Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

I principi alla base del partenariato tra pubblico privato

a cura dell’avvocato Uliana Garoli.

Il tema è di grande interesse e attualità. Infatti il ricorso al partenariato pubblico privato può intervenire in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione intenda affidare, a un operatore privato, la proposizione di un progetto finalizzato alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità e per la gestione dei relativi servizi nell’ambito di una cooperazione di lungo termine.

I motivi che possono consigliare il ricorso al partenariato sono di varia natura. Ad esempio possono essere necessari, oltre che opportuni, per poter rispettare i vincoli di bilancio, ovvero per il contenimento della spesa e poter investire e ottimizzare i costi operativi.

Con il partenariato si realizza inoltre il coinvolgimento di risorse e competenze private in tutte le fasi di gestione dell’opera; inoltre si raggiunge l’obiettivo di trasferire i rischi al settore privato.
In questo modo si ottiene una virtuosa integrazione delle competenze per la realizzazione e la gestione di opere pubbliche o di publico interesse.

Già la legge delega n. 11/2016, dettando i principi su cui è strutturato il nuovo codice degli appalti, mirava all’obiettivo di incentivare l’integrazione pubblico – privato al fine di accrescere le risorse disponibili e favorire soluzioni innovative dal punto di vista finanziario, con riferimento agli istituti di finanza di progetto e di pubblica utilità.

Ciò che si vuole evitare è che si utilizzi la cooperazione pubblico privato per realizzare opere o progetti il cui rischio economico si vada a riversare esclusivamente sul partner pubblico. Ciò è spesso accaduto in violazione delle regole europee che prevedono in queste forme di cooperazione, che almeno una parte del rischio operativo sia traslato dalla pubblica amministrazione all’operatore privato.

I principi sono richiamati in modo chiaro e inequivocabile dall’art. 180 del codice degli appalti dove, al comma 3, recita che il trasferimento del rischio in capo all’operatore economico, comporta l’allocazione a quest’ultimo non solo del rischio di costruzione, ma anche del rischio di disponibilità o, nel caso di attività redditizia verso l’esterno, del rischio di domanda dei servizi resi.

Di qui l’importanza, di cui si è già trattato in precedenti interventi, della predisposizione ex ante del piano economico finanziario, al quale fanno preciso riferimento le linee guida di Anac sull’argomento.

Infatti l’art. 180 al comma 6 precisa che l’equilibrio economico finanziario rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi, anche se per il raggiungimento dello scopo prefissato, l’amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un contributo pubblico o la messa a disposizione di un bene immobile che non assolva più a funzioni di interesse pubblico .

In ogni caso, si dovrà sempre osservare il limite imposto dalla norma laddove specifica che la partecipazione della pubblica amministrazione, attraverso forme o meccanismi di finanziamento, non può comunque superare il quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo.

Anche nel caso di contratto di disponibilità ai sensi dell’art. 188 lettera b) del codice degli appalti, si precisa che l’eventuale riconoscimento di un contributo pubblico in corso d’opera, non debba comunque superare il 50% del costo di costruzione dell’opera.

Quindi le amministrazioni aggiudicatrici, dovranno provvedere all’affidamento dei contratti ponendo a base di gara il progetto definitivo oltre ad uno schema di contratto e di piano economico finanziario che diano evidenza della corretta allocazione dei rischi tra le parti e della sostenibilità economico – finanziaria, ma dovranno provvedere contemporaneamente al monitoraggio costante sull’attività del partner privato.

Riproduzione riservata