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L’algoritmo nel procedimento amministrativo: condizioni per il legittimo utilizzo

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi

La recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 881 del 4 febbraio 2020, è intervenuta sul tema del ricorso all’algoritmo nel procedimento amministrativo.

Come noto, la giurisprudenza ha dapprima dibattuto sull’ammissibilità dell’introduzione dell’algoritmo nei procedimenti amministrativi, per poi indicarne l’ambito di applicazione, enucleandone i requisiti minimi ed essenziali.

In particolare, il dibattito sull’applicabilità dell’algoritmo nasce a seguito dei numerosi ricorsi contro le procedure di assegnazione e di mobilità degli insegnanti stabilite dalla Legge n. 107/2015.

Secondo i ricorrenti, il Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca avrebbe utilizzato “un algoritmo non conosciuto e che non ha correttamente funzionato”, e che avrebbe effettuato decisioni ritenute non giustificabili in base ai criteri fissati nell’ordinanza ministeriale n. 241/2016, volta all’attuazione del piano straordinario assunzionale.

Il TAR Lazio, con le sentenze n. 9224 e 9230 del 10 settembre 2018, ha affermato l’illegittimità dell’impiego del software in quanto l’assegnazione delle sedi sarebbe avvenuta in assenza dell’apporto di un funzionario lungo tutto il processo decisionale, consentendo l’abdicazione della funzione istruttoria e impedendo la partecipazione al procedimento amministrativo.

In sede di appello il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2270 dell’8 aprile 2019, ha confermato la decisione pur aprendo all’utilizzo dell’algoritmo nel procedimento amministrativo, a talune condizioni.

In particolare, l’algoritmo è stato definito dal Giudice “documento amministrativo informatico” e, in un primo momento, ne è stato limitato l’utilizzo solo nell’ambito di attività amministrative vincolate.

Il Consiglio di Stato ha incoraggiato, infatti, l’utilizzo dell’algoritmo nell’ambito di attività vincolate ritenendo che tale strumento fosse idoneo a scongiurare la negligenza (o peggio il dolo) del funzionario nell’ambito di procedimenti standardizzati, nonché ha ritenuto che garantisse maggiore imparzialità nella decisione amministrativa ai sensi dell’art. 97 della Costituzione.

L’ambito di applicazione dell’algoritmo è stato poi esteso anche alle scelte discrezionali dell’Amministrazione con due sentenze gemelle del Consiglio di Stato, pubblicate il 13 dicembre 2019 (la n. 2936/2019 e la n. 8474/2019), ma a condizione che, a tutela dell’interesse pubblico, la P.A. assicurasse l’intervento del funzionario nel procedimento.

Le due pronunce hanno quindi indicato i principi di derivazione sovranazionale che devono necessariamente caratterizzare l’applicazione dell’algoritmo: (i) principio di conoscibilità del software, secondo cui ognuno ha diritto a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino e di ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata, di cui all’art. 42 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (“Right to a good administration”); (ii) principio di non esclusività della decisione algoritmica: se una decisione automatizzata produce effetti giuridici su una persona, quest’ultima ha diritto a che tale decisione non sia basata unicamente sul processo automatizzat,o ossia il funzionario deve poter controllare, validare ovvero smentire il risultato a cui è giunto il sistema informatico (art. 22 Regolamento comunitario 679/2016 o “GDPR”); (iii) principio di non discriminazione algoritmica: se il titolare del trattamento sfrutta regole matematiche o statistiche per la profilazione dell’utente, ha l’obbligo di adottare opportune misure per neutralizzare errori e inesattezze dei dati (cfr. considerando n. 71 del GDPR).

La sentenza del Consiglio di Stato in commento (n. 881 del 4 febbraio 2020) si inserisce in tale solco giurisprudenziale, soffermandosi in particolare sui requisiti di legittimità e trasparenza che devono permeare l’algoritmo affinché il suo utilizzo risulti conforme ai principi che connotano il procedimento amministrativo.

In particolare, nel respingere l’appello del MIUR avverso la sentenza del Tar Lazio n. 6607 del 2019 (con la quale era stata dichiarata l’illegittimità della procedura di assegnazione delle sedi attraverso l’algoritmo), il Collegio ha avuto modo di rilevare come anche la Pubblica Amministrazione debba poter sfruttare le rilevanti potenzialità della cosiddetta rivoluzione digitale, purché vengano rispettati i principi del procedimento amministrativo.

Secondo il Collegio l’ammissibilità di tali strumenti risponde, infatti, ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa in quanto l’utilizzo di una procedura informatica, che conduca direttamente alla decisione finale, comporta la notevole riduzione della tempistica procedimentale per operazioni meramente ripetitive e prive di discrezionalità, l’esclusione di interferenze dovute a negligenza (o peggio dolo) del funzionario, e la conseguente maggior garanzia di imparzialità della decisione automatizzata.

Per ogni ipotesi di utilizzo di algoritmi in sede decisoria pubblica, il Collegio ribadisce che occorre sempre rispettare due garanzie essenziali: a) la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati; b) l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo.

Secondo il Consiglio di Stato tale conoscibilità dell’algoritmo si realizza esplicitandone la “formula tecnica”, che deve essere corredata da spiegazioni da cui desumere la “regola giuridica” ad essa sottesa affinché tale formula risulti leggibile e comprensibile.  In particolare, la conoscibilità dell’algoritmo deve essere garantita, ad avviso del Giudice, in tutti gli aspetti ossia rispetto ai suoi autori, al procedimento impiegato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione, esplicitando quali sono le priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale, nonché all’individuazione di quali siano i dati selezionati come rilevanti.

Tale declinazione del principio di conoscibilità dell’algoritmo consente, quindi, di verificare che i criteri, i presupposti e gli esiti del procedimento informatico e “automatizzato” siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa Amministrazione, a monte di tale procedimento; ciò permette, inoltre, di conoscere chiaramente le modalità e le regole in base alle quali l’algoritmo è stato “creato”, rendendole suscettibili di controllo e, quindi, sindacabili in sede giurisdizionale.

In conclusione, la giurisprudenza consente l’utilizzo degli algoritmi nel procedimento amministrativo ma solo nel rispetto dei principi che permeano il procedimento stesso e, in particolare, la trasparenza e la legalità dell’azione amministrativa che può essere assicurata solo se la regola giuridica posta alla base dell’algoritmo sia conoscibile e comprensibile, e, al contempo, non risulti discriminatoria

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