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L’applicazione dell’accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di gara: contrasto tra le Sezioni del Consiglio di Stato

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi.

Con un’interessante sentenza il Consiglio di Stato (Sezione V, n. 5503/2019) torna sul tema del rapporto tra l’accesso civico di cui al d. lgs. 33/2013 e l’accesso agli atti delle procedure di gara.

Come è noto, a tutt’oggi, convivono nel nostro ordinamento diverse tipologie di accesso agli atti, ognuna regolata da una propria disciplina.

Accanto all’accesso tradizionale, previsto dalla legge 241/90, caratterizzato dall’interesse differenziato dell’istante, che fonda il suo diritto di conoscere ed estrarre copia di un atto amministrativo, il legislatore ha previsto ulteriori tipologie di accesso volte a tutelare l’interesse generale alla conoscenza dei provvedimenti e/o documenti della pubblica amministrazione.

Così, con l’articolo 5 del d.lgs. n. 33/2013, è stato introdotto l’accesso civico c.d. “semplice”, con cui il soggetto, a prescindere da un interesse manifesto, può richiedere di prendere visione ed estrarre copia di documenti, informazioni e dati oggetto di pubblicazione obbligatoria. Il c.d. accesso civico “generalizzato” è stato invece previsto dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013 a seguito della novella del d.lgs. n. 97/2016, e consente a “chiunque” l’accesso ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, anche se non oggetto di pubblicazione (fermi i casi di esclusione ed i limiti di cui all’art. 5-bis, d.lgs. 33/2013).

Il diritto di accesso nell’ambito delle gare pubbliche è disciplinato dall’art. 53 del D. Lgs. 50/2016, che al comma 1 prevede “Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

La sentenza del Consiglio di Stato trae origine da una pronuncia di primo grado che aveva affermato che, per quanto la disciplina sull’accesso in materia di appalti pubblici trovi la sua espressa regolamentazione all’interno del Codice dei contratti pubblici, ciò non preclude l’applicabilità della disciplina sull’accesso civico di cui all’art. 5 del D. Lgs. 33/2013. Nel caso concreto, la pubblica Amministrazione aveva rigettato un’istanza di accesso formulata ai sensi degli articoli 22 e ss. della L.241/90 e dell’art. 3 del D.Lgs. 33/2013.

Dopo un’ampia ricostruzione delle diverse tipologie di accesso, ciascuno caratterizzato da propri presupposti e limiti, il Consiglio di Stato ha in primo luogo precisato che, ai fini della scelta sulla disciplina da applicare, l’Amministrazione è vincolata alla richiesta dell’istante, restando preclusa la possibilità – per la PA, in sede procedimentale, e per l’istante, in sede di giudizio – di qualificare diversamente l’istanza individuando la disciplina meglio idonea a soddisfare l’interesse concreto.

Nell’indagare i rapporti tra l’accesso civico e quello in materia di appalti la sentenza muove dall’art. 5-bis, comma 3, del D.Lgs. 33 del 2013 – “esclusioni e limiti all’accesso civico” – che prevede “il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.

Dunque, nell’individuare i casi di “esclusione assoluta” dell’accesso civico, la disposizione elenca ipotesi in cui il diritto alla trasparenza recede in ragione di interessi maggiormente rilevanti. In particolare, secondo il Consiglio di Stato, l’inciso secondo cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”, è riferibile a tutte le ipotesi in cui vi sia “una disciplina vigente che regoli specificatamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazione, subordinandolo a condizioni, modalità o limiti peculiari”. Ciò, tuttavia, non comporta che alla disciplina cd. “settoriale” vada sempre riconosciuta portata derogatoria rispetto alla disciplina generale in materia di accesso, quanto piuttosto che occorra verificare la compatibilità della normativa generale con i limiti posti da quella cd. “settoriale”.

In materia di appalti pubblici, considerando il richiamo testuale alla disciplina dettata dagli articoli 22 e seguenti della L. 241/90, occorrerà compiere un rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa generale in tema di accesso documentale. Senza i relativi presupposti, diversi da quelli dell’accesso civico, non potrà essere concesso l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici. Ai fini dell’accessibilità agli atti formati e depositati nelle procedure ad evidenza pubblica, occorre dunque sempre, secondo la sentenza, che l’interessato vanti un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata

La V Sezione afferma dunque un principio opposto a quello poco prima espresso, in un caso analogo, dalla Sezione III del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3780 del 5 giugno 2019. In quella sede si era infatti ritenuta applicabile anche alla materia dei contratti pubblici la disciplina generale sull’accesso civico generalizzato, e ciò sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata e non “statica” delle disposizioni vigenti in materia di accesso.

Ora si precisa invece che l’accesso civico generalizzato è stato introdotto nel corpo del D.lgs. 33/2013 con il D.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, sicché, se il legislatore avesse voluto estenderlo alla materia dei contratti pubblici, avrebbe potuto inserirlo nel Codice attraverso il cd. “correttivo” di cui al D.Lgs. 19 aprile 2017 n. 56. La disciplina in materia di appalti trova origine in specifiche Direttive europee di settore che già garantiscono il principio di trasparenza e che, tra l’altro, assicurano il rispetto di altri principi comunitari, tra cui, in primis, quello di concorrenza. In tale contesto, la richiesta dell’istante deve essere vagliata dall’Amministrazione procedente al fine di verificare la c.d. “meritevolezza” della richiesta. D’altra parte, si rileva nella sentenza, se consentire l’accesso civico nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici è considerato il rimedio all’esigenza più volte affermata nell’ordinamento europeo di assicurare procedure d’appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto alla corruzione, a tale funzione è già deputata l’ANAC.

Con l’ultima pronuncia il Consiglio di Stato corrobora dunque il filone interpretativo (Tar Emilia Romagna – Parma, 18 luglio 2018, n. 197; T.A.R. Lazio, Sez. II, sentenza del 14 gennaio 2019, n. 425) secondo cui la disciplina contenuta nell’art. 53 del D.lgs. n. 50/2016 (ivi ricompreso l’espresso richiamo all’applicabilità delle regole in materia di diritto di accesso ordinario) rappresenta ipotesi di esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis su richiamato.

L’interpretazione volta ad arginare un indiscriminato accesso alla documentazione di gara appare del condivisibile, ma il contrasto tra le sezioni fa prevedere che la partita non verrà chiusa fino ad un intervento della Plenaria.

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