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Alla Corte di Giustizia la questione dell’esclusione in caso di grave errore professionale

a cura dell’avvocato Giovanni Savoia.

Con l’ordinanza della Sez. V n. 2639 del 3 maggio 2018, il Consiglio di Stato ha rimesso al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale sulla compatibilità con il diritto europeo della disciplina interna relativa all’esclusione dalla gara per grave illecito professionale.

In particolare, oggetto della questione rimessa alla Corte di Lussemburgo è “se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento ostano ad una normativa nazionale, come quella in esame, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l’illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore può essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all’esito di un giudizio”.

La disciplina interna – e in particolare l’art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 50/2016 – stabilisce che la stazione appaltante esclude un operatore economico dalla gara qualora essa “dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.

Diversamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE si limita a prevedere il potere per la stazione appaltante di escludere l’impresa dalla procedura “se può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità”.

Secondo l’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione, appare chiara la volontà del legislatore europeo di consentire l’esclusione dell’operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale anche prima che sia adottata una decisione definitiva e vincolante, e ciò anche sulla base del Considerando 101 della Direttiva stessa, in base al quale “Tenendo presente che l’amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale”.

Il Consiglio di Stato ritiene che tra normativa europea e normativa italiana non vi sia omogeneità, dal momento che la seconda “fa dipendere dalla scelta dell’operatore economico – di impugnare o meno la risoluzione in sede giurisdizionale – la decisione dell’amministrazione”. A ciò si aggiunga che, nell’ipotesi di risoluzione contrattuale con un operatore economico contestata in giudizio e di successiva indizione di una nuova gara, la stazione appaltante si troverà così nella ‘paradossale’ situazione di non poter escludere quell’operatore economico dalla gara pur avendolo già giudicato inaffidabile, tanto da aver risolto il precedente contratto con lo stesso stipulato.

Secondo il Consiglio di Stato, appare più conforme ai principi di proporzionalità e parità di trattamento che la stazione appaltante mantenga la discrezionalità (e la responsabilità) di valutare, con mezzi idonei, l’affidabilità dell’operatore, a prescindere dalla definitività di tale accertamento, poiché questo finisce col dipendere esclusivamente dalla volontà dell’impresa. Di qui la necessità di rimettere la questione alla Corte di Lussemburgo rispetto alla portata dell’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice.

L’iniziativa del Consiglio di Stato appare certamente apprezzabile in un’ottica di chiarificazione della portata dell’art. 80, comma 5, lett. c), dal momento che alcune pronunce dei giudici amministrativi hanno già offerto una interpretazione che in qualche misura aggira il dato letterale della norma e legittima l’esclusione anche nei casi di risoluzione sub judice, valorizzando il carattere esemplificativo dell’elenco contenuto nell’art. 80, comma 5, lett. c) (cfr., tra le altre, C.G.A. 30 aprile 2018, n. 252; TAR Campania – Napoli, 11 aprile 2018, n. 2390), mentre altre – come rilevato nella stessa ordinanza di rimessione – si sono attenute maggiormente alla lettera della norma (TAR Sicilia, 10 novembre 2017, n. 2548; Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955).

Sarà interessante valutare come il problema verrà affrontato e, auspicabilmente, risolto dai giudici di Lussemburgo.

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