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Cosa succede dopo la sospensiva del TAR sul payback dei dispositivi medici?

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha sospeso il pagamento della quota richiesta alle aziende di dispositivi medici. In attesa del pronunciamento della Corte costituzionale, si aprono diversi scenari

di Carlo M. Buonamico

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha rinviato alla Corte costituzionale la decisione in merito alla legittimità del payback richiesto alle aziende di dispositivi medici.

Per il comparto si apre così non solo l’ulteriore speranza di veder annullati i conteggi che imporrebbero loro di rendere allo Stato una quota pari al 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni, ma anche uno stimolo concreto affinchè il Governo cambi la normativa attuale, che sarebbe appunto incostituzionale.

Il “pasticcio” del payback

Il problema nasce da lontano, quando in modo unilaterale il legislatore decise per questo tipo di payback, che ha di per sè caratteristiche di iniquità e illegittimità indicate dale stesse imprese che hanno fatto opposizione nei tribunali italiani.

La norma infatti impone un payback retroattivo, oltre a fare riferimento all’eccesso di spesa cumulato dalle Regioni, che però acquistano i dispositivi medici in base a gare pubbliche che dovrebbero essere stilate e commisurate sulla base dell’esigenza sanitaria del territorio. In altri termini, sulla base di una programmazione sanitaria territoriale. Cosa che evidentemente non viene effettuata ovunque con la stessa precisione, con la conseguente richiesta di ripianare il

debito regionale avanzata proprio ai produttori. Esponendoli a un rischio economico che potrebbe anche mettere a rischio la loro stessa tenuta, specialmente quando i fornitori del SSN sono piccole e medie imprese.

Esiste una disparità di trattamento tra Regioni che privilegiano la sanità pubblica quelle che fanno prevalentemente leva sulla sanità privata, in cui il payback non è applicato

Come spiega a TrendSanità Giandomenico Nollo, presidente della Società Italiana di Health Technology Assessment (SITHA): “Credo che dovremmo ricorrere a Carlo Emilio Gadda, col suo pasticciaccio brutto, per dare un titolo a questa vicenda, che è e si conferma appunto, passo, passo un pastrocchio. Non voglio entrare nei temi giuridici, in molti in questi giorni vi si sono già cimentati, sul quel fronte ora dobbiamo solo aspettare le sentenze. La parte pasticciata è nei contenuti. Una misura iniqua che, a partire da principi ideali di compartecipazione, si regge su basi incerte e dispone norme retroattive per scaricare esuberi di bilancio regionali sulle ditte fornitrici. L’idea nasce da ciò che da anni si fa nel settore farmaceutico, ma, come spesso accade, trasferendo l’idea da un settore all’altro non si tiene conto del contesto generale, delle differenze di mercato, delle regolamentazioni vigenti, etc, realizzando mostri acefali. A questo si aggiunge la disparità di trattamento tra Regioni che privilegiano la sanità pubblica, in cui il meccanismo del payback viene esaltato dalla ricerca di offerta elevata e di qualità, e Regioni che invece per rispondere alla domanda di salute fanno prevalentemente leva sulla sanità privata in cui il payback non è applicato. Altro elemento di criticità è determinato dagli effetti che la norma ha sulla filiera di produzione e distribuzione dei DM. Anche in questo caso assistiamo a una sorta di Robin Hood al contrario, con un impatto di rilievo sulle imprese di piccole o medie dimensioni e i distributori, a volte tale da metterne a rischio la sopravvivenza. Di contro il meccanismo ha effetti quasi nulli sulle multinazionali”.

“La sostenibilità della spesa sanitaria – e in particolare di quella legata all’acquisto di farmaci e di dispositivi – è un tema che affligge gli Stati da molti anni, soprattutto quelli caratterizzati da un modello di servizio sanitario pubblico e universalistico come l’Italia e che si rivela di difficile soluzione”, aggiunge l’avvocato Vincenzo Salvatore, Leader Focus Team Healthcare and Life sciences di BonelliErede. “L’utilizzo del payback si rivela peraltro discutibile, almeno per quanto riguarda i dispositivi medici che non sono assoggettati ad una disciplina di prezzi negoziati e ad accordi di rimborsabilità come avviene per i farmaci”.

Sulla stessa linea Patrizio Armeni, Associate Professor of Practice di Government, Health and Not for Profit presso Sda Bocconi School of Management che, a margine della presentazione del Rapporto OASI 2023, nel quale è presente un capitolo dedicato proprio al payback dei farmaci e dei dispositivi, ci ha rilasciato questa dichiarazione: “Il TAR del Lazio interviene in modo storico sul tema del payback, per la prima volta riconoscendo una violazione dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività, peraltro notando che va a incidere su rapporti contrattuali già chiusi. È una decisione che fa riflettere sul concetto in sé di questo meccanismo sull’intero mercato e non tanto sui dettagli tecnici del singolo calcolo della quota di ripiano. Ciò impone la necessità di formulare scenari che vadano a correggere queste distorsioni”.

Una boccata d’ossigeno lunga circa 12-18 mesi

Intanto il comparto dei dispositivi medici tira il fiato. Il deferimento alla Corte Costituzionale porta una nuova boccata d’ossigeno, dopo quelle ottenute con i diversi rinvii degli scorsi mesi della corresponsione delle cifre di cui alla voce payback. Restando però la consapevolezza che “il rinvio alla Corte Costituzionale non sancisce ancora la fine del payback, ma segna un punto importante perché nell’ordinanza vengono sottolineati tutti gli aspetti di incostituzionalità della norma: dalla retroattività, alla rinegoziazione delle gare, passando per l’assenza di specificità nel considerare l’uno per l’altro gli oltre un milione e mezzo di dispositivi medici, fino a citare la possibile violazione

del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sotto il profilo dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività”, commenta in una nota il presidente di Confindustria Dispositivi Medici Massimiliano Boggetti.

I tempi della Corte per pronunciarsi sui giudizi incidentali variano generalmente tra i 12 e i 18 mesi a decorrere dalla ordinanza di rinvio

Ma quanto potrebbe durare questa boccata d’ossigeno? Dipenderà dai tempi con cui gli Ermellini si pronunceranno. “Il TAR Lazio, nel ritenere le eccezioni di illegittimità costituzionale rilevanti e non manifestamente infondate, ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale. I tempi della Corte per pronunciarsi sui giudizi incidentali variano generalmente tra i 12 e i 18 mesi a decorrere dalla ordinanza di rinvio”, chiarisce l’avvocato Salvatore. Un limbo di medio periodo al termine del quale si potrebbe verificare ciò che le aziende auspicano: una sentenza di incostituzionalità della norma sul payback nel settore dei DM, che a quel punto dovrebbe mettere il Legislatore italiano con le spalle al muro rendendo necessaria la riformulazione della norma, finanche la cancellazione del payback così come oggi lo conosciamo.

Verso l’eliminazione del payback

Le probabilità che la Corte si pronunci a favore dell’annullamento del payback per i DM paiono essere più che buone. Come precisa Salvatore: “L’ordinanza con il quale il TAR ha rinviato gli atti alla Corte è molto approfondita e motivata nel mettere in luce i profili di presumibile fondatezza delle censure di illegittimità costituzionale formulate dalle parti. È ragionevole prevedere che la Corte costituzionale dichiari l’illegittimità costituzionale delle norme contestate ed è altresì ipotizzabile, in pendenza della pronuncia della Corte Costituzionale, un intervento del Governo e del Parlamento che modifichi disciplina applicabile al payback, per sottrarsi a una pronuncia di illegittimità”. Insomma, parrebbe essere solo una questione di tempi.

Anche se, come accennato da Armeni, è molto probabile la necessità di trovare forme acquisto-fornitura di dispositivi medici alla sanità pubblica che permettano di garantirne l’operatività e la sostenibilità nel rispetto della sopravvivenza delle aziende fornitici. “Meccanismi che non incidano in modo pericoloso sulla stabilità o addirittura sulla sopravvivenza delle imprese e che non addossino all’industria una forma sanzionatoria relativa al raggiungimento di livelli di domanda in sé prevedibili ma non programmati in modo razionale. Questo ragionamento in larga parte si applica concettualmente anche al mercato farmaceutico”, ipotizza il professore della Bocconi.

Sempre continuando a utilizzare il condizionale, “sarebbe forse più ragionevole prevedere un meccanismo impositivo – come avviene in altri Stati – che introduca forme di tassazione certe e predeterminate, anche se ciò, nel rispetto altresì del principio “no taxation without representation”, richiederebbe la valutazione di fonti di finanziamento alternative attraverso il necessario approfondimento in sede parlamentare (e non governativa)”, azzarda Salvatore.

Al lavoro per nuove norme per sostenibilità di SSN e imprese

In ottica di sostenibilità tanto del SSN che del comparto produttivo occorrerà quindi trovare soluzioni di medio-lungo periodo che consentano stabilità. Ed è la SITHA ad avanzare alcune proposte. Come dettaglia Nollo: “Proposte in tal senso sono in studio; come SITHA segnaliamo quanto presentato al Risk Management Forum di Arezzo da un gruppo di lavoro multidisciplinare coordinato dall’ingegner Pietro Derrico, già presidente SITHA. In estrema sintesi, per una sana gestione della spesa sanitaria, la contrattazione e il monitoraggio dei costi, con conseguenti azioni di feedback, sono strumenti irrinunciabili, a valle, però, di un’attenta e realistica programmazione. I tetti di spesa oggi in vigore, ad esempio, non sono evidentemente più appropriati e andranno rivisti. La programmazione deve divenire un momento alto delle politiche regionali in accordo con i piani nazionali. Si deve partire da LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) aggiornati e da chiari e ben definiti obiettivi di salute da raggiungere, con tecnologie che

garantiscano il valore, ovvero la prevalenza dei benefici attesi sui costi. In tutto questo, è evidente, c’è tanta Health Technology Assessment (HTA), che, sia chiaro, non è la soluzione di tutti i mali e per tutte le stagioni, ma se ben utilizzata può essere lo strumento per fare scelte informate e nell’ottica del miglior servizio di salute da offrire ai cittadini”.

Ancor più precise e dettagliate le idee dell’associazione guidata da Boggetti che parla della necessità di “una nuova governance fondata su pilastri identitari chiari e ben definiti”. Una nuova architettura che dovrebbe poggiare su quattro gambe, già ben chiare al comparto industriale. Come afferma il presidente: “Occorre un cambio di approccio nella programmazione dell’offerta sanitaria non più incentrata sulle singole prestazioni ma per patologia. In secondo luogo, la programmazione sanitaria dovrebbe allocare le corrette risorse sulla base dei fabbisogni di salute e non sui tetti di spesa. Ancora, l’innovazione tecnologica andrebbe valutata attraverso l’HTA, garantendo percorsi accelerati di introduzione dell’innovazione. Infine, il public procurement non dovrebbe più essere basato su gare centralizzate al prezzo, ma su una rivalorizzazione del ciclo di acquisto misurando i reali impatti sulla salute e sui processi di salute dei beni e dei servizi acquisti”.

(fonte: TrendSanità)