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Prezzo di mercato in diminuzione? Si può non aggiudicare

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

L’espletamento della procedura non  “cristallizza” l’appalto. Una aggiornata indagine di mercato puo’ condurre, per ragioni di pubblico interesse,  ad  una  non-aggiudicazione.

La “clausola di salvaguardia” di cui  all’art. 95, comma 12, del Codice dei contratti  (“Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto. Tale facoltà è indicata espressamente nel bando di gara o nella lettera di invito”) è applicabile  anche in relazione all’andamento dei prezzi di mercato. Si tratta di una discrezionalità valutativa esercitata a “buste aperte”, quindi da motivarsi adeguatamente.

La facoltà di non aggiudicare, pur essendo l’offerta in diminuzione sulla base d’asta, è confermata dal Consiglio di Stato con un recente pronunciamento (sez. III, 17.02.2021 n. 1455)

“La stazione appaltante, attraverso un’indagine di mercato, ha rilevato che il prezzo cui si sarebbe aggiudicata la gara era superiore alle migliori quotazioni rivenienti da aggiudicazioni effettuate in ambito nazionale; richieste le giustificazioni all’offerente, e ritenute le stesse tali da non giustificare il sovrapprezzo, ha quindi fatto applicazione dell’apposita clausola di salvaguardia inserita nella legge di gara.

L’appellante invoca l’art. 97 del vigente codice dei contratti pubblici, che è però parametro inconferente, perché relativo alla valutazione di anomalia dell’offerta.

Per le stesse ragioni non è pertinente il richiamo alla giurisprudenza in materia di valutazione della congruità o dell’anomalia dell’offerta.

Peraltro, fermo restando che – proprio in base a tale orientamento giurisprudenziale – una simile valutazione è sindacabile in giudizio solo in relazione a macroscopici profili di illogicità od irragionevolezza manifesta (non sussistenti nel caso di specie), ciò che caratterizza la peculiare vicenda dedotta nel presente giudizio è che non si controverte intorno ad un giudizio di anomalia, ma dell’applicazione della clausola di salvaguardia, a sua volta consentita dall’art. 95, comma 12, del medesimo codice).

Il potere di non aggiudicare la gara era dunque, in presenza di simile attribuzione, subordinato unicamente alla valutazione di non convenienza economica, che nel caso di specie appare essere stata conseguente ad adeguata ricognizione, ed esplicitata in idonea motivazione, nei termini sopra richiamati.

L’unica offerta valida, delle sette presentate, è risultata di importo superiore a quello rilevato mediante attività di benchmarking dei prezzi di beni e servizi in ambito sanitario; l’offerente, odierna appellante, ha giustificato tale circostanza limitandosi a rilevare che tale prezzo sarebbe risultato in linea con quello praticato alla ASL di XXX  (peraltro, come deduce la parte appellata, a seguito non di gara ma di affidamento diretto).

Tale motivazione non è stata ritenuta tale da giustificare un’offerta non conveniente sul piano economico: tanto più in relazione ad una domanda aggregata, che avrebbe dovuto al contrario consentire l’acquisizione a condizioni di mercato migliori e non peggiori rispetto a quelle medie.

La plausibilità e ragionevolezza della decisione del seggio di gara, in presenza dei richiamati presupposti fattuali e giuridici, esclude che essa sia affetta dai vizi dedotti, ed altresì che sia stato leso un affidamento qualificato dell’appellante, dal momento che proprio la legge della gara, mediante la citata clausola di salvaguardia, escludeva che si potesse radicare un simile affidamento fino all’aggiudicazione definitiva, e comunque fino all’esercizio del potere di valutazione della convenienza economica dell’offerta previsto da tale clausola.

 […]
Per giurisprudenza pacifica, “la revoca dell’aggiudicazione provvisoria e di tutti gli atti di gara precedenti l’aggiudicazione definitiva, compreso il bando di gara, rientra nel potere discrezionale dell’amministrazione, il cui esercizio prescinde dall’applicazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, pur richiedendosi la sussistenza di concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna la prosecuzione delle operazioni di gara” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1744/2020).
Anche questa Sezione, nella sentenza n. 4461/2019, ha in materia affermato che “A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all’art. 21 quinquies l. cit. (e che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso ad un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione procedente. Con riferimento alla procedura di gara deve premettersi, in via generale, che mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la decisione in data 29 giugno 2014, n. 14), prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n. 2291)”.
Nel caso di specie la stazione appaltante ha esercitato il potere di autotutela ancor prima di procedere all’aggiudicazione, in conseguenza della nuova valutazione dell’interesse pubblico indotta dalle ragioni che si sono richiamate, e che costituiscono la motivazione del provvedimento di revoca.
Tali ragioni integrano pienamente il paradigma normativo indicato dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, dal momento che, per un verso, l’amministrazione ha realizzato di avere indicato nella lex specialis delle specifiche tecniche erronee; e, par altro verso, ha riscontrato la possibilità di un risparmio di spesa dalla non aggiudicazione dell’offerta.
In entrambi i casi si tratta di elementi che giustificano l’esercizio dello jus poenitendi, avuto riguardo all’interesse dell’amministrazione a stipulare alle migliori condizioni economiche e al fine di acquisire una fornitura ottimale, funzionale all’interesse pubblico che la procedura di gara deve soddisfare (sulla tutela dell’interesse finanziario dell’amministrazione quale causa legittimante la revoca degli atti di gara, ex multis, Consiglio di Stato, III, sentenza n. 4809/2013).”

Quindi il CDS ricollega all’istituto della “revoca” ex art. 21 quinquies della Legge 241/90 la scelta della SA di non procedere ad aggiudicazione, ossia l’esercizio della facoltà di cui all’art. 95 comma 12 del Codice.
Naturalmente, in tal caso, si tratta non già di “revoca dell’aggiudicazione” (l’aggiudicazione, infatti, non c’è mai stata) bensì di “revoca degli atti di gara”.

Tuttavia, poiché oggetto di revoca, ai sensi art. 21 quinquies comma 1 della legge 241/90, può essere solo un “provvedimento amministrativo ad efficacia durevole”, ossia quel provvedimento che, per la sua rilevanza quale atto conclusivo della procedura, è destinato a produrre effetti continuati nel tempo, si può dubitare della pertinenza dell’istituto della revoca  ad atti endopocedimentali  di gara. 

Il CDS avrebbe potuto, semplicemente, far rientrare la decisione della SA di non aggiudicare (per aver trovato prezzi ancor più convenienti rispetto a quello teorico di aggiudicazione) nell’ambito dell’art. 95 comma 12 del Codice, senza scomodare l’istituto generale della revoca quale prevista dall’art. 21 quinquies della Legge 241/90.

Il diniego di aggiudicazione deve essere adeguatamente motivato

Il TAR Venezia, con sentenze n. 515/2017 e  n.20/2019 , ha sottolineato la necessitò di puntuale motivazione.

Con il primo provvedimento  si è osservato: «per consolidato insegnamento giurisprudenziale, anche in presenza di una clausola del bando di gara con cui la stazione appaltante si sia riservata la facoltà di non aggiudicare l’appalto, l’esercizio di tale potere di autotutela, incontra un limite nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza e nella tutela dell’affidamento ingenerato, cui consegue uno stringente obbligo motivazionale in ordine alle concrete ragioni della decisione negativa (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 7 giugno 2013, n. 3125). Peraltro, anche nel nuovo assetto dettato dal D.Lgs. n. 50 del 2016, il comma 12 dell’art. 95, riprendendo il disposto dell’art. 81, comma 3, D.Lgs. n. 163 del 2006, attribuisce alla stazione appaltante il potere discrezionale di non aggiudicare l’appalto se all’esito della procedura di valutazione nessuna delle proposte “risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto”».

Sulla stessa linea la sentenza n. 20/2019:  “E’ indubbio che la facoltà – prevista in termini generali dal cit. art. 95, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 – di arrestare il procedimento di aggiudicazione, in caso di ritenuta non convenienza economica o di inidoneità tecnica dell’offerta, corrisponde alla valutazione dell’Amministrazione di identificare le proprie esigenze e le vie con cui approntare le adeguate risorse; si tratta, dunque, dell’esercizio di un potere discrezionale, il cui fondamento va ravvisato nel principio generale di buon andamento, che impegna le Pubbliche Amministrazioni all’adozione di atti quanto più possibile coerenti e proporzionali alle esigenze effettive di provvista per i loro compiti.

Va peraltro evidenziato che, seppure dal contesto normativo emergano indici che possano far cogitare ad un’attribuzione esclusiva in favore della sola commissione giudicatrice delle valutazioni (si ponga mente al comma 1 dell’art. 77 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 nonché alla peculiare disciplina che concerne la nomina della commissione stessa e la scelta dei suoi componenti), occorre del pari evidenziare come il potere in esame sia espressamente connotato in rapporto ai presupposti per il suo esercizio (la convenienza o l’idoneità dell’offerta) e si giustifichi in relazione alle attribuzioni negoziali che rimangono saldamente in capo alla stazione appaltante.

Il Collegio ritiene che nella vigenza del cit. art. 95, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 possa ritenersi condivisibile l’orientamento giurisprudenziale (formatosi nel periodo di applicazione dell’art. 81, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) secondo il quale il potere della stazione appaltante di non aggiudicare la gara non è riconducibile all’esercizio del potere di autotutela, bensì configura un potere fondato su ragioni di pubblico interesse (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 novembre 2009 n. 1986; Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2838); in particolare, trattasi di un potere (di carattere amplissimo) diverso da quello tecnico che compete alla commissione giudicatrice, che non risulta condizionato dalle decisioni della commissione stessa, ben potendo la stazione appaltante sempre disporre in merito al contratto con i suoi “poteri trasversali di controllo” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 febbraio 2016, n. 749).

Più precisamente, il Collegio non ritiene di dover decampare dalla tesi – consolidata nella giurisprudenza formatasi sul dato normativo previgente – secondo cui “in aggiunta” agli ordinari poteri di autotutela, l’art. 95, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (già art. 81, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) consente alla stazione appaltante di non aggiudicare l’appalto qualora ritenga che le offerte presentate non siano convenienti o idonee; in tale ipotesi la mancata aggiudicazione del contratto non deriva dai vizi che inficiano gli atti di gara predisposti dalla stazione appaltante né da una rivalutazione dell’interesse pubblico che con essi si voleva perseguire, ma dipende da una negativa valutazione delle offerte presentate che, pur rispondendo formalmente ai requisiti previsti dalla lex specialis di gara, non sono ritenute dall’organo decidente idonee a soddisfare gli obiettivi perseguiti con la gara (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 18 luglio 2017, n. 3553; Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2015, n. 3721; Cons. Stato, sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282; Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2012, n. 2848; Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n. 1766; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 29 novembre 2017, n. 791; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 30 maggio 2013, n. 1427).

La decisione di non aggiudicare la gara, tuttavia, non può essere arbitraria, né priva di motivazioni che diano conto della “non convenienza” o della “inidoneità” dell’offerta in relazione all’oggetto del contratto; in particolare, ritiene il Collegio di dover evidenziare l’importanza che assume, nel provvedimento espressione di tale potere, il corredo motivazionale; sul punto, in modo rigoroso, la giurisprudenza – condivisa dal Collegio – richiede “una specifica e penetrante motivazione, corredata dall’esplicitazione precisa e circostanziata degli elementi” che giustificano la mancata aggiudicazione (cfr. Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 2015, n. 1994; Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2013, n. 3215; T.A.R. Valle d’Aosta, 11 giugno 2014, n. 38; cfr. anche T.A.R. Veneto, sez. I, 5 luglio 2018, n. 733).”