Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Principio della fiducia nella valutazione dell’illecito professionale

Avv. Stefano Cassamagnaghi

Il TAR per la Sardegna – Cagliari, con sentenza n. 204/2024 dell’11 marzo 2024, si è pronunciato in merito alla legittimità, alla luce dei canoni interpretativi del principio della fiducia, della esclusione da una gara di un concorrente per le condotte tenute dallo stesso in un precedente rapporto contrattuale con la medesima stazione appaltante.

Nello specifico, si trattava di una procedura negoziata telematica senza bando, ex artt. 50, comma 1, lett. d) e art. 14 D. Lgs. n. 36/2023, finalizzato alla conclusione di un accordo quadro per l’affidamento di lavori di manutenzione conservativa e di efficientamento delle infrastrutture di un’area di un’area sita nella Regione Sardegna.

Dispostasi la riunione con analogo ricorso per identità oggettiva, le imprese ricorrenti, escluse dalla procedura per riscontrato grave illecito professionale – occorso in occasione di pregressi rapporti contrattuali con la medesima stazione appaltante – impugnavano il provvedimento di esclusione disposto nei loro confronti censurando, essenzialmente, la violazione degli artt. 95 e 98 del D. Lgs. n. 36/2023 in quanto le motivazioni addotte dalla stazione appaltante a sostegno della disposta esclusione “non sarebbero suscettibili di minare l’affidabilità e l’integrità delle ricorrenti”.

La valutazione della sussistenza del grave illecito professionale, infatti, sarebbe stata caratterizzata da uno sviamento dei poteri discrezionali attribuiti alla stazione appaltante la quale “non avrebbe considerato né il tempo trascorso dalle rilevate condotte inadempitive, né la pendenza di un giudizio civile avente ad oggetto la contestazione della risoluzione [contrattuale]. Le ricorrenti rilevavano altresì che la predetta esclusione sarebbe stata caratterizzata da “una serie di scorrettezze ed anomalie procedimentali” in quanto “la Commissione di gara e il RUP avrebbero ritenuto dapprima irrilevante la pregressa risoluzione per poi mutare avviso a seguito dell’apertura delle offerte” e che, pertanto, l’esclusione avrebbe avuto una mera “ratio ritorsiva” nei loro confronti essendo stata disposta “in forza del provvedimento di risoluzione del precedente contratto, che, fino a tale momento, non si era ritenuto decisivo”.

Negando la censurata pretestuosità dell’esclusione, il TAR respingeva il ricorso, ricostruendo il significato e la portata del principio della fiducia disciplinato dall’art. 2 del nuovo Codice e concludendo per la piena conformità della valutazione della stazione appaltante alle prescrizioni di cui all’art. 98 del Codice.

La pronuncia del TAR evidenzia infatti come, in forza di quell’opera di codificazione dei principi finalizzata ad ampliare normativamente l’esercizio del potere discrezionale da parte delle Amministrazioni rendendolo meno soggetto a quel fenomeno di “amministrazione difensiva” controproducente per il corretto raggiungimento del reale interesse pubblico, la valutazione di inaffidabilità di un operatore economico “si color[a ora] di particolare pregnanza nella vigenza del nuovo Codice dei Contratti”, rafforzando l’autonomia decisionale dell’ente in relazione all’esercizio del potere di esclusione dell’operatore economico per inaffidabilità “impinge[ndo] proprio e direttamente nel rapporto di fiducia che deve necessariamente intercorrere tra stazione appaltante e appaltatore”.

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, in funzione proprio di quel più efficiente raggiungimento del fondante buon agere amministrativo nella declinazione del maggiore spazio di valutazione e di iniziativa delle stazioni appaltanti, si è fatto autore – tra gli altri – di un’opera di positivizzazione del principio della fiducia il quale “oltre a cercare un cambio di passo rispetto al passato, [viene] espressamente richiamat[o] come criteri[o] di interpretazione delle altre norme del codice [ed è] ulteriormente declinat[o] in specifiche disposizioni di dettaglio […].” (così Relazione illustrativa). In tale senso si comprende come in virtù del suddetto principio, il quale “favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato” (art. 2, comma 2 D. Lgs. 36/2023), l’autonomia discrezionale delle amministrazioni assume un nuovo profilo “nel senso che esce rafforzata l’autonomia decisionale dell’ente in relazione all’esercizio del potere di esclusione dell’operatore economico per inaffidabilità”.

Alla luce di quanto finora esposto, risulta pertanto evidente come il principio della fiducia assuma una doppia natura qualificandosi, da un lato, come strumento ampliativo dei “poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile” mantenendosi pur sempre, dall’altro lato, come garante del migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico, non potendo la “fiducia” tradursi nella “legittimazione di scelte discrezionali che tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, le quali, invece, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento” (T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. III, n. 3738/2023).

Nell’ottica di tale rinnovato canone interpretativo dell’agere amministrativo, caratterizzato da una particolare pregnanza del concetto di “fiducia”, assume una nuova veste anche l’esercizio del potere di esclusione nelle ipotesi delle cause di esclusione non automatica di cui all’art. 95 qualora venga riscontrata la sussistenza di un grave illecito professionale in quanto “il concetto stesso di “affidabilità” si predica riguardo a qualcuno che sia meritevole di “fiducia”, riflettendosi questo aspetto, perciò, sotto il profilo giuridico, nella lettura e interpretazione della valutazione dell’illecito professionale stesso.

Nel caso di specie, infatti, il provvedimento impugnato è stato adottato ai sensi del combinato disposto degli artt. 95, comma 1 lett. e) e 98 del D. Lgs. n. 36/2023, ritenendosi integrato un grave illecito professionale da parte degli operatori in virtù proprio di quelle “pregresse vicende che hanno caratterizzato i rapporti tra le parti”, che hanno condotto all’adozione del provvedimento di risoluzione del precedente contratto per gli stessi lavori e per lo stesso lotto del caso de quo.

La sussistenza di un grave illecito professionale si ritiene integrata, tra le altre ipotesi, da quella “condotta dell’operatore economico che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento” (art. 98, comma 3, lett. c), costituendo adeguato mezzo di prova “l’intervenuta risoluzione per inadempimento”. Conseguentemente, così come previsto dal comma 2, dal momento in cui risulti soddisfatta congiuntamente sia la presenza di “elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale”, sia gli “adeguati mezzi di prova di cui al comma 6”, residua esclusivamente il vaglio discrezionale dell’amministrazione in punto di verifica dell’“idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore” affinché possa configurarsi e dichiararsi la presenza di un illecito professionale legittimante l’esclusione.

Orbene, risulta ora evidente come la nuova impostazione normativa superi sì l’incertezza dalla previgente disciplina, prevedendo espressamente gli indici necessari alla configurazione dell’illecito di cui all’art. 98, ma mantenga tuttavia nel contempo l’impostazione in ordine alla “natura del potere dell’amministrazione di valutazione circa l’idoneità dell’illecito professionale ad incidere sull’affidabilità dell’operatore economico”, rifuggendo la possibilità che si possa ricadere a rigidi automatismi nella sua operatività.

Ed è proprio in tal senso che il principio della fiducia, nella sua declinazione di “affidabilità” (dell’operatore economico), assurge, secondo il TAR, ad elemento guida nella valutazione suddetta: l’Amministrazione, nel processo tecnico-discrezionale di accertamento dell’affidabilità dell’operatore economico concorrente, ha ampi poteri e “può utilizzare ogni tipo di elemento idoneo e mezzi adeguati a desumere l’affidabilità e l’integrità del concorrente, potendo evincere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa […], secondo un giudizio espresso non in chiave sanzionatoria, ma piuttosto fiduciaria” (Cons. Stato, Sez. V, n. 2801/2023). Conseguentemente, una volta verificata la positiva presenza di quegli indici sintomatici “espressi”, i quali non sono soggetti ad interpretazione alcuna ma, anzi, assumono un rigido formalismo nella loro elencazione, l’Amministrazione godrebbe di una particolare libertà nella valutazione dell’affidabilità potendo anche ben accadere che “due stazioni appaltanti, chiamate a valutare le medesime pregresse vicende professionali di uno stesso operatore economico, diano giudizi opposti, l’una dicendo affidabile quel che l’altra ritenga non affidabile, senza che si possa sol per questo dire l’uno o l’altro provvedimento viziato da eccesso di potere” (Cons. Stato, Sez. V, 4 luglio 2022 n. 5569). In tal senso, l’opera valutativa dell’Amministrazione può quindi ben essere qualificata sotto l’etichetta di verifica dell’”inaffidabilità relativa” in quanto, come poc’anzi esposto, è “sufficiente la diversità anche di solo parziali elementi tra diverse procedure a giustificare il possibile diverso esito della valutazione di affidabilità”.

Nel caso di specie, invero, il Giudice, respingendo il ricorso, ha rilevato come le pregresse vicende che hanno caratterizzato i rapporti contrattuali, poi risolti, tra i ricorrenti e l’Amministrazione e che sono state causa e motivazione dell’intervenuta esclusione delle stesse, fossero di particolare rilevanza in ragione del fatto che “si è riscontrato proprio nell’ambito di un pregresso appalto del tutto sovrapponibile a quello oggetto della presente procedura di gara, in termini di tipologia dei lavori, modalità esecutive degli stessi e area geografica di riferimento”. Fuori fuoco è stata giudicata, pertanto, la censura delle ricorrenti laddove l’esclusione avrebbe avuto una “ratio ritorsiva” nei loro confronti, essendo stata disposta “in forza del provvedimento di risoluzione del precedente contratto, che, fino a tale momento, non si era ritenuto decisivo”, in quanto la valorizzazione dell’inaffidabilità si è basata su presupposti evidentemente oggettivi.

In definitiva la sentenza conferma che l’affidabilità di un operatore economico, lungi dall’essere una mera ed immutabile “inaffidabilità soggettiva” determinante una costante e non altrimenti rimediabile situazione legata “a prescindere dallo specifico oggetto dell’appalto”, sia invero sempre relativa “poiché non deve essere genericamente affermata in relazione a una certa tipologia di lavori, ma va correlata allo specifico appalto”, cosicché è ben possibile che un medesimo episodio venga diversamente valutato a seconda del contesto di riferimento senza per tale motivo determinare un vizio motivazionale in capo all’amministrazione escludente. In tal senso, il richiamo nella motivazione al principio della fiducia, positivizzato dal nuovo Codice, appare più che altro, nuovamente, rendere esplicita una regola già ricavabile dal principio generale di buon andamento dell’azione Amministrativa, più che un effettivo ampliamento del margine di discrezionalità, da esercitarsi quindi in maniera ancorata, nella valutazione dell’illecito professionale, alla affidabilità dimostrata dall’operatore economico nell’esecuzione di prestazioni della medesima tipologia di quelle oggetto di affidamento.