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Nella sanità le centrali uniche di acquisto funzionano?

Risposta affermativa secondo i ricercatori Massimiliano Ferraresi, Gianluca Gucciardi e Leonzio Rizzo 

Le centrali uniche di acquisto consentono di concentrare a livello regionale l’acquisto di beni e servizi essenziali per la salute dei cittadini. L’obiettivo è assicurare costi più bassi a parità di servizio. E il risparmio ottenuto è evidente.

Quanto si risparmia?

L’emergenza sanitaria da Covid-19 e l’identificazione di possibili misure da adottare per superarla hanno riportato la spesa pubblica e gli effetti  della centralizzazione degli acquisti in questo ambito al centro del dibattito pubblico italiano. I cambiamenti organizzativi nella gestione dei processi di acquisto sono volti prevalentemente a contenere la spesa pubblica, sia favorendo lo sviluppo di economie di scala che derivano dall’aggregazione di volumi di acquisti e vendite, sia facendo leva su un processo più snello che possa ridurre il costo di transazione unitario del singolo contratto.

In un recente lavoro, abbiamo stimato l’impatto della centralizzazione degli acquisti sanitari sul livello di spesa delle Asl, focalizzando l’attenzione sulle componenti che si concretizzano in acquisti di beni (per esempio, prodotti farmaceutici e dispositivi medico-diagnostici) e servizi (sanitari e di supporto).

In conformità con la direttiva europea, la nozione di centrale di acquisto (Cua) è stata introdotta nel sistema giuridico italiano nel 2006, all’interno del Codice dei contratti. Mentre in alcune una centrale unica di acquisto era stata avviata già prima del 2006 (Campania, Toscana ed Emilia-Romagna) o lo è stata nel periodo 2006-2007 subito dopo il varo della legge (Lombardia, Piemonte, Liguria, Sardegna, Puglia e Calabria), tutte le altre si sono adeguate soltanto successivamente.

Abbiamo quindi confrontato la variazione di spesa corrente pro capite del gruppo delle Asl che opera in regioni con regime Cua, prima e dopo l’introduzione della centrale di acquisto regionale, con la medesima variazione per il gruppo di Asl che non opera in regioni con Cua nello stesso periodo di tempo. I risultati indicano che la spesa pro capite in beni e servizi delle Asl che operano in regioni in cui è stata introdotta una centrale di acquisto è sempre minore di quella delle Asl che operano in autonomia. Inoltre, la differenza fra le due categorie è crescente nel tempo.

La riduzione stimata della spesa a seguito dell’introduzione delle centrali di acquisto risulta essere pari, in media, a circa 252 euro a persona. Ciò implica che il valore complessivo del risparmio sulla spesa pubblica in sanità si attesta intorno a poco meno di 15,4 miliardi di euro, una cifra equivalente a circa il 20,6 per cento della spesa pubblica sanitaria media in acquisti di beni e servizi e il 13,7 per cento di quella totale media nel periodo considerato.

L’effetto sulla qualità del servizio

Il risparmio di spesa si concentra in prevalenza sulle Asl che operano nelle province caratterizzate da più bassi livelli di qualità delle istituzioni e da elevata corruzione. Allo stesso modo è utile sottolineare che alcune di queste province appartengono a regioni oggetto dei cosiddetti piani di rientro, ovvero di misure atte a contrastare disavanzi nella gestione finanziaria della sanità con l’obiettivo di riequilibrare i conti dei servizi sanitari regionali, garantendo l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza. La compresenza di diverse politiche potrebbe quindi rendere meno evidente a quale misura possa essere attribuita la riduzione dei costi. Tuttavia, è bene chiarire che ci sono Asl appartenenti a regioni soggette al piano di rientro ma con elevati livelli di qualità delle istituzioni (come il Piemonte), così come ce ne sono altre di regioni con bassi livelli di qualità istituzionale ma non soggette al piano di rientro (come la Basilicata) nel periodo di osservazione.

La nostra analisi consente poi di escludere che la riduzione della spesa in beni e servizi sanitari sia andata a detrimento della qualità del servizio pubblico offerto ai cittadini. Infatti, nei territori di riferimento delle Asl trattate, il tasso di mortalità per diverse patologie soggette a ospedalizzazione e le dimissioni da ricovero non hanno subito variazioni significative dall’introduzione delle centrali uniche di acquisto regionali.

Il risultato ci dice quanto sia importante un’azione coordinata tra i diversi centri di spesa per ottenere risparmi rilevanti. Queste risorse, però, non devono essere sottratte al servizio sanitario pubblico, ma devono essere impiegate per il suo potenziamento soprattutto delle regioni meridionali più colpite dall’inefficienza del sistema precedente, legata alla bassa qualità delle istituzioni e all’elevato livello di corruzione. Dal nostro lavoro si potrebbero trarre indicazioni utili anche per un’eventuale centralizzazione di alcuni acquisti sanitari di rilievo nazionale, come quelli relativi ai dispositivi anti-Covid: se fatti a livello centralizzato, potrebbero comportare costi inferiori a quelli finora sostenuti dalle singole regioni. (fonte: la voce.info)