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I contratti continuativi di cooperazione: per ora decide la direzione della prestazione

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi

Il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi dei contratti continuativi di cooperazione con la sentenza n. 3211 del 21 maggio 2020.

L’appalto aveva ad oggetto il servizio di ristorazione, prevedendo anche l’obbligo di svolgere attività di analisi microbiologiche e di disinfestazione. L’aggiudicatario garantiva l’esecuzione di tali prestazioni attraverso un contratto continuativo di cooperazione che aveva sottoscritto, in epoca anteriore all’indizione della gara, con un soggetto terzo.  L’appellante sosteneva che nell’ambito del contratto avente ad oggetto il servizio di ristorazione, le attività di analisi e di disinfestazione, previste dalla disciplina di gara, non avrebbero potuto essere affidate a terzi mediante contratto continuativo di cooperazione in quanto tali prestazioni: a)  non si esaurivano in una mera predisposizione dei piani di analisi e di disinfestazione in quanto la lex specialis imponeva attività materiali, ossia l’applicazione di un piano di analisi e la realizzazione degli interventi di disinfestazione; b) erano destinate e svolte direttamente a favore della stazione appaltante, non potendo essere espunte dall’oggetto dell’appalto.

L’appellante riteneva pertanto che la prestazione richiesta dalla lex specialis non potrebbe essere oggetto di contratto continuativo di cooperazione (Consiglio di Stato, sentenza n. 7256/2018), così come indicato dall’aggiudicataria nella propria offerta; non essendo l’aggiudicataria in grado di eseguire in proprio tale prestazione e non essendosi avvalsa della facoltà di ricorrere al subappalto per eseguire tale attività, allora la stessa avrebbe dovuto essere esclusa (Consiglio di Stato, n. 471/2019).

Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello sulla base dell’individuazione del “destinatario” delle prestazioni (ossia delle analisi microbiologiche e di disinfestazione), ritenendo, invece, non rilevante il carattere ancillare o principale delle stesse rispetto all’oggetto del contratto pubblico.

Il Collegio ha ritenuto, infatti, che per ricorrere al contratto continuativo di cooperazione rileva solo la direzione delle prestazioni a favore dell’appaltatore e non direttamente della Stazione appaltante. Secondo la pronuncia in commento si dovrebbe optare per un’interpretazione estensiva dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis, del D.Lgs. n. 50/2016 nel senso che il riferimento alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva dal punto di vista dell’applicazione, ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario (in termini, Consiglio di Stato, sentenza n. 5068/2019).  La natura secondaria ed accessoria delle analisi di laboratorio e degli interventi di disinfestazione rispetto all’oggetto del contratto non sarebbe dirimente, secondo il Collegio, bensì confermerebbe solo che tali attività siano rivolte a favore del contraente e non dell’Amministrazione.

I contratti continuativi di cooperazione sono stati previsti dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis, del D.lgs 50/2016 stabilendo che non sono da considerarsi subappalto le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto.

La norma ha da subito suscitato ampio dibattito in merito ai requisiti necessari ai fini dell’individuazione dell’ipotesi derogatoria al subappalto.

Un primo tema, che non risulta essere stato affrontato dalla giurisprudenza, riguarda le caratteristiche del contratto di cooperazione occorrendosi in particolare interrogarsi sul contenuto di tale contratto, e cioè se sia sufficiente la preesistenza di un accordo “quadro”, oppure se debba preesistere una regolamentazione compiuta di tutti i termini e condizioni del medesimo. Appare in primo luogo evidente che, se il contratto deve essere antecedente alla gara, lo stesso non può includere in maniera specifica le relative prestazioni, potendosi ritenere sufficiente che l’oggetto dell’appalto ricada nel genere delle prestazioni oggetto del contratto di cooperazione. Più difficile, invece, enucleare il contenuto minimo necessario dei termini e condizioni del contratto in termini di prezzo, modalità, tempistiche, ecc.. Secondo la prassi di talune stazioni appaltanti sarebbe ad esempio necessario che il prezzo sia prefissato (ad esempio in base ad un tariffario), in modo da escludere l’esistenza di un nesso di derivazione tra contratto principale e contratto di cooperazione, ontologicamente incompatibile con la sua preesistenza.

Altra questione concerne la dimostrazione della preesistenza del contratto. Nel silenzio della norma  è consigliabile che gli operatori economici che intendano avvalersi dell’istituto adottino misure tali da conferire certezza alla data di sottoscrizione del contratto di cooperazione.

La giurisprudenza si è invece concentrata sulle caratteristiche delle prestazioni oggetto dei contratti di cooperazione.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale le prestazioni a cui fa menzione l’art. 105, comma 3, lett. c-bis del D.Lgs n. 50/2016 si limiterebbero ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto in quanto le attività oggetto di appalto dovrebbero, in linea di principio, essere eseguite dal soggetto che risulta aggiudicatario delle stesse (T.A.R. Lazio, Roma, sentenza n. 1135/2019; T.A.R. Basilicata, sentenza n. 265/2020; T.A.R. Sicilia – Palermo, sentenza n. 2583/2018).

Un secondo indirizzo giurisprudenziale afferma invece che l’esecutore, attraverso i contratti continuativi di cooperazione, può affidare a terzi anche attività oggetto dell’appalto “non necessariamente sussidiarie o secondarie”. Ciò in quanto il fine della disposizione in questione non sarebbe quello di circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto alle “prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ma bensì quello di costituire una deroga alla generale disciplina del subappalto. Secondo tale indirizzo il riferimento dell’art. 105, comma 3, lett. c) cit. alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assumerebbe valenza restrittiva, ma alluderebbe alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario (Consiglio di Stato, sentenza n. 5068/2019).

La sentenza in commento si inserisce in tale dibattito aderendo al secondo indirizzo giurisprudenziale appena citato. Ed infatti, secondo il Consiglio di Stato, mentre nel contratto di subappalto le prestazioni contrattuali sono svolte a favore dell’Amministrazione, nel caso del contratto continuativo di cooperazione la prestazione sarebbe svolta solamente a favore del privato, affidatario del contratto pubblico, e solo indirettamente a favore contraente pubblico (Consiglio di Stato, sentenza n. 7256/2018: “le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (ora, come detto, espressamente così definite dall’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del codice) sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto (che, non a caso è definito dall’art. 105, comma 2, come “Il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”; Consiglio di Stato, sentenza n. 2553/2020; Consiglio di Stato, sentenza n. 607/2020; T.A.R. Abruzzo – L’Aquila, sentenza n. 153/2020).

I contratti continuativi di cooperazione trovano dunque un’applicazione molto limitata e, secondo le interpretazioni fornite, l’art. 105, comma 3, lett. c-bis), risulta una norma priva di sostanziale portata innovativa. La giurisprudenza è probabilmente influenzata dalla preoccupazione di non legittimare, tramite tali contratti, l’elusione dei limiti del subappalto, limiti che – come noto – sono stati però duramente attaccati in sede europea, con una partita che probabilmente non è ancora definitivamente chiusa. Nel frattempo si discuterà sul concetto di direzione, fattuale e/o giuridica, della prestazione.

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