Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
di Valeria D. Tozzi , Alessandro Furnari –
Ricambio generazionale, equità di genere, mobilità delle competenze e revisione dei meccanismi di selezione: ecco che le sfide messe in luce dall’analisi dello Sda Bocconi sulle figure apicali del servizio sanitario
Nel cuore delle aziende sanitarie pubbliche italiane si trova una figura chiave, spesso poco conosciuta fuori dai circuiti istituzionali, ma determinante per la salute del sistema: il direttore generale. È a questa figura che spetta il compito di far funzionare aziende complesse che hanno nei luoghi della cura professionisti dotati di autonomia nelle decisioni su cosa sia appropriato per ogni paziente, mediarne le istanze politiche, renderle sostenibili e orientarle strategicamente. Ma chi sono oggi i Dg italiani?
A queste domande risponde un’analisi condotta su scala nazionale all’interno del Network Dasp di Sda Bocconi School of Management, dedicato alle direzioni strategiche delle aziende sanitarie pubbliche.
Un universo complesso
Il censimento considera l’insieme delle 203 aziende pubbliche del Ssn attive al 31 dicembre 2024:
• 128 Asl, incluse le Asst della Lombardia;
• 51 Aziende ospedaliere, comprese le Ao universitarie integrate;
• 24 Irccs, ovvero gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
A capo di ciascuna di queste aziende siede un direttore generale (solo nel 25% dei casi una direttrice generale), la cui nomina è affidata alle Regioni ma deve avvenire scegliendo tra gli iscritti all’Albo nazionale degli idonei istituito presso il ministero della Salute. Questa condizione, formalmente necessaria per garantire una selezione su base meritocratica e trasparente, introduce tuttavia anche delle rigidità nel ricambio.
Direttori “over 50”
Uno dei dati più rilevanti emersi dalla fotografia riguarda l’età media dei Dg. A livello nazionale si registra una media superiore ai 50 anni, con picchi vicini ai 70 in alcune realtà. Il Direttore generale più giovane ha 44 anni, quello più anziano ne ha 72, con un differenziale di quasi 30 anni tra i due estremi. Le medie variano (poco) anche in funzione della tipologia di azienda:
• Asl e Asst si attestano attorno ai 53 anni;
• Le Aziende ospedaliere si collocano in media sui 54 anni;
• Gli Irccs risultano leggermente più “giovani”, con una media di 52 anni.
La composizione anagrafica segnala una criticità demografica: se da un lato l’età avanzata è indice di esperienza e consolidamento, dall’altro emerge la necessità di pensare a un ricambio generazionale, che appare ancora lento e disomogeneo tra territori. Una riflessione che meriterebbe di essere fatta è quella su quanto l’istituzione dell’albo nazionale (ma soprattutto dei criteri adottati) facili questo ricambio. Inoltre, c’è un tema di rete tra esperienze molto diverse che dovrebbero essere condivise tra i più o meno giovani di questa famiglia professionale.
Una leadership maschile
La questione di genere resta centrale. Nonostante un lieve ma costante incremento della presenza femminile, solo il 25% dei Dg è donna. La tendenza è al rialzo se consideriamo che qualche anno fa era del 17%. A parità di iscrizione all’albo, un uomo ha maggiori probabilità di diventare Dg rispetto a una donna.
Nel 2023, per ogni 4,5 idonei uomini uno ha ricevuto una nomina, mentre per le donne il rapporto è di una nomina ogni 6,2 idonee. Questo dato invita a interrogarsi sui meccanismi effettivi di selezione, che vanno oltre il filtro formale dell’idoneità.
Carriera “a chilometro zero”
Un altro aspetto significativo è rappresentato dalla mobilità geografica. Il 90% degli attuali Dg ha operato sempre all’interno della stessa regione. Solo il 10% ha maturato esperienze in contesti regionali diversi. Il legame con la politica locale è dunque fortissimo, ma può diventare un limite in termini di scambio di esperienze, diffusione di buone pratiche e omogeneità dei livelli di competenza su scala nazionale.
Inoltre, le Regioni tendono a selezionare Dg “già noti”, spesso con esperienze amministrative o sanitarie locali, piuttosto che valorizzare profili provenienti da altre aree del Paese o da altri settori professionali. Questo può contribuire alla cristallizzazione dei vertici dirigenziali, limitando l’accesso a nuovi talenti.
Tra continuità e instabilità
La durata media degli incarichi è di 3 anni e 6 mesi, calcolata sul periodo 1996–2025, e varia sensibilmente tra Regioni. Alcune garantiscono maggiore continuità, altre mostrano una rotazione più elevata. L’instabilità è particolarmente marcata in alcune Regioni del Sud e nelle Asl, dove le condizioni territoriali e le pressioni istituzionali rendono più fragile la permanenza nel ruolo.
Le aziende ospedaliere e gli Irccs mostrano in generale una maggiore stabilità, ma stiamo parlando di differenze relative
L’albo nazionale: uno strumento, molte rigidità
Dal 2018, la nomina dei Dg deve avvenire scegliendo tra i candidati iscritti all’Albo nazionale degli idonei. L’albo è stato aggiornato nel 2023 e al momento conta 1.257 candidati, dei quali 256 sono stati effettivamente nominati almeno una volta (pari al 20%).
Tuttavia, i numeri evidenziano un meccanismo selettivo interessante:
• Dei 256 nominati, 196 erano già presenti nell’elenco del 2018.
• Tra i nuovi idonei del 2023 (810 persone), solo 60 hanno ricevuto un incarico.
Il tasso di nomina tra gli “storici” è di 1 su 2,3, mentre tra i “nuovi” è di 1 su 13,5. Questo suggerisce una forte inerzia del sistema, che privilegia profili già noti alle amministrazioni regionali rispetto a potenziali nuovi ingressi. Questo apre il fianco a una riflessione spinosa: come leggere il merito delle competenze? Come distinguere tra titoli conseguiti da percorsi formativi differenti ma con medesimo significato formale? Quanto contano i risultati dell’azienda nella valutazione delle competenze?
Una figura unica nella Pa
Il Direttore generale rappresenta una figura peculiare. A differenza di quanto avviene in altri contesti, come quelli privati, egli o ella unisce in un solo ruolo tre funzioni fondamentali:
1. Governance istituzionale, con la responsabilità di rappresentare l’azienda e garantirne la legittimità;
2. Gestione operativa, con competenze analoghe a quelle di un Ceo, inclusa la responsabilità di bilancio e organizzazione interna;
3. Definizione strategica, cioè la capacità di orientare la missione aziendale nel tempo e di promuovere trasformazioni coerenti con gli obiettivi di salute pubblica.
Questa triplice funzione, spesso distribuita su più figure nelle imprese private, pone sulla direzione generale un peso decisionale e politico rilevante, che richiede capacità manageriali, sensibilità istituzionale e una profonda conoscenza del sistema sanitario.
Le sfide emergenti
L’analisi condotta dall’Osservatorio Oasi di Sda Bocconi evidenzia che siamo di fronte a un punto di svolta:
• Serve un ricambio generazionale, per evitare vuoti di leadership nei prossimi anni;
• È necessaria una maggiore equità di genere, sia in termini di accesso all’albo, sia nella probabilità effettiva di nomina;
• Occorre superare la rigidità territoriale, promuovendo la circolazione delle competenze tra Regioni;
• È urgente ripensare i criteri di selezione, valorizzando i risultati dell’azienda, le competenze trasversali e la capacità di orientare “pachidermi” come sono le aziende sanitarie.
In parallelo, è necessario rafforzare le condizioni di lavoro dei Dg, soprattutto in quei contesti più instabili o periferici, dove il turnover elevato non favorisce né la qualità della governance né la continuità dei servizi.
Verso una leadership strategica
L’identikit aggiornato dei Direttori Generali restituisce un’immagine precisa ma articolata: un corpo dirigente maturo, esperto, prevalentemente maschile, poco mobile, esposto a dinamiche locali e con poche aperture verso l’esterno.
Ma il futuro della sanità pubblica italiana – tra innovazione tecnologica, transizione demografica e sostenibilità economica – richiede nuove forme di leadership. Una leadership capace di agire oltre la logica dell’incarico, per diventare leva di sistema: capace di dialogare con il territorio, ma anche con le reti professionali e scientifiche; di governare la complessità con strumenti adeguati e con una visione di lungo periodo.
Affinché questo avvenga, è necessario investire nella formazione, nella trasparenza dei processi di selezione, nella mobilità qualificata e in una valorizzazione della funzione strategica della Direzione generale (non solo del Dg, quindi) come motore di cambiamento, e non solo come presidio amministrativo.
(fonte: SDA Bocconi – Il Sole 24Ore)