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Verifica di anomalia delle offerte e costi della manodopera: l’inderogabilità dei minimi tabellari

Avv. Anna Cristina Salzano

Il TAR per l’Emilia Romagna – Parma, con sentenza 137/2024 del 28 maggio 2024, si è soffermato, con un’approfondita analisi, sui canoni di operatività della verifica di anomalia dell’offerta in punto di verifica di congruità dei costi per la manodopera alla luce del nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

Nello specifico si trattava di un appalto di servizi, sotto la soglia di rilevanza europea, finalizzato alla creazione di un centro di aggregazione sociale, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa previa indagine di mercato.

La società ricorrente lamentava l’illegittima della propria esclusione a seguito della verifica dell’anomalia per violazione dell’art. 110, comma 5 D. Lgs. 36/2023. Nello specifico, secondo il ricorrente, l’Amministrazione “avrebbe basato la valutazione di anomalia unicamente sul dato numerico dello scostamento dei costi orari del personale dalle tabelle ministeriali” sul presupposto che le tabelle ministeriali non contengano alcun minimo salariale inderogabile.

In particolare, la ricorrente evidenzia come i costi orari della manodopera quale elemento dell’offerta economica siano da ritenersi un mero dato indicativo consistendo in “rilevazioni medie che debbono essere valutate caso per caso in base ai giustificativi” e che, pertanto, non assumono valore di parametro assoluto ed inderogabile essendo “suscettibili di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori” (TAR Roma, Sez. 2-bis, n. 6869/2018). Conseguentemente, la censura si focalizzava sull’illegittimità dell’esclusione disposta dalla stazione appaltante la quale, equiparando i costi medi delle tabelle provinciali de quo ai valori minimi di cui alle tabelle nazionali, avrebbe violato il principio di tassatività delle cause di esclusioni di cui all’art. 10 D. Lgs. 36/2023.

Invero, risulta in primo luogo da evidenziare come la ratio afferente alla verifica del costo della manodopera si apprezzi dalla lettura combinata degli artt. 41, comma 14, d.lgs. 36/2023 (“Livelli e contenuti della progettazione”), art. 108, comma 9, d.lgs. 36/2023 (“Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture”) e art. 110, comma 1, d.lgs. 36/2023 (“Offerte anormalmente basse”); ivi si deduce come l’attività operata dalla stazione appaltante sia finalizzata alla comprova del rispetto dei minimi salariali e contributivi inderogabili, così come fissati dalla contrattazione collettiva, in una “logica che sostanzialmente opera in modalità on/off, non tanto e non solo a presidio della regolarità della procedura (e della futura esecuzione dell’appalto), quanto piuttosto a tutela delle maestranze.” (TAR Salerno, II, 1994/2020).

E, infatti, la precipua finalità si attesta oltre quell’immediato risvolto riscontrabile “nella verifica della capacità dell’impresa di stimare correttamente la presumibile spesa [della manodopera], il quale, evidentemente, si colloca in un confine limitato al singolo affidamento, identificandosi piuttosto – ed, invero, quale obiettivo immanente al canone della massima soddisfazione dell’interesse pubblico – nella verifica della capacità dell’operatore economico di assolvere agli obblighi retributivi e contributivi durante il rapporto contrattuale, “talchè un importo incongruo non è solo il frutto di un’analisi errata, ma la spia di un potenziale rischio di non correttezza in fase esecutiva”.

Evidente, purtuttavia, come l’attività valutativa della “congruità” dell’offerta in relazione al costo della manodopera e del personale debba necessariamente leggersi alla luce del criterio di delega racchiuso nell’art. 1, comma 2, lett. t) della L. 78/2022 (“Delega al Governo in materia di contratti pubblici”), laddove è stato previsto come, fermo restando l’imperativa previsione che “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso”, è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale, così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione (così TAR Basilicata, I, 173/2024)

Conseguentemente, appare come l’operatore economico interessato non sia sottoposto a rigidi e mai derogabili canoni di ammissibilità dell’offerta economica laddove sia data dimostrazione che lo scostamento dalla lex specialis sia sì giustificato dal raggiungimento di un migliore – e più efficiente – soddisfacimento dell’interesse pubblico ma, soprattutto, che sia tale da “non compromettere la complessiva affidabilità dell’offerta [tanto da], indurre, ad un giudizio di anomalia della stessa.”. Considerare, al contrario, inamovibile il divieto indiscriminato di ribasso sulla manodopera determinerebbe, infatti, non solamente la “standardizzazione dei costi verso l’alto” e la sostanziale “imposizione del CCNL individuato dalla stazione appaltante al fine di determinare l’importo stimato dell’appalto” ma anche – e, soprattutto – l’impossibilità, da parte della stazione appaltante, di “vagliare l’effettiva congruità in concreto delle offerte presentate” (così Cons. Stato, V, n. 5665/2023).

In buona sostanza, pertanto, la lettura combinata della derogabilità di cui alla previsione ex art. 41, comma 14, d.lgs. 36/2023 e l’istituto di cui all’art. 110 d.lgs. 36/2023 si traduce nel fatto che la valutazione di anomalia dell’offerta sia da effettuarsi “considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa”. Pertanto, in funzione dei costi della gestione e delle spese generali appare come questi, seppur indicati difformemente in quanto inferiori da quanto previsto dalla lex specialis, non precludano automaticamente una positiva valutazione ed ammissibilità dell’offerta economica connessa “non incid[endo] necessariamente ed automaticamente sull’intera offerta che deve essere comunque apprezzata nel suo insieme, con un giudizio globale e sintetico di competenza della stazione appaltante”. A corollario appare evidente come non sia quindi possibile stabilire una “soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulta pari a zero”. (Cons. Stato, V, n. 7498/2021).

Orbene, nel caso di specie l’amministrazione riscontrava, in sede di lettura delle offerte economiche presentate, come la proposta della ricorrente prevedesse una proposta caratterizzata da un “forte scostamento” da quanto previsto dalla legge di gara in punto di importi orari contrattuali previsti inducendo, inevitabilmente, a qualificarla come offerta anomala trattandosi di una “discordanza considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione globale e sintetica” (così anche Cons. Stato, n. 224/2021). Fermo restando, infatti, quanto evidenziato in tema di elasticità e derogabilità del costo della manodopera, emergeva come la ricorrente avesse presentato valori divergenti rispetto ai cosiddetti “minimi salariali”, esorbitando pertanto da quell’alea di elasticità concessa all’istituto di cui all’art. 41, comma 14, d.lgs. 36/2023.

La concessa elasticità, infatti, incontra quale limite non solamente quello “esterno” anzidetto di cui al “giudizio globale e sintetico di competenza della stazione appaltante” ma anche quello derivante dalla distinzione tra “costo medio orario del lavoro”, indicato nelle tabelle ministeriali, e quello di cui ai “trattamenti salariali minimi inderogabili”. Quest’ultimi, infatti, a differenza dei primi che constano in valore “ricostruito su basi statistiche”, risultano essere limite invalicabile in quanto “viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo”. Conseguentemente, se i primi si intendono quale mero “parametro” di valutazione di congruità dell’offerta tale per cui “lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (Consiglio di Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 501), per i secondi se ne impone invece il rigido rispetto, determinandosi pertanto ex lege la legittimità della sanzione dell’esclusione in caso di loro violazione, sic et simpliciter. Emergeva infatti, nel caso di specie, come la ricorrente avesse invero formulato una proposta caratterizzata da un forte scostamento dalle tabelle ministeriali di cui al decreto direttoriale del Ministero del Lavoro. n. 7/2020 in punto di minimi contrattuali indicati in quest’ultime che, nel contesto, si identificavano con gli importi emergenti dal CCNL di competenza, in quanto tali incomprimibili.

Alla luce di quanto sopra, al di fuori delle ipotesi particolari sopra evidenziate in punto di elasticità di indicazione dei costi della manodopera, appare come in presenza di una “discordanza considerevole e palesemente ingiustificata” la legittimità dell’esclusione quale risultato del subprocedimento di verifica di anomalia dell’offerta appaia condivisibile.