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Appalti pubblici: più della corruzione, poté la collusione

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.

Lo evidenzia il Rapporto 2016 dell’Authority garante della concorrenza del mercato. Criticità anche nel nuovo Codice degli appalti.

Il Presidente Pitruzzella ha sottolineato che, nell’attività dell’Antitrust dell’ultimo anno, spicca la lotta ai cartelli negli appalti pubblici, anche in collaborazione con l’Anac, che ha portato a significativi risultati, come dimostra la sanzione per il cartello tra imprese nella gara Consip per la pulizia delle scuole. Altre istruttorie sono in corso, a cominciare da quella, sempre per una gara Consip, nei confronti del Consorzio Nazionale Servizi e di altre sei imprese per l’affidamento dei servizi di facility management destinati agli immobili della P.A., delle Università e degli Istituti di ricerca.

Le criticità del Codice degli appalti

Il Codice introduce diverse novità in linea con quanto auspicato negli ultimi anni dall’Autorità. Fra i cambiamenti introdotti, si segnala, tra l’altro, quello che richiede alle stazioni appaltanti di suddividere le gare in lotti funzionali o prestazionali tali da permettere una effettiva partecipazione alla gara al maggior numero di imprese, comprese quelle di dimensioni inferiori.

Funzionale all’aumento dell’efficienza delle gare appaiono anche le norme che mirano a ridurre il contenzioso e a garantire una maggiore certezza dei rapporti, attraverso l’introduzione di rigidi termini decadenziali per impugnare tutti gli atti di gara. Da evidenziare, altresì, le disposizioni che centralizzano e aggregano le committenze, riducendo il numero delle stazioni appaltanti: così facendo, infatti, si riducono, da un lato, i costi sostenuti da parte delle amministrazioni per l’organizzazione della gare, con vantaggi diretti per le casse pubbliche, e, dall’altro, si realizzano le condizioni per facilitare le attività di controllo e monitoraggio sulle gare. Non mancano alcuni profili di criticità, alcuni dei quali messi già in evidenza dall’Autorità nell’ambito della sua attività di segnalazione. È il caso, ad esempio, della possibilità di inserire la clausola di protezione sociale negli appalti ad alta intensità di manodopera, prevista all’art. 50 del Codice, senza richiedere alcuna compatibilità o armonizzazione con le esigenze dell’impresa subentrante. Sul tema l’Autorità è ripetutamente intervenuta, da ultimo con un parere espresso proprio con riferimento allo schema di Codice degli appalti, nel quale aveva sottolineato le criticità concorrenziali sottese alla previsione di una clausola di protezione sociale nei bandi di gara che non fosse rispettosa dell’autonomia dell’impresa vincitrice della gara. Anche la modalità con cui è stata introdotta, nell’art. 22 del nuovo Codice, la consultazione con i portatori di interesse nella forma del “dibattito pubblico” per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, presenta elementi di debolezza.

L’Autorità aveva auspicato l’introduzione di procedure sul modello del débat public francese, caratterizzate da trasparenza e contraddittorio, al fine di superare l’impasse che spesso caratterizza la realizzazione delle grandi opere di infrastrutture pubbliche a causa dell’opposizione delle comunità locali e dell’insorgere di contestazioni dopo la conclusione della fase decisionale. La procedura prevista dal nuovo Codice degli appalti risulta essere scarsamente operativa ed efficace a causa del rinvio dei contenuti essenziali ad un futuro D.P.C.M. da emanarsi entro un anno dall’entrata in vigore del Codice; inoltre, la decisione di attribuire la gestione della procedura al soggetto che propone l’opera (e che quindi è, per definizione, non terzo), rischia di farle perdere il necessario carattere di imparzialità e, conseguentemente, di dare adito a nuovi pretesti di ricorso da parte degli oppositori. Più in generale, poi, come sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato, il rinvio ad un provvedimento attuativo contenuto in numerosi articoli del Codice, rischia di minare uno degli obiettivi che lo stesso Codice mirava a perseguire, vale a dire l’introduzione di una cornice regolatoria chiara, sistematica ed unitaria. Il rinvio nel tempo dell’operatività delle norme, infatti, indebolisce l’efficacia dell’intero Codice e genera, inoltre, incertezze interpretative sulla sua applicazione.

Il permanere di vincoli all’autonomia dell’impresa nella partecipazione alla gara, ed elementi di incertezza normativa come quelli sopra evidenziati, compromettono il corretto svolgimento del gioco concorrenziale e pregiudicano lo sviluppo e l’effettività delle riforme. Nell’ottica di favorire il corretto svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica, deve segnalarsi, infine, il Comunicato congiunto adottato nel corso dell’anno dall’Autorità unitamente all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) al fine di fornire indicazioni generali sul tema della c.d. “adesione postuma”, fattispecie che individua l’affidamento posto in essere attraverso la mera adesione agli esiti di una gara bandita da altra amministrazione (e confezionata per soddisfare esclusivamente le esigenze e i fabbisogni di quest’ultima) e che risulta potenzialmente elusiva dell’obbligo legislativo di programmazione degli acquisti e lesiva dei principi di affidamento dei contratti pubblici e della concorrenza.

In particolare, nel citato Comunicato congiunto viene precisato che, in coerenza con gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa, la legittimità della clausola di estensione contrattuale deve essere scrutinata caso per caso, in modo da assicurare un adeguato bilanciamento tra i principi di libera concorrenza e parità di trattamento, da un lato, e la concentrazione ed aggregazione della domanda, dall’altro. La prassi della c.d. adesione postuma non può essere invece giustificata dal ricorso all’istituto dell’aggregazione della domanda (anche attraverso l’uso di strumenti aggregativi della committenza previsti dal nuovo codice degli appalti), in quanto il ricorso allo stesso non consente di derogare al regolare svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica. Allo stesso modo, l’obiettivo del conseguimento di un eventuale risparmio di spesa o contenimento dei costi non può legittimare l’esistenza e l’applicazione di una clausola di adesione indeterminata in violazione delle regole dell’evidenza pubblica.

Infine, la clausola di adesione postuma prevista nella documentazione di gara deve essere circoscritta e ben determinata sia sotto il profilo soggettivo (stazioni appaltanti che potranno aderire alla gara) che oggettivo (valore massimo di affidamento postumo consentito). In ogni caso, essa non deve dare luogo alla rinegoziazione dell’oggetto del contratto, sia sotto il profilo della tipologia di attività da eseguire, che delle condizioni economiche da applicare.

Le amministrazioni pertanto, per non alterare il confronto concorrenziale a valle, possono fare legittimo ricorso a tale strumento solo se dispongono di una corretta programmazione dei fabbisogni da soddisfare mediante l’affidamento e definiscono in modo puntuale il valore del- l’appalto oggetto di gara, che deve includere anche gli eventuali rinnovi o adesioni successive.

Codice degli Appalti e Rating di legalità

Il rating di legalità, fino ad oggi rilevante, tra l’altro, ai fini dell’accesso al credito bancario e per la concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, con l’entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti per mezzo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 assume rilevanza specifica nell’ambito degli appalti pubblici.
Infatti, ai sensi dell’articolo 83, comma 10, del d.lgs. 50/2016, il rating di legalità costituisce requisito reputazionale base per il conseguimento del rating di impresa, quest’ultimo a sua volta richiesto ai fini della qualificazione degli operatori economici per la partecipazione agli appalti pubblici nell’ambito del più ampio progetto di riforma del sistema di qualificazione in corso di approntamento.

Vi è da aggiungere che il d.lgs. 50/2016 attribuisce autonoma rilevanza al rating di legalità, a prescindere dal rating di impresa, ad esempio ai fini della riduzione della garanzia per la partecipazione alle gare negli appalti di servizi e forniture (articolo 93, comma 7, del d.lgs. 50/2016) e, inoltre, nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, quale criterio premiale che le amministrazioni aggiudicatrici possono indicare nei bandi e negli avvisi di gara per la valutazione dell’offerta “in relazione al maggior rating di legalità dell’offerente” nel rispetto, evidentemente, e compatibilmente “(…) con il diritto dell’Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, (…)” (articolo 95, comma 13, del d.lgs. 50/2016).

In un tale contesto, vista la rilevanza assunta dalla certificazione di legalità nell’ambito degli appalti pubblici e dello stretto vincolo di collaborazione creato tra le varie istituzioni competenti in materia di legalità e lotta alla corruzione, l’Autorità è intervenuta nell’ambito della consultazione pubblica sulle linee guida attuative del nuovo Codice degli Appalti e delle Concessioni che l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha emanato nel mese di aprile 2016. Le osservazioni comunicate all’ANAC con nota del 23 maggio 2016 hanno riguardato i punti delle linee guida concernenti il rating di legalità; in particolare, è stata sottolineata la mancata indicazione della fonte normativa istitutiva del rating di legalità e che l’elenco con tutte le imprese in possesso di tale rating è pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità. Inoltre, con riguardo alle Linee guida in materia di offerta economicamente più vantaggiosa, si è precisato che “il rating di legalità può essere richiesto dalle imprese operanti nel territorio nazionale con un fatturato minimo pari ad almeno due milioni di euro” in luogo dell’espressione “esclusivamente da imprese italiane” utilizzata dall’ANAC. Inoltre l’Autorità è intervenuta per puntualizzare che, per quelle categorie di imprese che non posseggono i requisiti per accedere al rating di legalità, quali le imprese neo-costituite e quelle che non raggiungono la soglia dei due milioni di euro di fatturato, occorre prevedere misure compensative al fine di non penalizzarle. Con riferimento poi alle linee guida denominate “Criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese”, e in particolare con riguardo all’inclusione del rating di legalità tra gli indici reputazionali da utilizzare per il calcolo del rating di impresa, l’Autorità con comunicazione del 2 agosto 2016 ha rappresentato all’ANAC la preoccupazione che i vincoli normativi che attualmente precludono l’accesso al rating di legalità a talune categorie di imprese possano tradursi in penalizzazioni in ordine al punteggio conseguibile in materia di rating di impresa.

Comportamenti abusivi delle imprese nel mercato farmaceutico

Fra i settori d’intervento dell’Autorità per comportamenti abusivi delle imprese si segnala quello farmaceutico: il mercato dei farmaci risulta essere particolarmente delicato per le ricadute negative che i comportamenti anticoncorrenziali delle imprese hanno sul sistema sanitario nazionale – e dunque sulle finanze pubbliche – e, ancor più grave, sulla garanzia di un diritto fondamentale dei cittadini, quale quello alla salute. A conferma della rilevanza di tale mercato, l’Autorità è intervenuta sia con un’attività di enforcement, che ha portato alla conclusione di un’istruttoria nei confronti della multinazionale farmaceutica Aspen (A480 – Incremento prezzi farmaci Aspen), sia con un’attività di indagine conoscitiva (IC50 – Indagine conoscitiva sui vaccini per uso umano, vedi infra). L’Autorità ha accertato la posizione dominante di Aspen nei mercati relativi ai principi attivi clorambucile, melfalan, mercaptopurina e tioguanina, contenuti in farmaci (Leukeran, Alkeran, Purinethol e Tioguanina) considerati insostituibili per la cura di anziani e bambini affetti da patologie oncoematologiche. In Italia, gli unici farmaci contenenti tali principi attivi che hanno ricevuto l’autorizzazione alla messa in commercio sono quelli prodotti da Aspen. L’istruttoria ha messo in evidenza come Aspen, in virtù della propria posizione dominante, sia riuscita, in seguito ad una contrattazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ad ottenere ingenti aumenti di prezzo; tali incrementi sono stati ottenuti in assenza delle necessarie giustificazioni economiche e adducendo come unica motivazione la necessità di allineamento dei prezzi con quelli applicati negli altri Paesi europei. Grazie a questi aumenti di prezzo, compresi tra il 300% e il 1500% di quelli originariamente applicati, Aspen ha realizzato extra-ricavi di rilevante entità. A fronte delle risultanze istruttorie, l’Autorità ha deciso di comminare una sanzione di € 5.222.317 nei confronti della multinazionale, diffidandola dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli accertati.

L’indagine relativa ai vaccini per uso umano

L’indagine conoscitiva sui vaccini ad uso umano ha fatto luce su alcune problematiche presenti in tale mercato, alcune riconducibili al settore farmaceutico nel suo complesso, altre più direttamente riconducibili allo scenario italiano.
Una criticità è rappresentata dalle politiche commerciali adottate dalle principali imprese – che ricorrono spesso al tiered pricing, o “prezzi a strati”, e ad accordi di riservatezza sui prezzi praticati – che fanno sì che i centri di spesa abbiano difficoltà nel definire in maniera congrua i propri acquisti.
Con riguardo all’Italia, invece, l’indagine ha messo in evidenza che, nel periodo 2010-2015, i costi per l’acquisto dei vaccini qualificati come essenziali da parte del SSN sono stati mediamente di 300 milioni di euro all’anno; inoltre, negli ultimi anni è stato avviato un processo di riaggregazione della domanda pubblica intorno a un numero limitato di centrali di acquisto, volto a controbilanciare l’oligopolio presente dal lato dell’offerta. Tuttavia, l’Autorità ha rilevato la necessità di introdurre una maggiore trasparenza informativa, a partire dai dati di aggiudicazione delle gare di appalto, che potrebbero essere utilizzati per valutazioni di benchmark, oltre che per evidenziare buone pratiche amministrative.
L’indagine ha messo in evidenza gli effetti positivi sui prezzi del confronto concorrenziale fra gli operatori: quando si verifica un confronto commerciale tra prodotti diversi, infatti, i prezzi tendono a scendere in misura sensibile, anche in assenza di versioni cosiddette equivalenti.
Al contrario, nel caso dei vaccini anti-pneumococcici, che rappresentano la prima voce della spesa vaccinale pubblica (con un spesa pari a 84 milioni di euro), il perdurare nel tempo di un monopolio di un prodotto ha fatto sì che si assistesse ad un aumento dei prezzi di vendita, pur a fronte di volumi di vendita crescenti e garantiti nei confronti del SSN. Tale fenomeno è da ricondurre prevalentemente all’assenza di decisioni ufficiali sull’eventuale equivalenza medica (da cui dipende la sostituibilità commerciale) di vaccini con coperture sierotipiche diverse.

La lotta ai cartelli negli appalti pubblici

Tra le priorità perseguite dall’Autorità negli ultimi anni vi è il contrasto ai cartelli negli appalti pubblici (bid rigging). La lotta ai cartelli negli appalti pubblici, ravvivando il confronto competitivo, contrasta le rendite di posizione e libera risorse che, invece di andare ai partecipanti al cartello, restano nella disponibilità dei bilanci pubblici e possono essere impiegate per stimolare la crescita e/o ridurre le diseguaglianze. Questi interventi antitrust sono stati condotti anche nell’anno trascorso e si sono sempre caratterizzati per l’intensa collaborazione con l’ANAC, particolarmente efficace anche grazie al protocollo di intesa che istituzionalizza la reciproca cooperazione (significativa anche per quanto riguarda il rating di legalità). Parimenti rilevanti sono in questo campo i rapporti con la magistratura ordinaria, e in particolare con la Procura della Repubblica di Roma. Nel febbraio del 2017, il Consiglio di Stato ha confermato la decisione dell’Autorità che ha sanzionato un cartello tra imprese 13 riguardante la gara Consip per i servizi di pulizia delle scuole. L’appalto era stato suddiviso in tredici lotti del valore complessivo di circa 1,63 miliardi di euro. La collusione si è realizzata attraverso l’uso distorto dello strumento consortile. Pur concorrendo formalmente in maniera autonoma, il Consorzio Nazionale Servizi e la consorziata Manutencoop Facility Management hanno concordato, d’intesa con le altre parti del procedimento (in particolare Roma Multiservizi, partecipata in misura rilevante da Manutencoop), la strategia per perseguire obiettivi condivisi e alterare gli esiti della gara, anche avvalendosi di affidamenti in subappalto per tutelare le rispettive posizioni di mercato. Tramite questa intesa, le imprese citate – due delle quali sono i maggiori operatori del mercato – hanno di fatto annullato il reciproco confronto concorrenziale, per spartirsi i lotti più appetibili e aggiudicarsene il numero massimo consentito dal bando. Sempre con riguardo ad una gara bandita dalla Consip, l’Autorità ha recentemente (marzo 2017) avviato un procedimento istruttorio nei confronti del Consorzio Nazionale Servizi e di altre sei imprese, per accertare se esse, anche per il tramite di società dalle stesse controllate, abbiano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza avente come oggetto il coordinamento delle modalità di partecipazione alla gara per l’affidamento dei servizi di Facility Management destinati agli immobili della P.A., alle Università ed agli Istituti di ricerca (gara FM4).