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Analisi dell’applicabilità della ‘clausola territoriale’ negli appalti pubblici secondo la delibera dell’ANAC del 10 gennaio 2024

Emerge come il principio concorrenziale prevalga sul principio di prossimità ambientale (di cui le clausole territoriali sono risultato). Ne consegue che la clausola territoriale è applicabile esclusivamente come criterio premiale e non come requisito di partecipazione.

(….)  Considerazioni dell’Autorità

2.1) La questione in esame attiene alla legittimità della cd. clausola territoriale di cui all’art. 6.1, lett. b) del disciplinare della gara, nella parte in cui prevede, quale requisito di partecipazione di idoneità professionale, la disponibilità dell’impianto di destino entro un raggio di 10 km dalla sede operativa.

La clausola appare illegittima e limitativa della concorrenza, rilevando quale fattispecie legittimante dell’art. 6 co. 1 lett. i)1 del “Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 220, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36”, adottato con Delibera ANAC 268/2023.

2.2) Giova premettere un quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.

Nella vigenza del precedente codice degli appalti (d.lgs. 50/2016), secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis Cons. St., V, 605/2019; Cons. St., V, 2238/2017; Delibera ANAC 1142/2018), era considerato illegittimo il requisito di partecipazione condizionato da una clausola territoriale, in quanto quest’ultima era ritenuta limitativa della concorrenza e della par condicio competitorum, anche se prevista nell’ambito degli affidamenti sotto soglia comunitaria (cfr. C. Cost. 98/2020; C. Cost. 28/2013, che hanno dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune norme regionali).

Più di recente, si è efficacemente affermato che “sulla questione della legittimità delle clausole della lex specialis che prescrivono requisiti di partecipazione alla gara correlati ad elementi di localizzazione territoriale, o che ad essi attribuiscono un maggior punteggio in sede di valutazione delle offerte, la giurisprudenza ha avuto modo, anzitutto, di precisare che il criterio della territorialità è illegittimo soltanto ove posto come requisito di partecipazione, impattando frontalmente una previsione di tal tipo con i principi del favor partecipationis e della par condicio tra i concorrenti, in ogni possibile loro declinazione. Viceversa, ove detto criterio venga posto quale requisito di esecuzione del contratto o rilevi come parametro per l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo, la valutazione della compatibilità della clausola con i principi che informano la materia della contrattualistica pubblica dev’essere condotta caso per caso, non potendo a priori la valorizzazione del collegamento con il territorio ritenersi irragionevole” (TAR Calabria, 901/2021).

(…..) L’attuale quadro normativo, infine, è stato significativamente innovato dal d.lgs. 36/2023, il quale ha riservato al principio di accesso al mercato un ruolo centrale (art. 3) e fondante (art. 4). Infatti, ancora più chiaramente, la relazione di accompagnamento al codice ha precisato che i “primi tre principi, che devono essere utilizzati per sciogliere le questioni interpretative che le singole disposizioni del codice possono sollevare. Nel dubbio, quindi, la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia sull’amministrazione, sui suoi funzionari e sugli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici”. Nell’ambito del nuovo codice, inoltre, i requisiti di partecipazione sembrano tassativi ed eventualmente integrabili prevalentemente in ottica pro-concorrenziale. Infatti: Ø l’art. 100 co. 12 d.lgs. 36/2023 stabilisce che le stazioni appaltanti richiedono i requisiti di partecipazione previsti esclusivamente dall’art. 100 stesso, dall’art. 102 d.lgs. 36/2023 o da leggi speciali; Ø l’art. 10 co. 3 d.lgs. 36/2023 prevede “Fermi i necessari requisiti di abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono introdurre requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, tenendo presente l’interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l’accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese”. Al contrario, le clausole territoriali, disciplinate dal citato art. 108 co. 7 d.lgs. 36/2023 – che definisce i criteri aggiudicazione degli appalti pubblici – sembrano essere esclusivamente previste quale requisito premiale, in quanto volte “a promuovere, per le prestazioni dipendenti dal principio di prossimità per la loro efficiente gestione, l’affidamento ad operatori economici con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento” compatibilmente “con il diritto dell’Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità”.

In sintesi, allo stato e sulla base dei più recenti approdi giurisprudenziali, il principio concorrenziale sembra prevalere rispetto al principio di prossimità ambientale (di cui le clausole territoriali sono un portato). Sicché, ove nell’ambito dell’evidenza pubblica sia necessario integrare i due principi, la clausola territoriale appare declinabile quale criterio premiale da valorizzare nell’ambito dell’offerta tecnica e non quale requisito di partecipazione.