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Busia: il Codice Appalti si gioca tutto sulla buona progettazione, qualificate finora meno di 3.000 Stazioni Appaltanti

INTERVISTA AL PRESIDENTE ANAC

«Stimavamo 13mila amministrazioni qualificate: sono molte meno, ma ora non bisogna allargare le maglie, semmai stringerle. Servono 100 grandi soggetti pubblici ben qualificati. La riduzione della concorrenza è un dato oggettivo, ma noi garantiremo trasparenza.

Frenata a luglio, vediamo se compensata dalle opere PNRR» –

di Giorgio Santilli

«Scritte le regole, ora bisogna dare al codice dei contratti le gambe per camminare. Il tema più rilevante e concreto che la realtà ci porrà, la vera sfida da affrontare subito è la qualificazione delle stazioni appaltanti, da cui dipende tutto il resto. Se non si attua fino in fondo tale corso, immettendo risorse umane e finanziarie per garantire un reale rafforzamento della capacità amministrativa degli enti, tutto il meccanismo del codice dei contratti non regge più. Non regge il processo di digitalizzazione. Non regge il principio di fiducia e di discrezionalità su cui il codice è basato».

Il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), Giuseppe Busia, fa un quadro dello stato dell’arte del codice dei contratti a 25 giorni dalla sua piena operatività.

Primi bilanci e sfide «da cui capiremo se il codice riesce davvero a mantenere le promesse». Un codice che «non è autoapplicativo, come si è detto, visto che abbiamo dovuto adottare dodici delibere per adeguare la normativa secondaria alle nuove regole legislative».

Presidente Busia, dice che dalla qualificazione delle stazioni appaltanti dipende il destino del codice. Ma che cosa è concretamente questo processo di qualificazione?

C’è una questione di organizzazione e una di formazione. Sul piano organizzativo, lo sforzo da fare è creare almeno un centinaio di centrali di committenza ben qualificate, robuste, diffuse sul territorio, tendenzialmente specializzate. Non basta l’aggregazione nazionale per dare un supporto effettivo a tutte le amministrazioni, serve una rete sul territorio e specializzata. Il secondo aspetto è la qualificazione alle persone: dobbiamo creare la capacità di fare. Questo è l’intervento fondamentale, che ha il suo seme nel PNRR ma va anche oltre il PNRR. Tanto più dopo che si è deciso di non emendare il codice, ma di riscriverlo totalmente, basandolo sul principio della fiducia, su una più ampia discrezionalità dell’amministrazione, sul principio di risultato.

La priorità politica sembra, però, fare. Anzi, fare in fretta.

I contratti pubblici sono uno strumento per attuare le politiche pubbliche. Il principio di risultato non è il risultato purché sia, ma è comprare coerentemente ai grandi obiettivi di transizione digitale, transizione ecologica, sostenibilità sociale. E questi richiedono progettualità, competenza nel progettare le gare, capacità di usare tutte le leve. Se devo fare una scuola, l’obiettivo non è solo fare un edificio il più in fretta possibile, ma creare spazi che siano inclusivi, facilitino l’apprendimento, consentano di svolgere al meglio le attività comuni. Altrimenti, si sprecano i soldi e si perde più tempo perché le criticità arriveranno più avanti. Il vero investimento per risparmiare tempo non è amputare pezzi del percorso di gara a scapito di concorrenza e trasparenza, ma è qualificare le stazioni appaltanti e progettare bene. Fare buone gare ottiene un doppio beneficio: si fanno meglio le opere e si cambia il mercato, premiando quelle imprese che investono sugli obiettivi che vogliamo perseguire, la digitalizzazione, la transizione ecologica e l’inclusione sociale.

Per la qualificazione delle stazioni appaltanti ha definito proprio l’ANAC criteri di selezione molto annacquati che il codice ha poi recepito integralmente nell’allegato II.14. Questa è una critica centrale: cosa risponde? 

Nonostante le maglie larghe, molti non riescono a passare attraverso queste maglie. Ci aspettavamo un numero di stazioni appaltanti qualificate più alto di quello che effettivamente stiamo registrando, che è fermo a meno di 3000. Ma non voglio eludere la sua domanda. È stato giusto non stringere troppo in partenza, per non paralizzare il sistema: stiamo anche usando la qualificazione in deroga che consente alla stazione appaltante di acquisire successivamente un requisito che ancora gli manca. Ma ora sarebbe sbagliato tornare indietro sui requisiti per il fatto che qualcuno ha difficoltà a ottenere la qualificazione.

Il governo ha la possibilità con un regolamento di modificare questi parametri. Considerando la posizione dell’Associazione nazionale dei comuni (Anci), che da sempre frena questo processo, il rischio di tornare indietro e annacquare ulteriormente mi pare alto.

Così si metterebbe a rischio non solo il buon funzionamento del codice ma anche l’investimento di crescita che il PNRR ci chiede di fare, spingendo verso un vero salto di qualità dell’amministrazione. Ben vengano le modifiche, soprattutto se servono a dare un’indicazione chiara e stabile a tutti, ma la direzione deve essere di alzare l’asticella per acquisire una migliore qualificazione, non di fare sconti alle stazioni appaltanti che non sono riuscite a fare gli investimenti in qualificazione.

Concretamente cosa sta accadendo? Come mai il numero delle amministrazioni qualificate è più basso del previsto e quante pensavate si potessero qualificare?

Stimavamo che fossero qualificabili 13mila delle 26mila stazioni appaltanti attive oggi. Al ritardo del processo concorrono vari fattori. Qualcuno non ha fatto domanda perché non aveva necessità di farla ora. Molte piccole amministrazioni hanno probabilmente rinunciato a qualificarsi perché hanno ritenuto che la soglia innalzata a 500mila euro fosse sufficiente per svolgere gli appalti essenziali. Molte altre perché tutto il PNRR è stato escluso fino a fine 2023. Il processo è stato messo in moto e sta andando avanti, ora dobbiamo remare tutti nella stessa direzione. Quello che comunque serve è creare una rete di centrali di committenza per tutte le stazioni appaltanti che non hanno la qualificazione, mostrando come la pubblica amministrazione può organizzarsi per centri di competenza che si mettono al servizio degli altri. Se la qualificazione del codice appalti funziona, diventa un buon esperimento di come dovrebbe essere organizzata tutta la pubblica amministrazione. Non abbiamo risorse per garantire competenze davvero elevate in tutte le migliaia e migliaia di centri di acquisto. Le dobbiamo allora concentrare e fare in modo che siano al servizio di chi non riesce a qualificarsi. Noi stessi, nella parte di attività della vigilanza collaborativa, in cui ci stiamo impegnando tantissime risorse, vogliamo essere un centro di competenza che aiuta le stazioni appaltanti a evitare errori, a comprare bene, a fare prima, a superare la paura della firma. Questo elemento collaborativo va valorizzato in tutta la Pubblica Amministrazione come modo corretto di operare: così l’amministrazione si organizza non più come una somma di monadi, ma come rete.

Digitalizzazione è l’altra grande questione. E tutti aspettano come una svolta, ma anche con qualche preoccupazione, la vostra piattaforma di e-procurement. È fondamentale che le stazioni appaltanti siano connesse ma anche che si realizzi finalmente quella interoperabilità fra banche dati su cui c’è una lunga storia di resistenze. 

È vero. Per superare queste resistenze non basta scrivere un articolo di legge, è necessario che tutte le amministrazioni in possesso di dati se ne convincano e ne diano applicazione. Bisogna passare dall’idea proprietaria dei dati, all’idea che i dati di ciascuna amministrazione sono al servizio dei possibili utilizzi, anche da parte di altri soggetti. Con riferimento alla nostra banca dati, ripeto sempre che, più soggetti la guardano e utilizzano i nostri dati, più è prezioso il nostro lavoro. Anche per questo, oltre che per trasparenza, dal novembre 2020 abbiamo reso liberamente consultabili tutti i nostri dati. Stiamo inoltre costruendo la Piattaforma unica della trasparenza, una nostra idea che siamo riusciti a far inserire in alcuni provvedimenti di legge, come quello sui servizi pubblici locali. Anziché far creare ad ognuna delle migliaia di amministrazione una sezione specializzata del proprio sito dedicata alla trasparenza, costituiamo una sola piattaforma, centrale, dalla quale tutti possano accedere facilmente a tutto. In questo modo si fa economia di scala, si semplificano gli adempimenti, si rendono possibili i confronti fra le diverse amministrazioni e così si incentiva la diffusione delle migliori pratiche. Tornando alla digitalizzazione degli appalti, il Fascicolo virtuale dell’operatore economico è un esempio virtuoso, e funziona se è il nodo di una rete di questo tipo.

A proposito di Fascicolo virtuale dell’operatore economico, tutti ne vedono la strategicità, ma molte imprese lamentano che il vostro sistema si blocchi spesso. Non c’è il rischio di continue punte di traffico cui i vostri sistemi non riescono a rispondere tempestivamente?

Stiamo facendo notevoli investimenti per potenziarne l’utilizzabilità da parte di una domanda crescente di soggetti. Qualche mal funzionamento da traffico eccessivo è certamente un problema, al quale stiamo provvedendo, ma anche la misura del successo di questo passaggio storico. Dimostra che uno strumento che prima non esisteva e che abbiamo inventato ha una effettiva utilità per semplificare gli adempimenti delle imprese, oltre che per rendere più facile l‘attività delle amministrazioni.

Il rilascio dei Cig sta procedendo?

Abbiamo avuto la classica impennata a giugno, tutti hanno voluto ancorarsi al vecchio codice per i progetti che avevano pronti. Hanno scelto ciò che era noto, come sempre accade. Per dare una valutazione sulla prima fase del nuovo codice, dovremo aspettare i dati completi di luglio che non abbiamo ancora: vedremo quanto la fisiologica frenata di fronte a regole nuove, sarà compensata dall’accelerazione per le gare PNRR.

Lei ha sollevato il problema della concorrenza e della trasparenza per l’innalzamento delle soglie in cui si procede con affidamento diretto e procedura negoziata. Mi interessa il lato informativo: con queste procedure si torna al cono d’ombra, all’assenza totale di qualunque informazione su cosa stia accadendo nel mercato, come era prima del 1994, oppure con i dati trasmessi all’ANAC, si riesce a garantire comunque in tempo reale un livello sufficiente di informazione su quanto accade?

La riduzione della concorrenza e della trasparenza preventiva sono elementi oggettivi, frutto dell’innalzamento delle soglie. Dobbiamo almeno compensarli con la trasparenza contestuale o successiva, ed a questo serve la nostra banca dati aperta: le stazioni appaltanti devono chiedere il CIG e usare la piattaforma interconnessa per dare notizia dell’affidamento avvenuto e delle diverse fasi della gara. Su questo punto saremo molto attenti.

Che pensa della generalizzazione dell’appalto integrato?

Con l’appalto integrato la stazione appaltante rinvia il momento clou alla presentazione del progetto. Poiché quando l’impresa presenta il proprio, questo non corrisponde quasi mai alle reali aspettative della stazione appaltante, essa si trova davanti a un bivio: o accetta quanto propone l’impresa anche se non risponde pienamente a quanto le serve o non presenta una qualità adeguata. Oppure si mette a fare le pulci al progetto che l’impresa ha presentato, e allora nasce una contrattazione che inevitabilmente, da un lato, allunga la procedura facendo perdere i tempi che si erano risparmiati nella fase iniziale e, dall’altro, comporta modifiche e fa quindi lievitare i costi rispetto all’aggiudicazione. Non voglio generalizzare né demonizzare l’appalto integrato, ma dico che in alcuni casi può essere utile, in altri no. Soprattutto non deve passare, con l’appalto integrato, l’idea che la fretta di fare azzera quella progettualità che è l’unica via per realizzare al meglio le politiche pubbliche, come nell’esempio che facevo della scuola.

Quale sarà la prossima delibera che adotterete per attuare il codice?

Abbiamo fatto un grandissimo sforzo per approvare tutte le delibere necessarie e i regolamenti in tempo per l’entrata in vigore. In particolare, abbiamo approvato anche il nuovo bando tipo, per fornire non solo regolamentazione, ma anche strumenti pratici, che siano di aiuto concreto alle stazioni appaltanti, specie le più piccole e meno organizzate. Detto questo, via via che le regole del nuovo Codice vengono applicate, sorgono dubbi e riceviamo continue richieste di parere e chiarimento, che stiamo cercando di soddisfare per garantire che non vi sia o si riduca il più possibile lo spiazzamento di fronte alle nuove regole.

RICERCA BOCCONI

Qualificazione delle stazioni appaltanti, il nuovo Codice non premia chi rispetta tempi e costi del contratto

Francesco Decarolis relatore di una prima tesi magistrale sul nuovo sistema.

Nessuna relazione fra punteggio assegnato ed efficacia della performance: pesano più la dimensione dell’amministrazione e il numero delle gare bandite. Se il 25% delle peggiori PA avesse agito come il 25% migliore si sarebbero potuti risparmiare 124 miliardi negli ultimi dieci anni.

Le resistenze dell’ANCI e le correzioni peggiorative del Governo Meloni

di Giorgio Santilli

Una delle questioni fondamentali che il nuovo codice deve affrontare è la qualificazione delle stazioni appaltanti. Su questo punto c’è largo consenso fra i settori economici e gli osservatori, ma anche la storica resistenza dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Per questo si rende necessario prestare grande attenzione al modo in cui, passo dopo passo, sarà attuata. Controverso è, per esempio, se i criteri definiti dall’allegato II.4 per assegnare i punteggi e qualificare le stazioni appaltanti siano congrui a garantire uno scatto di efficienza del sistema. Se, in altre parole, le amministrazioni e gli enti qualificati saranno capaci di realizzare i contratti in modo più efficiente. La risposta definitiva la potranno dare solo i fatti, in una materia non solo complessa, ma anche molto innovativa per l’Italia (nonostante fosse già inserita nel precedente codice dove non è mai stata attuata). La scienza economica, tuttavia, tenta analisi del sistema ex ante almeno per capire se la rotta sia quella giusta. E la prima risposta è tutt’altro che rassicurante.

Una prima analisi arriva, infatti, dall’Università Bocconi dove Francesco Decarolis, ordinario di Economia riconosciuto fra i massimi esperti di economia degli appalti e membro della commissione Carbone del Consiglio di Stato che ha messo a punto il primo testo del nuovo Codice , ha partecipato da relatore alla discussione di una tesi magistrale sostenuta da Giacomo Anastasia e intitolata «Procurement Performance in Italy: The Role of Public Buyers». La tesi prova a rispondere anzitutto alla domanda cosa sia una stazione appaltante efficiente e la risposta che dà Anastasia è che sia una stazione appaltante che limita gli scostamenti (overruns) dai tempi e dai costi previsti.

Qui già i criteri di qualificazione sanciti dal nuovo Codice appaiono molto poco aderenti allo scopo dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa perché nella formula dell’allegato II.4 che serve ad attribuire il punteggio necessario per qualificare le PA, il 37% del peso è dato dal numero delle gare bandite e solo il 4% dal rispetto di tempi e costi nelle passate performance. Chi ha una grande dimensione e fa tante gare ha una corsia preferenziale verso la qualificazione indipendentemente dall’efficacia della sua azione, mentre chi rispetta tempi e costi non avrà alcuna spinta verso la qualificazione.

Certamente – sostiene Anastasia – il capitale umano è fondamentale per garantire adeguate performance dei buyers pubblici. Qui il nuovo Codice  va meglio perché i requisiti del personale pesano per il 40% ed effettivamente viene premiato chi può vantare più laureati e diplomati (anche se una notevole frammentazione dei requisiti non aiuta a dare indicazioni chiare).  Anastasia svolge qui un esercizio per dire quanto pesi una buona qualificazione. Dopo aver valutato le passate prestazioni di un certo numero di stazioni appaltanti e aver stabilito un ranking basato sui criteri della qualificazione del nuovo Codice, Anastasia giunge alla conclusione che se il 25% dei peggiori burocrati avesse agito come il 25% dei migliori il risparmio per il sistema sarebbe stato di 124 miliardi di euro in dieci anni.

La forte eterogeneità tra le amministrazioni è potenzialmente una ragione della necessità di imitare la capacità di appaltare e ridurre il numero delle stazioni appaltanti «ma la formula – conclude Anastasia – dovrebbe essere aggiustata». Questo perché, se è vero che le amministrazioni qualificate presentano performance migliori delle non qualificate, è altrettanto vero che la formula non è in grado di distribuire una correlazione fra il punteggio assegnato e l’efficacia dell’azione della stazione appaltante. In altri termini – con la formula attuale – alle amministrazioni più efficienti non corrispondono necessariamente punteggi più alti.

La tesi di Giacomo Anastasia, che rimanda a ulteriori sviluppi di ricerca, ha il doppio merito di aver avviato un campo di analisi e di tenere alta l’attenzione su un argomento decisivo per la riuscita del nuovo Codice. Tanto più che il passaggio fra il testo consegnato a Palazzo Chigi dalla commissione Carbone e il testo finale approvato dal Cdm ha portato correzioni che vanno tutte in direzione di un forte allentamento della qualificazione delle PA. Così come non si può escludere che la modifica dell’allegato II.4, possibile con regolamento approvato dal Governo, possa produrre un ulteriore annacquamento della qualificazione.

Qui si ricordano le quattro modifiche, peggiorative in termini di rigore, apportate al sistema di qualificazione delle PA dal Governo Meloni, in sintonia con le richieste avanzate dall’ANCI: 1) innalzamento da 150mila a 500mila della soglia sotto la quale le amministrazioni possono appaltare anche senza essere qualificate; 2) allungamento da annuale a biennale della durata della qualificazione; 3) inserimento delle unioni di comuni fra le amministrazioni qualificate d’ufficio; 4) allargamento della fascia di tolleranza che rende estremamente difficile la retrocessione di un’amministrazione da una categoria a una più bassa in caso di riduzione del punteggio in fase di rinnovo (nel testo del CdS la retrocessione scattava con un punteggio inferiore di oltre il 5% al requisito minimo della propria classifica, in quello del governo scatta se non si raggiunge il requisito della categoria inferiore maggiorato del 5%).

(fonte: Diario dei nuovi appalti)