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Riformare il sistema del procurement. Perchè l’Italia dovrebbe prendere esempio dalla proposta del Regno Unito

Studio Legale Valaguzza   

È sotto gli occhi di tutti che l’emergenza sanitaria che imperversa da ormai un anno abbia cambiato il modo di vivere e di fare business.

Questo significa, per le Pubbliche Amministrazioni, ripensare totalmente il sistema del procurement. Troppe cose sono cambiate per restare fermi, si pensi all’esigenza di affidare contratti con estrema urgenza, alla necessità di valorizzare l’infungibilità di certe prestazioni, ai mutamenti del mercato degli operatori economici che chiedono sempre più certezza dei tempi e trasparenza delle procedure. Ed infatti, una delle prime ipotesi di lavoro del nuovo Esecutivo è quella di mettere mano al Codice dei Contratti Pubblici – D.Lgs. n. 50/2016, tra chi ne propone una cancellazione totale e chi una modifica mirata nei punti nevralgici, chi spinge per aprire il più possibile a deroghe (in stile Ponte di Genova) che possano aiutare a far ripartire l’economia.

L’Italia farebbe bene a guardarsi un po’ attorno – non c’è vergogna nel prendere spunto da chi, in questo momento, ha un’esperienza migliore  – e tra gli esempi virtuosi da seguire rientra certamente quello del Regno Unito (Si stima che il Regno Unito spenda per gli affidamenti pubblici, ogni anno, circa 290 miliardi di sterline).

Nel dicembre scorso, infatti, il Segretario del Cabinet Office del Parlamento ha presentato un Green Paper contenente una radicale proposta di riforma del sistema del procurement.

 Innanzitutto, il metodo.

La proposta è stata redatta sulla base di un confronto con oltre 500 tra operatori economici del mercato – di ogni dimensione e settore di attività – parti sociali, accademici e avvocati specializzati.

La bozza di riforma è stata poi posta in consultazione pubblica fino al 10 marzo, in modo che chiunque possa far pervenire i propri contributi.

Questo metodo assicura una reale rispondenza delle proposte di modifica alle esigenze degli operatori del mercato, che non si vedono piovere dall’alto delle norme sconosciute ma contribuiscono attivamente alla loro formazione. I dialoghi con gli stakeholders, cioè, non rimangono sulla carta.

In secondo luogo, la chiarezza e la razionalità del sistema normativo. La proposta di riforma mira a raggruppare le oltre 350 normative differenti in materia di procurement in un unico testo normativo. È inutile dire come la certezza del diritto sia un’esigenza avvertita molto forte in Italia, dove troppo spesso la miriade di norme sovrapposte scoraggia la partecipazione alle gare, oppure incoraggia comportamenti illeciti.

In terzo luogo, gli obiettivi ispiratori della riforma.

Il Cabinet Office non vuole solo assicurare la velocità e semplicità delle procedure, la chiarezza dei requisiti di partecipazione alle gare oppure la riduzione del contenzioso in materia di appalti, ma vuole introdurre dei nuovi valori guida senza i quali la ripresa e la transizione economica non si potrà compiere. Si tratta degli obiettivi legati all’impatto sociale delle misure introdotte, ai principi di resilienza e innovazione tecnologica e digitale, alle tematiche ambientali connesse.

Nel merito delle proposte di riforma, senza pretesa di esaustività, si segnalano quelle che appaiono più interessanti e che possono aprire un dibattito anche in Italia.

Le procedure di affidamento dei contratti pubblici vengono ridotte, dalle 7 differenti tipologie attuali, in sole 3 semplici e moderne procedure:

la c.d. competitive flexible procedure, una procedura con regole fisse ridotte al minimo (sostanzialmente il rispetto dei principi generali degli affidamenti, quali trasparenza, concorrenza, non discriminazione, proporzionalità, ecc.) in cui è lasciata ampia discrezionalità alla stazione appaltante nella scelta delle regole e nella possibilità di negoziare aspetti della procedura con gli operatori privati;

la c.d. open procedure, che rappresenta l’attuale procedura standard di affidamento di contratti pubblici, rispetto alla quale vengono semplificati certi requisiti per la partecipazione degli operatori economici e accelerati alcuni termini;

la c.d. limited tendering procedure, una procedura negoziata senza la preventiva pubblicazione del bando da utilizzarsi in determinate circostanze, come per le ipotesi di crisi. A tale riguardo, la proposta insiste sulla definizione del concetto di “crisi”, sforzandosi di precisarne il più possibile i limiti, in modo da giustificare la deroga alle regole ordinarie solo nei casi davvero meritevoli.

 La razionalizzazione delle procedure di gara si accompagna all’introduzione di una serie di garanzie del procedimento, come l’obbligo di pubblicare un avviso per il caso in cui la stazione appaltante decida di ricorrere alle forme più ristrette di gara, la piena disclosure di una serie rilevante di dati relativi all’aggiudicazione e la condivisione di tali dati tra le Amministrazioni, l’utilizzo di standard e modelli uniformi, nonché di un sistema dinamico di acquisizione delle offerte unico.

Molto incisiva appare infine l’indicazione di abbandonare il tradizionale metodo di selezione dell’offerta in base al maggiore ribasso sul prezzo d’asta – metodo fin troppo utilizzato in Italia, a discapito della qualità delle prestazioni – ma di assicurare il giusto mix tra qualità ed effettività delle prestazioni.

Insomma, una riforma del sistema degli affidamenti pubblici è necessaria e non più procrastinabile, quello che si auspica è che si ponga la giusta attenzione alla tecnica legislativa, ossia che si tratti, come sta avvenendo in maniera virtuosa nel Regno Unito, di un intervento organico, razionale e innovativo, ideato e discusso con le parti interessate e che persegua dei forti valori di cambiamento.