Tarricone – SDA BOCCONI
Attraverso il Ministero della Salute, il Sistema Sanitario Nazionale italiano ha cercato di armonizzare e centralizzare a livello nazionale la valutazione delle tecnologie sanitarie, di modo da ridurre le inefficienze a livello locale.
Il contesto
L’importanza di valutare l’impatto clinico, economico, etico e sociale delle tecnologie sanitarie è un assunto centrale in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Secondo il Ministero della Salute italiano, lo scopo della valutazione delle tecnologie sanitarie (l’Health Technology Assessment-HTA) è quello di «contribuire all’individuazione di politiche sanitarie sicure, efficaci, incentrate sui pazienti e mirate a ottenere il massimo valore. Le tecnologie oggetto di valutazione possono essere farmaci, dispositivi medici, vaccini, procedure e, più in generale, qualsiasi programma sanitario di tutela e/o miglioramento della salute dei cittadini».
Tale processo di assessment, diffusosi a partire dagli anni Settanta, ha subito notevoli evoluzioni nel corso degli ultimi decenni a causa della rapida innovazione delle tecnologie, della crescita della spesa sanitaria e dell’aumento delle evidenze scientifiche sull’efficacia delle tecnologie. Inoltre, mentre alcuni Paesi dell’Unione Europea hanno adottato l’HTA secondo processi centralizzati, in altri il processo si è evoluto in modo frammentato. Questa difformità di approccio è stata parzialmente mitigata dallo sforzo della Commissione Europea e dall’impegno dei vari Paesi che, insieme, hanno sviluppato network internazionali di HTA (per esempio, l’European Network for Health Technology Assessment) finalizzati all’armonizzazione dei metodi e delle procedure, al fine di rendere l’accesso alle tecnologie sanitarie un processo equo ed efficiente in tutti gli Stati membri. Allo stesso modo, su scala minore, il Sistema Sanitario Nazionale italiano (SSN), attraverso il suo Ministero della Salute ha cercato di raggiungere obiettivi simili per l’armonizzazione e la centralizzazione dell’HTA a livello nazionale, di modo da ridurre la frammentazione e le inefficienze a livello locale.
La ricerca
Una recente ricerca ha descritto il processo intrapreso in Italia per creare un programma nazionale di HTA per i dispositivi medici.
Caratterizzato da un sistema sanitario decentralizzato e dalle prime applicazioni dell’HTA in aree geografiche limitate o in specifici ambiti di intervento, l’Italia ha attuato i primi sforzi per coordinare l’HTA a livello centrale a partire dal Piano Sanitario Nazionale 2006-2008. Un tale impegno ha poi subito una forte accelerazione nel 2015 quando la legge di stabilità ha istituito il Programma nazionale di HTA per i dispositivi medici.
Attraverso la creazione della Cabina di Regia composto dai rappresentanti delle istituzioni pubbliche (Ministero della Salute, Regioni, Agenas, AIFA) è stato lanciato il Programma Nazionale HTA per i Dispositivi Medici (PNHTADM) per promuovere l’uso di strumenti di HTA nella selezione e adozione dei dispositivi medici. Grazie alla partecipazione di molti stakeholder, tra cui rappresentanti del mondo accademico, dei pazienti, delle aziende sanitarie pubbliche e private, delle associazioni professionali e industriali, sono state definite raccomandazioni e metodi per la definizione di un programma nazionale.
Completato nel 2019, il PNHTADM si sviuppa su cinque fasi: definizione delle priorità, assessment, appraisal, decisione e applicazione.
Qualsiasi dispositivo medico può essere proposto per il processo valutativo, dalle emergenti (cioè non ancora marcate CE) alle obsolete. La selezione dei dispositivi da valutare si basa su sette criteri: impatti economici, sociali, organizzativi, etici e sulla salute del paziente, nonché rilevanza epidemiologica ed eventuale incertezza dell’evidenza clinica. Una volta selezionati, la Cabina di Regia assegna la valutazione a uno dei centri collaborativi (per esempio, agenzie governative centrali, come AGENAS o l’Istituto Superiore di Sanità, o agenzie regionali). Il processo si conclude con una valutazione per ognuno dei criteri stabiliti: necessità, valore clinico aggiunto, sostenibilità, capacità di accettazione, implementabilità e fattibilità. È poi sulla base della valutazione (assessment) condotta dal centro collaborativo che la Cabina di Regia procede alla raccomandazione finale (appraisal).
Il PNHTADM si distingue dagli altri programmi internazionali perché lega l’esito del processo di valutazione dell’HTA alla formulazione delle politiche sanitarie più importanti per il SSN: copertura (inserimento del dispositivo e della procedura collegato a esso nei Livelli Essenziali di Assistenza-LEA), acquisto (per esempio, formulazione delle gare di acquisto basate sul valore generato dal dispositivo) e rimborso (per esempio, remunerazione della procedura collegata al dispositivo attraverso modifica della tariffa ospedaliera).
Conclusioni e implicazioni
Gli sforzi compiuti finora dalle istituzioni pubbliche e dagli stakeholder dimostrano che i tempi sono maturi per avallare un processo più trasparente, oggettivo e razionale per governare l’accesso equo alle innovazioni tecnologiche in sanità. Questa è anche l’unica strada percorribile per tenere il SSN al passo con le tecnologie più promettenti, e per rendere sostenibile anche in futuro il principio dell’universalismo e gratuità delle cure che ha ispirato la nascita del sistema sanitario nazionale.
Nonostante i recenti rallentamenti al processo di implementazione del PNHTADM, in parte dovuto anche alla pandemia da Covid-19, la ripetuta enfasi sull’HTA nel Patto per la Salute 2020-2021, ne attesta la rilevanza nell’agenda del governo, a dimostrazione del continuo impegno per garantire un sistema di assistenza universale.
All’interno del panorama internazionale, l’Italia rappresenta un esempio convincente di HTA che potrebbe essere assunto a modello anche da altri Paesi – soprattutto quelli in cui i sistemi sanitari sono altamente decentralizzati – che cercano di consolidare le iniziative di HTA, in particolare alla luce della nuova regolamentazione UE in materia.
* Gli altri autori dell’articolo sono Fabio Amatucci, Patrizio Armeni, Helen Banks, Ludovica Borsoi, Giuditta Callea, Oriana Ciani, Francesco Costa, Carlo Federici, Aleksandra Torbica, Marcella Marletta.
Dispositivi medici di “ultima generazione” o di “più recente immissione in commercio”?
Formule di prassi usate indifferentemente nei capitolati per ottenere dispositivi tecnologicamente aggiornati in realtà indicano, secondo giurisprudenza, differenti caratterizzazioni di prodotto.
La distinzione è ribadita dal TAR Toscana con la recente sent. n. 705 del 10.5.2022. Vi si osserva, tra l’altro, che, ove richiesta l’offerta di prodotti di “ultima generazione”, la clausola deve essere a sua volta specificata attraverso l’indicazione degli specifici requisiti tecnici che, secondo la stazione appaltante, le strumentazioni offerte debbono avere.
In ogni caso, secondo altro pronunciamento, per “ultima generazione” va inteso non l’ultimo prodotto della stessa specie immesso a catalogo, ma la versione più aggiornata del prodotto offerto, in quanto comunque conforme alle specifiche tecniche richieste. (Cons. di Stato n. 2449/2013)
Recita la sentenza TAR Toscana n. 705/2022: (….) “A questo fine, il requisito della più recente immissione in commercio – seppure non univoco – ha il pregio di offrire quantomeno un riferimento temporale oggettivo, a differenza di altre formule parimenti utilizzate nella prassi (si pensi alle prescrizioni che richiedono l’offerta di prodotti “di ultima generazione”, clausola che richiede di essere a sua volta specificata attraverso l’indicazione degli specifici requisiti tecnici che, secondo la stazione appaltante, le strumentazioni offerte debbono avere: così Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2019, n. 2536). Esso svolge adeguatamente la funzione di circoscrivere l’oggetto del contratto e di indirizzare in modo corrispondente la formulazione delle offerte: assodato che la legge di gara non impone la fornitura di un unico modello di stent, la libertà negoziale dei concorrenti è limitata da un lato dalle specifiche tecniche, suscettibili di equivalenza, e, dall’altro, dalla prescrizione relativa alla data di immissione in commercio, che per definizione non è suscettibile di equivalenza (l’attributo, come detto, o sussiste o non sussiste) e non permette ai concorrenti di offrire i propri prodotti di più risalente immissione in commercio, ancorché in ipotesi tecnicamente equivalenti (nel caso, eventualmente di “ultima generazione”) a quelli commercializzati in epoca successiva (non necessariamente di “ultima generazione”).”
“La scelta della stazione appaltante si spiega, a ben vedere, con il fatto che le specifiche tecniche in senso proprio definiscono le caratteristiche richieste del prodotto, in quanto tali suscettibili di equivalenza ai sensi dell’art. 68 d.lgs. n. 50/2016, laddove l’essere di più recente immissione in commercio è un attributo che non esprime il possesso di specifiche qualità tecniche, ma costituisce notoriamente un indicatore di aggiornamento tecnologico del prodotto ancorato a un dato temporale preciso e, come tale, infungibile: è evidente che due prodotti immessi sul mercato in momenti diversi possono presentare caratteristiche tecniche equivalenti, ma l’equivalenza tecnica non può spingersi fino a elidere l’elemento oggettivo della anteriore o posteriore immissione in commercio dell’uno o dell’altro.
Stando a una piana lettura del disciplinare, le specifiche tecniche minime e il requisito della più recente immissione in commercio debbono essere posseduti cumulativamente dai dispositivi in gara.”
Pertanto, la richiesta di un dispositivo di più recente immissione sul mercato (ancorchè non di “ultima generazione”) non può lasciare alcun margine di scelta per i concorrenti che – in assenza di esplicita impugnazione della lex specialis – debbono comunque offrire un prodotto conforme alle disposizioni di gara.
La differenziazione tra le locuzioni “ultima gnerazione” e “più recente immissione in commercio” era stata sancita del Consiglio di Sato con Sent. n. 2536/2019, in cui si legge che: (….) “– il concetto di “ultima generazione” contenuto nel disciplinare di gara, non essendo altrimenti specificato attraverso l’indicazione di particolari requisiti tecnici che le strumentazioni offerte dovrebbero possedere, non consente di scriminare l’elemento qualitativo dei dispositivi in gara;
– la nozione in parola non può neppure essere intesa facendo esclusivo riferimento ad un criterio temporale, ossia al momento in cui un prodotto viene immesso sul mercato, dovendo piuttosto aversi riguardo alla sopravvenienza di soluzioni tecniche innovative che rendano superate ed obsolete quelle precedenti.
Deve essere integralmente richiamato quanto già affermato dalla Sezione nella sentenza n. 1536 del 5 marzo 2019 n.1536, sulla medesima disposizione del disciplinare. La Sezione, con argomentazioni integralmente condivise dal Collegio, ha, infatti, ritenuto che non essendo prevista nella lex di gara una specifica indicazione su cosa dovesse intendersi per dispositivo medico di ultima generazione, in assenza di riferimenti predefiniti, non si possa ancorare la presenza o meno di tale caratteristica alla data di immissione in commercio del dispositivo. “Vero è, infatti, che il momento del lancio distributivo di un dispositivo medico non ne determina automaticamente e necessariamente il grado di superiorità tecnologica, né, tantomeno, il livello di avanzamento in termini di performance. Una lettura del parametro in questione ancorata alla maggiore o minore risalenza della immissione del prodotto nel mercato risulterebbe, oltre che ingiustificata sul piano dei principi, anche irragionevole nelle sue applicazioni pratiche, in quanto di fatto verrebbe a comprimere la libertà del concorrente di formulare l’offerta ritenuta più conveniente, avuto riguardo alle prescrizioni tecniche della legge di gara, imponendogli di concorrere con il prodotto di più recente introduzione, indipendentemente dal grado di maggiore o minore rispondenza alle specifiche tecniche previste dalla singola procedura. Risulta preferibile ritenere, pertanto, che la disposizione del capitolato in esame possa essere intesa nel senso di prevedere l’obbligo per l’impresa partecipante di fornire, del modello offerto, la più aggiornata versione in commercio, purché conforme alle esigenze del servizio messo a gara. Il focus della valutazione di adeguatezza si sposta, quindi, sulla considerazione degli specifici requisiti tecnici ai quali, ai sensi del capitolato di gara, le strumentazioni offerte dovevano conformarsi”.
La giurisprudenza della Sezione, richiamata nella citata sentenza n. 1536 del 2019 e anche dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata, ha più volte affermato che la previsione contenuta nella lex di gara relativa ad un prodotto “di ultima generazione” ha di per sé un contenuto astratto e generico e può trovare una specificazione solo attraverso l’indicazione di specifici requisiti tecnici che, secondo la stazione appaltante, le strumentazioni offerte devono avere.
Tali requisiti possono essere resi concreti attraverso il riferimento ad una determinata tecnologia ed essere resi più espliciti attraverso l’indicazione dell’anno a partire dal quale tale tecnologia è stata applicata, ovvero facendo riferimento a particolari requisiti che la tecnica, in continua evoluzione, ha reso possibile nel settore di riferimento; fermo restando che le Commissioni giudicatrici hanno il compito di valutare in concreto le qualità tecniche (anche innovative) delle diverse strumentazioni offerte e di assegnare un punteggio, più o meno elevato, per i singoli parametri tecnici richiesti. In assenza di tali specifiche indicazioni non risulta, dunque, possibile stabilire, con sufficiente grado di certezza, quali strumentazioni siano da ritenersi (o meno) di ultima generazione. Ben può accadere, infatti, che un’azienda produca nel tempo diverse strumentazioni destinate anche a diversi segmenti di mercato, con caratteristiche tecniche che si differenziano, in tutto o in parte, dalle caratteristiche tecniche di altre strumentazioni delle stessa azienda o dai prodotti da altre aziende. In tale quadro solo attraverso le caratteristiche tecniche richieste dal capitolato di gara possono essere individuate le strumentazioni che l’Amministrazione ritiene di voler acquisire con la conseguente possibile esclusione delle strumentazioni che tali essenziali caratteristiche (anche innovative) non abbiano. Il generico riferimento in un capitolato di gara al prodotto di ultima generazione, in assenza di ulteriori specifiche indicazioni tecniche, potrebbe essere, peraltro, impropriamente utilizzato a vantaggio di una azienda che ha immesso sul mercato un nuovo prodotto senza consentire una effettiva comparazione fra la qualità tecnica di tale nuovo prodotto con la strumentazione di altra azienda che ha un prodotto meno recente ma ancora di elevata qualità (o in teoria di qualità ancora superiore). Non può poi essere escluso da una gara un prodotto solo perché la stessa azienda ha immesso sul mercato un nuovo prodotto perché così si introduce un ingiustificato parametro di valutazione fra prodotti della stessa azienda che potrebbe vedersi danneggiata nei confronti di altra azienda che non avendo immesso sul mercato nuovi prodotti potrebbe invece partecipare alla gara con strumenti teoricamente più obsoleti, solo perché sono i più recenti di quella azienda (Consiglio di Stato, Sez. III, 16 luglio 2015, n. 3574).
La sentenza del C.di Stato del 6 maggio 2013, n. 2449 afferma, tra l’altro, che “Quanto all’inadeguatezza della pompa offerta da xxxxx, in quanto non di <<ultima generazione>>, occorre sottolineare che detta previsione dell’art. 3 del capitolato non può essere interpretata come comportante l’obbligo di offrire il modello più recente disponibile all’interno del catalogo dell’impresa produttrice. Una simile interpretazione, oltre ad introdurre un elemento di incertezza nella determinazione della prestazione offerta, comprimerebbe la libertà di scelta dell’impresa nel formulare l’offerta complessivamente più conveniente con riferimento al quadro dei requisiti tecnici richiesti ed al prezzo base di gara.
Va intesa, invece, nel senso di un obbligo di fornire, del modello offerto, l’ultima e più aggiornata versione in commercio.”
La disamina delle fattispecie relative all’aggiornamento tecnologico dei dispositivi medici è precedentemente affrontata anche dalla sentenza del Cons. di Stato del 16 luglio 2015, n. 3574)
“Invero i concetti di “strumentazione nuova”, “tecnologicamente avanzata” e di “ultima generazione”, che sono contenuti nelle citate disposizioni del disciplinare e del capitolato tecnico della gara in questione, hanno un contenuto del tutto astratto e generico e possono trovare una loro specificazione solo attraverso l’indicazione di specifici requisiti tecnici che, secondo la stazione appaltante, le strumentazioni offerte devono avere.
Tali requisiti possono essere resi concreti attraverso il riferimento ad una determinata tecnologia ed essere resi più espliciti attraverso l’indicazione dell’anno a partire dal quale tale tecnologia è stata applicata, ovvero facendo riferimento a particolari requisiti che la tecnica, in continua evoluzione, ha reso possibile nel settore di riferimento.
Peraltro, rendendo sempre possibile la partecipazione alle gare delle imprese che dimostrino di poter fornire una strumentazione tecnologica egualmente avanzata ed in grado di soddisfare allo stesso modo le esigenze di natura tecnica indicate dall’Amministrazione. Fermo restando che le Commissioni giudicatrici hanno il compito di valutare in concreto le qualità tecniche (anche innovative) delle diverse strumentazioni offerte e di assegnare un punteggio, più o meno elevato, per i singoli parametri tecnici richiesti.
In assenza di tali specifiche indicazioni non risulta invece possibile stabilire, con sufficiente grado di certezza, quali strumentazioni siano da ritenersi (o meno) di ultima generazione.
Ben può accadere, infatti, che un’azienda produca nel tempo diverse strumentazioni destinate anche a diversi segmenti di mercato, con caratteristiche tecniche che si differenziano, in tutto o in parte, dalle caratteristiche tecniche di altre strumentazioni delle stessa azienda o dai prodotti da altre aziende.
In tale quadro solo attraverso le caratteristiche tecniche richieste dal capitolato di gara possono essere individuate le strumentazioni che l’Amministrazione ritiene di voler acquisire con la conseguente possibile esclusione delle strumentazioni che tali essenziali caratteristiche (anche innovative) non abbiano.
Il generico riferimento in un capitolato di gara al prodotto di ultima generazione, in assenza di ulteriori specifiche indicazioni tecniche, potrebbe essere, peraltro, impropriamente utilizzato a vantaggio di una azienda che ha immesso sul mercato un nuovo prodotto senza consentire una effettiva comparazione fra la qualità tecnica di tale nuovo prodotto con la strumentazione di altra azienda che ha un prodotto meno recente ma ancora di elevata qualità (o in teoria di qualità ancora superiore).
Non può poi essere escluso da una gara un prodotto solo perché la stessa azienda ha immesso sul mercato un nuovo prodotto perché così si introduce un ingiustificato parametro di valutazione fra prodotti della stessa azienda che potrebbe vedersi danneggiata nei confronti di altra azienda che non avendo immesso sul mercato nuovi prodotti potrebbe invece partecipare alla gara con strumenti teoricamente più obsoleti, solo perché sono i più recenti di quella azienda). Questa Sezione ha peraltro già affermato, come ha ricordato l’appellante, che la richiesta della stazione appaltante di fornire un prodotto di ultima generazione, «non può essere interpretata come comportante l’obbligo di offrire il modello più recente disponibile all’interno del catalogo dell’impresa produttrice» perché tale interpretazione, «oltre ad introdurre un elemento di incertezza nella determinazione della prestazione offerta, comprimerebbe la libertà di scelta dell’impresa nel formulare l’offerta complessivamente più conveniente con riferimento al quadro dei requisiti tecnici richiesti ed al prezzo base di gara». Mentre la disposizione può essere intesa nel senso di prevedere l’obbligo per l’impresa partecipante di fornire, del modello offerto, l’ultima e più aggiornata versione in commercio (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2449 del 6 maggio 2013).”
La governance dei dispositivi medici attende una svolta grazie al nuovo regolamento europeo
Le innovazioni normative attese per la governance anche nel nostro Paese sono al centro della sessione, dal titolo “Nuovo regolamento europeo dei dispositivi medici: impatto sull’Hta”, all’interno del XIV Congresso nazionale della Società italiana di health technology assessment (Sihta). Gli interventi sono stati moderati da Pietro Derrico, Past President Sihta, e Irene Colangelo, Direttivo Sihta. “L’Hta – afferma Francesco Saverio Mennini, Presidente Sihta – racchiude al suo interno tanto il concetto di strumento quanto la metodologia. L’Hta, inteso come quell’approccio alla valutazione in grado di integrare l’uso della razionalità scientifica con le prospettive e le preferenze espresse dai diversi portatori di interesse a supporto di una decisione politica, può contribuire a migliorare quel processo che porta a rendere disponibile in maniera tempestiva l’innovazione tecnologica (tanto quella disruptive quanto quella incrementale), in relazione ai bisogni espressi dalla popolazione e alle capacità di assorbimento dei sistemi sanitari. È lo strumento principale per definire il reale valore delle tecnologie. È necessario quindi un cambio di paradigma che, come anche sottolineato dal codice degli appalti, ci chiede di superare la logica del prezzo verso la logica del valore della tecnologia. Dobbiamo anche rivedere il tetto di spesa anche per i dispositivi medici, che è uno strumento emergenziale non correlato al fabbisogno reale. Un percorso, quindi, basato su logiche di Hta serve a comprendere quali sono i reali bisogni e, conseguentemente, dove è necessario investire prima, così da permettere un corretto e appropriato utilizzo delle risorse e delle tecnologie. Ci vuole – sottolinea – una struttura all’interno della quale sia possibile condividere i punti prioritari e gli aspetti metodologici. Una struttura, quale una Agenzia di Hta, che proponga un metodo valido di valutazione e che funga da collettore dei dati, delle informazioni e delle evidenze. Per fare una corretta ed efficiente programmazione e pianificazione, infatti, è necessario accedere ai dati così da permettere il monitoraggio e quindi garantire la corretta valutazione. Bisogna – conclude – prevedere anche il coinvolgimento dei cittadini poiché come Sihta crediamo sia importante il ruolo del paziente informato all’interno del percorso di Hta”.
Chi fa il punto sulle novità normative a livello europeo, l’atteso Hta Regulation, e sulla legge 53 approvata quest’anno dal Parlamento per l’attuazione di un programma di Hta, è Marco Marchetti, Direttore Centro Nazionale per l’Health Technology Assessment, Istituto Superiore di Sanità e Supervisore Ufficio HTA e Innovazione a supporto delle Regioni, Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). “Nell’Hta Regulation – ricorda – sono previste quattro aree di lavoro congiunto che si gioveranno di tutti i metodi costituiti dal 2004 in poi. Le aree di lavoro sono sulla valutazione clinica dei dispositivi, sulle consultazioni scientifiche, sull’identificazione delle tecnologie emergenti, la prosecuzione della cooperazione volontaria su altre tecnologie non coperte dalla Regulation e sui domain non clinici. Si è trovato l’accordo affinché le lavorazioni congiunte non siano vincolanti per i singoli Paesi ma siano tenute in considerazione in relazione al contesto nazionale. In Italia – continua -, la legge 53 dell’aprile 2021 è una legge di recepimento della normativa comunitaria in cui sono inseriti dei punti per creare una governance dei dispositivi medici. Il primo è il potenziamento dell’avvio del programma di Hta e poi la creazione dell’Osservatorio dei prezzi di acquisto dei dispositivi. L’intenzione è rendere operativo un programma nazionale di Hta non entrato ancora nell’operatività. Infine la norma mira a riordinare gli enti pubblici, deputati al governo dei dispositivi medici. Per la prima volta nel nostro Paese si prevede il finanziamento strutturato ma ora si attendono i decreti attuativi entro un anno dall’emanazione della legge”.
“A differenza di altri Paesi come la Francia che valuta la rimborsabilità siamo in Italia vicini all’anno zero. Non abbiamo gli strumenti a livello regionale per dare un valore del prodotto sul mercato. Dobbiamo provare con altre Regioni a metterci insieme per la valutazione. A questo proposito chiederò all’assessore della mia Regione di fare la proposta di collaborazione in Conferenza Stato Regioni”, dichiara Fausto Bartolini, Direttore Dipartimento Assistenza Farmaceutica, USL Umbria 2. “Abbiamo – aggiunge – delle criticità in Italia da eliminare. Dovremmo concentrarci sui prodotti veramente innovativi e fare economia là dove è possibile. Ci ritroviamo con dei limiti nelle varie categorie sanitarie sul piano della formazione e della conoscenza dei dispositivi. Spetta alle nostre categorie professionali, a chi decide e ai produttori lavorare insieme per la tenuta del sistema e consentire a tutti di avere innovazione”.
“Dobbiamo mettere mano alla governance. Il sistema attuale è in antitesi con l’Hta: non c’è un processo che valuti l’impatto socioeconomico ma esiste una governance che si basa su gare pubbliche d’appalto e un sistema di tetti di spesa. L’innovazione è un valore aggiunto per il nostro mondo. Dobbiamo però distinguere fra ciò che è innovativo e ciò che non lo è. L’Hta e l’accordo europeo vanno quindi nella direzione giusta. La cosa da fare subito è abolire i tetti di spesa, ripensare un’ottica di investimenti del Pnrr come mettere in piedi un programma di innovazione. Credo che il lavoro da fare da adesso per l’attuazione del programma nazionale di Hta sia di mettere un po’ di ordine. E poi mi chiedo, come un processo si possa definire indipendente se è sostenuto dalle industrie? Non è infatti più sostenibile che sia giustificata una tassazione dello 0,7% sulla innovazione pagata dalle imprese. Rischiamo di ritornare al centro dell’attenzione per l’assenza di trasparenza”, commenta Massimiliano Boggetti, Presidente Confindustria Dispositivi Medici, che infine afferma: “Dobbiamo togliere per prima cosa il payback, eliminare i prodotti Covid-19 dai tetti di spesa e sospendere i tetti per i rinnovi tecnologici dandoci il tempo di ridisegnare la governance del settore. Il rischio vero è che non si riescano a usare i soldi del Pnrr”.
“In merito al Programma Nazionale HTA – osserva Pietro Derrico – l’auspicio è che il decreto attuativo della Legge 53/2021 (articolo 15) da emanarsi entro aprile 2022 preveda la proposta operativa di realizzazione di un’Agenzia Nazionale di HTA (AIHTA) per la governance dei dispositivi medici dotata delle necessarie competenze multidisciplinari a livello centrale che possa coordinare i centri di valutazione regionali e aziendali cosi come auspicato nel Position Paper SIHTA 2020. Questa rappresenta, a nostro avviso, l’unica soluzione in grado di funzionare concretamente e realizzare in maniera efficace ed efficiente i processi di valutazione dell’innovazione tecnologica biomedicale di un grande Paese come l’Italia (SSN, Università, imprese Medtech, etc.) superando, al contempo, i vecchi approcci, rimasti spesso inapplicati e dimostratisi lenti e poco utili. Ricordiamo che l’HTA rappresenta, per definizione, una sintesi delle diverse competenze (secondo l’approccio UE) e privilegia il lavoro di squadra multidisciplinare all’intuito del singolo o alla gestione del potere di un’ennesima macchina burocratica a basso valore aggiuntivo per l’intera filiera della salute che, nelle fasi di emergenza, ha peraltro dimostrato l’assoluta sterilità culturale e di supporto alle decisioni politiche di sanità pubblica. Occorre ricordare che per la specificità dei dispositivi medici, è fondamentale dedicare in primis risorse adeguatamente formate in tale ambito quali gli ingegneri clinici, gli stessi che spesso si occupano anche dell’intero ciclo di vita del prodotto biomedicale (brevetti, progettazione, produzione, certificazione CE, gestione, assistenza post market, prevenzione eventi avversi, etc.). Infine, davanti alla sfida del Pnrr occorre sottolineare quanto la progettazione dell’architettura del sistema sia importante almeno quanto l’investimento in risorse concrete da dedicare. È quanto mai auspicabile che i piani e i progetti operativi che deriveranno dalle indicazioni contenute nel suddetto documento strategico prevedano il contributo della metodologia dell’Hta a supporto delle policy sanitarie”.
Dispositivi medici. Solo oltre 6400 le segnalazioni di incidente nel 2019
Evidenziate dal rapporto Ministero della Salute. Le problematiche prevalenti riguardano i dispositivi cardiocircolatori.
Nell’Anno 2019 il sistema di vigilanza del Ministero della Salute ha registrato 6.421 incidenti con i dispositivi medici, numero caratterizzato da un incremento rispetto all’anno 2018 in cui le segnalazioni di incidente registrate erano 6.068. Si evidenzia quindi un trend in leggera crescita rispetto agli anni precedenti (anno 2017 con circa 6.000 segnalazioni e anno 2016 con circa 5.000 segnalazioni).
Analisi delle segnalazioni di incidente per Classi di Rischio in relazione alle Classi di Rischio in cui i Dispositivi medici sono raggruppati.
I dispositivi medici sono raggruppati, in funzione della loro complessità e del loro potenziale rischio per il paziente, in quattro classi: I, IIa, IIb, III. La classificazione dipende dalla destinazione d’uso del dispositivo medico, indicata dal fabbricante ed è attribuita secondo le regole di classificazione riportate nell’Allegato IX del Decreto legislativo 24 febbraio 1997, n 46. La classificazione si attua fondamentalmente tenendo conto dell’invasività del dispositivo, della sua dipendenza da una fonte di energia (dispositivo attivo) e della durata del tempo di contatto con il corpo.
Analizzando le segnalazioni di incidente relativamente all’anno 2019 secondo le classi di rischio di appartenenza dei dispositivi medici coinvolti, si evince che su 6.421 segnalazioni, 1.899 hanno riguardato dispositivi medici di Classe III, 1.854 dispositivi medici di Classe IIb, 1.415 dispositivi medici impiantabili attivi e 990 dispositivi medici di Classe IIa.
Analizzando le segnalazioni di incidente per classe di rischio ed esito che l’incidente ha generato, si evidenzia che su 75 segnalazioni che hanno portato al decesso, 50 hanno visto coinvolti dispositivi medici di classe III; su 284 segnalazioni di incidente che hanno portato a inaspettato peggioramento dello stato di salute e/o serio pericolo per la salute pubblica, 73 hanno visto coinvolti dispositivi medici di classe III. Questo evidenzia come i dispositivi medici considerati più invasivi e inseriti nelle classi di rischio più elevate, debbano essere sempre oggetto di maggiore di attenzione sia nelle fasi di sorveglianza che di vigilanza.
L’80% delle segnalazioni di incidente dell’Anno 2019 ha riguardato dispositivi medici di classe III, IIb e impiantabili attivi mentre solo il 3,9% ha riguardato dispositivi medici di classe I
Il maggior numero di segnalazioni di incidente riguarda dispositivi medici appartenenti alle CND P – dispositivi protesici impiantabili e prodotti per osteosintesi, CND J – dispositivi impiantabili attivi, CND Z – apparecchiature sanitarie e relativi componenti, accessori e materiali, CND A – dispositivi da somministrazione, prelievo e raccolta e CND C – dispositivi per apparato cardiocircolatorio, con rispettivamente 1.690 (26,3%), 1.401 (21,8%), 1.310 (20,4%), 568 (8,8%) e 510 (7,9%) segnalazioni di incidenti.
Dal confronto con le segnalazioni di incidente analizzate per CND relativamente all’anno 2018, si evince che in generale le categorie più rappresentate permangono sempre le stesse (P, J, Z, A, e C) seppur con percentuali leggermente diverse. Inoltre, rispetto all’anno precedente, in cui il numero di segnalazioni con CND ND corrispondeva al 13,15%, nell’anno 2019 solo per 52 segnalazioni di incidente, pari allo 0,8%, del totale non è stato possibile individuare la CND, in quanto quest’ultima non era definita né definibile (ND).