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Commento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 321 del 10 gennaio 2024 sulla tipologia di vizio da cui è affetto il provvedimento amministrativo contrario al diritto europeo

Avv. Anna Cristina Salzano

Il Consiglio di Stato, con sentenza 321/2024 del 10 gennaio 2024, ha affrontato l’interessante tema delle conseguenze sul diritto nazionale delle pronunce della Corte di Giustizia che sanciscono la non conformità al diritto dell’Unione Europea di disposizioni nazionali e sulla tipologia di vizio di cui è affetto il provvedimento amministrativo contrario al diritto europeo.

Il caso all’esame del Collegio aveva ad oggetto il provvedimento di esclusione di un raggruppamento temporaneo di imprese da una procedura di gara di lavori, nello specifico si trattava di un Accordo Quadro per l’affidamento di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ai sensi del D.lgs. 50/2016 il cui disciplinare prevedeva, relativamente ai requisiti di qualificazione in relazione alle categorie di lavori, il possesso del requisito in misura maggioritaria in capo alla mandataria.

L’art. 83, comma 8, del D.lgs. 50/2016 prevedeva che “Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. Per i soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere d), e), f) e g), nel bando sono indicate le eventuali misure in cui gli stessi requisiti devono essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria…”.

Come noto tale previsione è stata dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte di Giustizia della U.E. 28 aprile 2022, causa C-642-20 che ha affermato la non conformità alle direttive UE dell’art. 83, comma 8, terzo periodo, del D.lgs. 50/2016, rilevando che “L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”.

A seguito di proposizione del ricorso da parte del RTI escluso, il TAR per la Puglia (Sezione Seconda) con sentenza n. 372/2023, accoglieva la tesi del ricorrente sulla illegittimità della previsione della lex specialis affermando che in “applicazione della sentenza della Corte di Giustizia, sez. IV, 28 aprile 2022, C-642/20, disapplicando perciò la normativa nazionale ritenuta incompatibile col diritto dell’Unione europea e reputando illegittima la clausola del disciplinare di gara conforme al diritto interno, quindi illegittimo il provvedimento di esclusione basato su tale clausola”.

La suddetta decisione veniva impugnata dall’Amministrazione soccombente che censurava la sentenza, tra gli altri motivi, anche per non aver accolto l’eccezione di tardività del ricorso.

Ed infatti, secondo l’appellante, il ricorrente avrebbe dovuto censurare immediatamente la clausola del bando che prevedeva il possesso dei requisiti di qualificazione in relazione alle categorie di lavori in misura maggioritaria in capo alla mandataria in quanto si trattava di una cd. clausola immediatamente escludente.

Peraltro, secondo l’appellante, la sentenza di primo grado aveva utilizzato l’istituto della “disapplicazione” del diritto interno mediante un’attività interpretativa che aveva condotto in sostanza a “disapplicare”, non solo la norma di legge primaria, ma anche il disciplinare di gara per incompatibilità col diritto dell’Unione Europea.

Ebbene, il Consiglio di Stato, riformando la sentenza di primo grado, ha affrontato l’interessante tema delle conseguenze sul diritto nazionale e sulla disciplina di gara delle sentenze della Corte di Giustizia.

Nello specifico con la sentenza in commento il Consiglio di Stato partendo dall’assunto della portata immediatamente escludente nei confronti del RTI della clausola in esame affermava la tardività dell’impugnazione della stessa solo a seguito dell’esclusione (“Si verte in una fattispecie tipica di clausola c.d. immediatamente escludente, per la quale sussisteva l’onere dell’impugnazione tempestiva del bando di gara, alla stregua della nota giurisprudenza richiamata da entrambe le parti…Si tratta di clausola riguardante requisiti di partecipazione legati a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento (cfr. già Cons. St., Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1 e id., Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).

Il raggruppamento escluso -sostanzialmente riconoscendone la portata pregiudizievole per i propri interessi – ha impugnato la legge di gara, chiedendo l’annullamento in particolare “del disciplinare di gara nella parte in cui, agli artt. XIII.1 e XIV, reca disposizioni in contrasto con le previsioni di cui all’art. 83, co. 8, d.lgs. 50/2016 e s.m.i. e art. 92, co. 2, d.P.R. 207/2010 e s.m.i., laddove si prevede che la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria giusta sentenza della Corte di Giustizia UE n. 642/2020, pubblicata il 28.4.2022, […]”, come da ricorso introduttivo del primo grado di giudizio.

Tuttavia, rispetto alla data del bando, trasmesso il 10 maggio 2022, per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, è tardiva l’impugnazione proposta col ricorso notificato dopo la comunicazione del provvedimento di esclusione in data 4 novembre 2022, unitamente a tale provvedimento”).

Di conseguenza, la Sezione V del Consiglio, incontestata la portata vincolante, nei confronti dell’amministrazione e dei giudici nazionali, delle sentenze della Corte di Giustizia interpretative del diritto dell’Unione, si è soffermata sulla tipologia di vizio da cui è affetto il provvedimento amministrativo contrario al diritto europeo (c.d. anti-comunitario o anti-europeo) e del rimedio esperibile per via giurisdizionale dalla parte privata che ne sia pregiudicata.

La questione – come rilevato dal Consiglio di Stato – è oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ha individuato diversi rimedi, a seconda delle varie elaborazioni riguardanti i rapporti tra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale.

L’interpretazione prevalente, discostandosi dalla teoria della nullità per violazione dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990 e quella della necessaria disapplicazione del provvedimento amministrativo in analogia alla disapplicazione della fonte normativa primaria in contrasto col diritto comunitario, è quella di configurare il vizio come di illegittimità per violazione di legge, con conseguente annullabilità per via giurisdizionale ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, ed eventualmente in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies della stessa legge.

Tale assunto interpretativo risulta valido sia per la violazione c.d. diretta, prodotta cioè direttamente dal provvedimento amministrativo contrario al diritto dell’Unione, sia per la violazione c.d. indiretta, prodotta in via mediata dal provvedimento amministrativo conforme ad una norma di legge interna incompatibile con quel diritto, come nel caso di specie.

In entrambi i casi – afferma il Consiglio di Stato – il vizio è riconducibile alla violazione di legge in ragione della tendenziale unitarietà dei due ordinamenti, sia pure con la prevalenza di quello europeo sancita dagli artt. 11 e 117 della Costituzione.

Ed infatti, l’individuazione del vizio di annullabilità comporta che, nel caso in cui si voglia censurare l’illegittimità del provvedimento amministrativo nazionale per contrasto con le norme europee avanti al giudice amministrativo, occorre osservare le norme che regolano il processo, in particolare rispettando il termine fissato a pena di decadenza dall’impugnazione.

Indefinitiva, i Giudici di Palazzo Spada affermano che il bando di una procedura ad evidenza pubblica contenente una clausola escludente che, applicando una norma di legge nazionale ritenuta dalla Corte di Giustizia in contrasto col diritto dell’Unione, ne impone l’osservanza nella singola gara va impugnato, e non può essere soltanto “disapplicato” e dunque laddove si tratti di una clausola immediatamente escludente, l’impugnazione del bando deve essere proposta nel termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a..

Si tratta quindi di una fattispecie analoga a quella che si configura quando una clausola del bando di gara si assume illegittima per contrasto col diritto interno. Nell’un caso e nell’altro, a meno che non si tratti di clausola nulla il bando illegittimo non può essere rimosso per via giurisdizionale una volta che le sue previsioni siano divenute stabili per mancata tempestiva impugnazione.