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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

L’analisi dell’ufficio parlamentare di bilancio sulla spesa per beni e servizi della Pa

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.

Cresce la spesa per farmaci in distribuzione diretta e per conto (e in corrispondenza diminuisce quella della farmaceutica convenzionata) e quella relativa a farmaci innovativi. Rallenta quella per dispositivi medici e servizi appaltati. Luci ed ombre sulla concentrazione della domanda. Per i servizi non vi sono economie di scala. Occorre garantire l’accesso al mercato per le PMI.

La spesa per consumi intermedi rappresenta il valore dei beni e dei servizi utilizzati come input – insieme con il lavoro dei dipendenti – nel processo di produzione dei consumi finali della Pubblica amministrazione (PA).

Dall’analisi effettuata emergono le seguenti evidenze:

  • La spesa per consumi intermedi della PA registrata dalla contabilità nazionale nel 2016 è ammontata a 91 miliardi, pari al 5,4 per cento del PIL e all’11,9 per cento della spesa pubblica primaria, cioè al netto degli interessi passivi. In oltre un ventennio, dal 1995 al 2016, la crescita cumulata di questa voce di spesa si è attestata a un livello intermedio rispetto a quella delle altre componenti delle uscite correnti primarie.
  • Come avvenuto anche per altre componenti della spesa pubblica, si distinguono chiaramente comportamenti di spesa diversi prima e dopo l’avvio della crisi economico- finanziaria globale e dei debiti sovrani.
  • Dal 1995 si è verificato per i consumi intermedi un aumento consistente sino al 2008, con un incremento di circa 38 miliardi, e una evoluzione più moderata nel periodo successivo, in cui l’incremento è stato di circa 8,5 miliardi. In media dal 1995 al 2008 la spesa è cresciuta del 4,8 per cento l’anno, mentre successivamente il tasso di crescita annuo è stato ben inferiore e in media pari all’1,2 per cento.
  • Molto rilevanti, infatti, sono stati gli interventi correttivi, concentrati in particolare negli anni 2011-12.

Guardando alla suddivisione per sottosettori, la quota maggiore di spesa per consumi intermedi è quella delle Amministrazioni locali (AL), ed è risultata sempre in crescita sino a raggiungere nel 2015 i tre quarti circa del complesso (era il 62,3 per cento nel 1995). L’incidenza della spesa delle Amministrazioni centrali (AC) è scesa dal 34,1 al 23,1 per cento, quella  contenuta  degli Enti di previdenza (EP) dal 3,6 al 2,2 per cento del complesso. In venti anni, i consumi intermedi delle AL sono più che raddoppiati (+137,5 per cento) mentre sono cresciuti meno sia quelli delle AC (+34,3 per cento) che quelli degli EP (+18,4 per cento). Su questa evoluzione, oltre all’andamento della componente sanitaria e di gestione dei rifiuti, in parte, ha inciso, specie nei primi anni del nuovo millennio, il riflesso finanziario del conferimento di nuove funzioni amministrative alle Regioni e agli Enti locali.

  • All’interno dei sottosettori le dinamiche dei vari comparti sono state differenziate. Confrontando i due sottoperiodi, dal 1995 al 2008 e dal 2009 al 2015, in media alcuni comparti – gli Enti sanitari locali (ESL), i Comuni e lo Stato – hanno sperimentato un rallentamento nei tassi di crescita; gli altri comparti invece hanno registrato, sempre in media, delle riduzioni di spesa.
  • Guardando alle competenze delle amministrazioni e quindi ai livelli di spesa per funzione, nel 2015, oltre un terzo dei consumi intermedi ha riguardato la sanità e un altro terzo circa è dipeso dalle altre due più rilevanti funzioni dal punto di vista della consistenza, relative ai servizi generali e alla protezione dell’ambiente.
  • Gli andamenti differenziati delle varie componenti hanno comportato un cambiamento nella composizione per funzione. La spesa per consumi intermedi relativi alla sanità, che costituisce il 35,8 per cento della spesa del 2015 (era il 22,3 per cento nel 1995), è attribuibile quasi per intero alle Amministrazioni locali e, in particolare, agli Enti sanitari locali che spendono soprattutto per attività ospedaliere e ambulatoriali.

FOCUS SANITÀ

  • L’aumento degli acquisti di beni è legato soprattutto alla crescita della spesa per prodotti farmaceutici ed emoderivati (nonché dietetici fino al 2007), il cui incremento annuale, superiore al 15 per cento nei primissimi anni, si riduce al di sotto del 10 per cento solo a partire dal 2010, per risalire sopra il 15 per cento nell’ultimo anno. Si ricorda che, come sopra accennato, questo andamento è in parte dovuto al fatto che nei Servizi Sanitari Regionali (SSR) l’acquisizione di farmaci attraverso le farmacie convenzionate è stata in parte progressivamente sostituita con l’acquisto diretto attraverso le strutture sanitarie oppure attraverso le farmacie tramite specifici accordi (distribuzione diretta e per conto)67. Tuttavia, la spesa è stata anche sospinta dall’introduzione di farmaci innovativi (che nel 2015 ha impattato fortemente sulla distribuzione diretta, per l’introduzione di prodotti per la cura dell’epatite C).
  • Meno veloce appare la crescita della spesa per dispositivi medici (e prodotti chimici fino al 2011), che comunque rallenta fortemente dopo i primi due anni. Tra il 2013 e il 2015 la serie relativa ai dispositivi, al netto dei prodotti chimici, presenta un tasso di crescita in riduzione dal 4,8 allo 0,8 per cento. Nell’ambito dei servizi, quelli appaltati e l’insieme di manutenzioni e godimento beni di terzi mostrano un tasso di crescita molto forte nel primo biennio dopo il 2003 e un incremento di circa il 45 per cento tra il 2003 e il 2008, ma poi tendenzialmente rallentano, soprattutto i primi; per gli appalti si rilevano una stabilizzazione nel 2013 e tassi di crescita negativi nell’ultimo biennio.

I servizi generali, la cui incidenza sul complesso dei consumi intermedi è scesa dal 28 per cento del 1995 al 16,2, rappresentano la prima componente di spesa delle Amministrazioni centrali (per 6,9 miliardi nel 2015) e la terza per quelle locali (per un importo più elevato e pari a 7,6 miliardi);

La terza funzione, relativa alla protezione dell’ambiente, che ha sperimentato un incremento della quota sul totale della spesa dal 7,6 al 12,8 per cento, viene svolta prevalentemente dalle Amministrazioni locali e in particolare dai Comuni, in massima parte per la gestione dei rifiuti.

Un’altra voce rilevante di spesa riguarda l’istruzione (con un’incidenza sul totale del 7,9 per cento, in riduzione dal 10,1 del 1995), che interessa in maggior misura le Amministrazioni locali le quali hanno in carico le spese di manutenzione ordinaria degli edifici scolastici.

  • Dai bilanci delle aziende sanitarie risulta che la spesa per acquisti di beni e servizi è aumentata dell’85 per cento tra il 2003 e il 2015 (con un tasso di crescita tendenzialmente in rallentamento fino al 2013 e poi in lieve ripresa), ma, soprattutto dal 2008, è stata trainata principalmente dai beni (che rappresentano il 54 per cento del totale nel 2015), aumentati complessivamente del 107 per cento, contro il 64 per cento dei servizi. L’aumento degli acquisti di beni è legato soprattutto alla crescita della spesa per prodotti farmaceutici ed emoderivati, a sua volta sospinta verso l’alto dall’introduzione di farmaci innovativi e dalla diffusione di sistemi di distribuzione diretta agli assistiti non ricoverati dei medicinali acquistati dagli enti sanitari – con la conseguenza di una contabilizzazione dei pagamenti nei consumi intermedi -, in sostituzione del canale delle farmacie in convenzione.
  • Nel periodo successivo all’avvio della crisi economico-finanziaria si determina una certa omogeneità nelle azioni adottate: da un lato, vengono disposti tagli nei settori più facilmente comprimibili, in quanto attuabili nei tempi necessari a ottenere risultati immediati di correzione dei conti; dall’altro, si concentra la spesa su specifiche funzioni, in alcuni casi garantite dalla presenza di diritti soggettivi e riguardanti compiti strettamente istituzionali.
  • Considerando i dati di cassa, che risentendo, in particolare, dei pagamenti per debiti commerciali mostrano dinamiche anche assai diverse nei singoli anni rispetto alla contabilità nazionale, risultano confermate le medesime tendenze di fondo. In tutti i comparti territoriali, le voci che sono state maggiormente ridotte sono quelle più facilmente aggredibili, per le quali si osservano riduzioni ripetute negli anni: organi istituzionali, incarichi professionali, corsi di formazione, organizzazione di manifestazioni e convegni, cancelleria, studi e consulenze, lavoro interinale, organismi e commissioni, pubblicazioni, missioni e rimborso viaggi, spese di pubblicità e di rappresentanza.

In aumento rilevante, e differenziate nella tipologia, risultano invece le spese maggiormente connesse con le missioni tipiche dei comparti territoriali. Per le Regioni e gli Enti sanitari locali si tratta degli acquisti di beni e servizi connessi alla spesa sanitaria. Per le Province ciò si verifica relativamente alle spese per servizi scolastici. Per quanto riguarda i Comuni, hanno mostrato incrementi rilevanti soprattutto le spese per contratti di servizio e, in particolare, quelle per lo smaltimento dei rifiuti.

Dal Focus si possono trarre alcune considerazioni conclusive:

  • Le manovre disposte hanno consentito di contenere la dinamica della spesa, pur essendoci stati elementi che hanno limitato l’efficacia delle misure adottate. Le ragioni possono essere ricercate nell’ampio contenzioso che si è aperto sulla revisione di contratti già sottoscritti o su strumenti come il pay-back in campo farmaceutico la cui applicazione è stata bocciata da alcune sentenze del TAR; nel fatto che la sovrapposizione di tagli successivi, almeno in parte “lineari”, risulta tanto meno sostenibile proprio nei casi in cui già si erano ottenuti prezzi di acquisto convenienti (ed è dunque difficile procurare le forniture a prezzi più bassi in caso di risoluzione del contratto); nel fatto che l’incremento dell’efficienza attraverso la centralizzazione può incontrare dei limiti, in quanto non tutti gli acquisti sono centralizzabili (si pensi ad esempio ai dispositivi medici personalizzati e, più in generale, a tutti i prodotti non standardizzabili).
  • Per il controllo futuro della spesa, sembrerebbero esserci spazi per il contenimento dei prezzi di acquisto.
    Da un lato, sono da approfondire le possibilità di ulteriore ampliamento della quota di spesa affrontabile con strumenti di centralizzazione degli acquisti, in particolare della Consip, la centrale di committenza nazionale controllata dal Ministero dell’Economia e delle finanze; dall’altro lato, al fine di favorire l’efficienza della PA, effetti positivi potrebbero derivare dalla prosecuzione dell’attività di definizione di fabbisogni standard o comunque di costruzione di benchmark di comportamento nell’ambito degli enti che svolgono funzioni analoghe. Tali iniziative potrebbero contribuire peraltro al progressivo superamento dei tagli lineari. Particolare attenzione dovrebbe essere posta nel settore dei rifiuti.
  • A livello centrale, alla prosecuzione dell’attività di rilevazione dei fabbisogni annuali di beni e servizi, che dal 2008 coinvolge i centri di responsabilità dei Ministeri per incrementare il ricorso alla Consip, potrebbero inoltre essere affiancate azioni che tengano conto dei risultati emersi dai numerosi lavori riguardanti le Amministrazioni periferiche dello Stato. Un rafforzamento dell’efficacia delle misure potrebbe inoltre derivare da un ampliamento delle attività di controllo sugli acquisti in deroga.

Nel dibattito sull’attività della Consip sono emersi alcuni punti critici. Nelle indagini annuali MEF/Istat sugli acquisti della PA, sono stati rilevati anche prezzi migliori ottenuti al di fuori delle convenzioni della Consip, specie per le Amministrazioni locali. I costi complessivi delle operazioni di acquisto centralizzate potrebbero risultare meno convenienti di quanto appare dai prezzi unitari rilevati, per la presenza di oneri accessori. Per alcuni servizi non valgono le economie di scala, che giustificano l’aggregazione della domanda in acquisti centralizzati. Dato il contesto economico del Paese, sarebbe opportuno mantenere un adeguato accesso al mercato delle piccole e medie imprese, anche per una maggiore concorrenza.