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Il principio di risultato e il sindacato del giudice

Avv. Maria Ida Tenuta

La recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2866 del 26 marzo scorso si è occupata del principio di risultato, di cui all’art. 1 D.Lgs. 36/2023, e del relativo sindacato del Giudice amministrativo.

Come noto, il primo articolo del D.Lgs. 36/2023 è dedicato al principio di risultato, che permea l’intero impianto normativo e che rappresenta una delle novità più importanti introdotte dal nuovo codice.

Il risultato a cui le stazioni appaltanti devono mirare, in linea generale, è l’affidamento e la realizzazione di commesse pubbliche di qualità, al miglior prezzo possibile e nel minor tempo possibile.

Il principio di risultato richiama, a sua volta, i principi fondamentali su cui si deve fondare l’azione amministrativa ovvero l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, che sono espressione del principio buon andamento della Pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 Cost..

La novità è rappresentata dal fatto che il principio di risultato risulta essere prioritario rispetto ad altri principi, quale quello della concorrenza, che risultano essere strumentali.

Il principio di risultato risulta essere inoltre il criterio prioritario per l’esercizio della discrezionalità amministrativa (art. 1, comma 4, D.Lgs. 36/2023).

Dall’entrata in vigore del Codice la giurisprudenza ha fatto piena applicazione del principio del risultato traducendosi – in termini di sindacato – come espressione di una valutazione non più formale ma sostanziale (di scopo appunto) della questione giuridica controversa (ad es. sull’applicazione del principio di risultato al soccorso istruttorio sent. TAR Bolzano, 25.10.2023 n. 316 e sull’applicazione del principio di risultato alla verifica dell’anomalia sent. TAR Milano, 28.09.2023 n. 2171).

L’applicazione del principio di risultato pone, tuttavia, due questioni: quella del rapporto tra il principio di risultato e il principio di legalità, e quella del rapporto tra il principio di risultato e il sindacato del Giudice amministrativo, ed in particolare dei limiti del medesimo.

La sentenza in commento si occupa proprio di tale questione applicando il principio di risultato alla valutazione dell’offerta.

In particolare, il caso di specie ha ad oggetto la procedura aperta per l’affidamento della fornitura e l’installazione di sistemi di anestesia e del relativo materiale di consumo; la questione dedotta in giudizio attiene alla conformità o meno dell’offerta dell’aggiudicataria alla disciplina di gara.

In particolare, disciplinare e capitolato consentivano la fornitura di canestri sia monouso che riutilizzabili: ciò che permaneva controverso era se l’offerta dei secondi dovesse necessariamente implicare (anche) la fornitura di calce sodata necessaria per il loro utilizzo.

Il Collegio conclude per la parzialità dell’offerta fornita dall’aggiudicataria in quanto tale offerta, non contemplando la fornitura della calce sodata, non era in grado di essere autosufficiente, ossia non era idonea a garantire il risultato che la disciplina di gara espressamente aveva previsto con una clausola del capitolato: “Il risultato atteso è la fornitura in opera perfettamente funzionante delle apparecchiature”.

In particolare, secondo il Collegio, pur essendo la fornitura in questione non ancora soggetta, ratione temporis, alla disciplina di cui al d.lgs. 36/2023, l’utilizzo da parte della legge di gara del parametro del risultato espliciterebbe e confermerebbe il carattere immanente al sistema della c.d. amministrazione di risultato.

Il Consiglio di Stato ha statuito che: “L’importanza del risultato nella disciplina dell’attività dell’amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione: al contrario, come pure è stato efficacemente sostenuto successivamente all’entrata in vigore del richiamato d. lgs. n. 36 del 2023, il risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili”.

L’applicazione al caso di specie dei richiamati princìpi implica che l’“operazione amministrativa” avuta di mira dalla stazione appaltante, desunta dalla chiara indicazione in tal senso fornita dalla legge di gara, aveva riguardo al fatto che “Il risultato atteso è la fornitura in opera perfettamente funzionante delle apparecchiature”.”

Alla luce di tali presupposti ha stabilito quindi che: “Non soddisfa certamente tale requisito la fornitura di apparecchiature che, come accennato, a fronte dell’apparente minor costo di acquisto implicano il necessario svolgimento di attività materiali e giuridiche aggiuntive: le quali, oltre ai costi relativi ai corrispettivi per l’acquisto degli ulteriori materiali necessari al funzionamento, comportano altresì dei costi relativi ai tempi e all’impiego delle risorse umane necessarie per il compimento delle relative procedure”.

Secondo il Consiglio di Stato il principio di risultato è una sorta di parametro che consente di estendere il sindacato giurisdizionale facendo transitare nell’area della legittimità, quindi del sindacato del Giudice, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili.

In buona sostanza, trattasi di una sorta di criterio positivizzato dal Legislatore attraverso cui verificare il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa attraverso l’ordinario sindacato estrinseco del Giudice amministrativo, ma che comporta una valutazione di tipo sostanziale, e non tipicamente formale del provvedimento amministrativo.

Sembra dunque che il principio di risultato rappresenti un altro strumento con cui si pone al centro del giudizio non più (e non solo) la legittimità del provvedimento impugnato, ma il rapporto giuridico sottostante e la relativa tutela sostanziale delle rispettive posizioni, da intendersi, per la Stazione appaltante, come tutela dell’interesse pubblico ad ottenere dalla procedura selettiva la migliore prestazione possibile e idonea a raggiungere quel risultato che sottende e  permea tutto lo svolgimento della gara stessa.

Affinché si possa trasformare un obiettivo – implicito – in un risultato oggettivo sarebbe forse necessario positivizzarlo all’interno della lex specialis  o comunque indicare degli elementi tali da poter ricostruire la specifica finalità ultima a cui la disciplina di gara tende, e ciò al fine di rendere il sindacato del giudice meno ampio.

L’art. 1 del D.Lgs. 36/2023 è una norma che seppur rappresenta il cardine dello svolgimento dell’azione amministrativa rischia infatti di incontrare due problemi applicativi antitetici: può rischiare di rimanere una norma programmatica o può essere, al contrario, a contenuto estremamente “variabile”, dunque soggettivamente interpretabile sicché sarebbe auspicabile una positivizzazione – caso per caso e nella lex specialis – del concreto risultato che l’Amministrazione si aspetta di raggiungere.