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L’organizzazione degli acquisti in sanità nella bozza del nuovo codice appalti

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi.

Il nuovo codice appalti, nella versione licenziata dal Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2016, prevede forme e modalità diverse di acquisto da parte delle stazioni appaltanti a seconda del valore della fornitura.
Le stazioni appaltanti potranno effettuare acquisti diretti fino a 40.000 euro e, senza limiti di importo, acquisire beni con ordini sugli strumenti messi a disposizione delle centrali di committenza.

Al di fuori di questi casi e fino alla soglia comunitaria (euro 209.000), le stazioni appaltanti potranno effettuare acquisti solo se qualificate e tramite gli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza. Qualora tali strumenti siano indisponibili anche in relazione alle singole categorie merceologiche, le stazioni appaltanti potranno ricorrere alle centrali di committenza o a forme di aggregazione, oppure svolgere una gara in proprio, con procedura ordinaria.

Fatte salve le eccezioni indicate, sopra la soglia comunitaria gli acquisti verranno effettuati esclusivamente dalle centrali di committenza qualificate, e cioè quelle che verranno iscritte in un apposito albo istituito presso l’ANAC, tra cui saranno inclusi d’ufficio i soggetti aggregatori regionali previsti dal d.l. 66/2014.

Il quadro generale appena descritto replica evidentemente l’assetto delineato dagli ultimi interventi di spending review. Anzi, la bozza del codice si premura di precisare che restano comunque fermi gli obblighi di ricorso agli strumenti di acquisto e di negoziazione previsti dalle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa.
Conseguentemente, per gli acquisti in sanità (farmaci, dispositivi medici, ecc.) si innestano formalmente nell’impianto del codice i noti provvedimenti in materia di spesa (da ultimo, decreto legge 66/2014 e legge di stabilità 2016) che hanno disciplinato ambiti e modalità di acquisto da parte degli enti che operano nella sanità, e quindi gli obblighi di ricorso a Consip o alle centrali di acquisto regionali per i beni e i valori stabiliti di volta in volta con provvedimenti governativi (attualmente dal d.p.c.m. 24 dicembre 2015).
Il legislatore italiano, pertanto, impronta la nuova disciplina degli appalti alla centralizzazione spinta e fa rientrare nel corpo del codice le discipline speciali dettate per i vari centri di spesa dalle disposizioni di spending review.

Un simile disegno, che trova conferma anche in altre disposizioni del nuovo codice, non appare pienamente in linea con la direttiva 2014/24, che propone un modello di centralizzazione moderata degli acquisiti.
La direttiva avverte espressamente che la centralizzazione consente le economie di scala, il miglioramento e la professionalizzazione nella gestione degli appalti, ma comporta anche rischi di eccessiva concentrazione del potere d’acquisto, di collusioni, pericoli per la trasparenza, per la concorrenza e per l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese.

Su tale presupposto, ad esempio, il legislatore europeo stabilisce che non dovrebbe essere limitata la prassi degli acquisti congiunti occasionali, e quindi le aggregazioni estemporanee tra stazioni appaltanti, strumento che si è rivelato e si rivela del tutto efficace nel combinare le esigenze di contenimento della spesa con la soddisfazione dell’esigenze degli enti, ed in definitiva della tutela della salute.
Nel testo del nuovo codice tali aggregazioni sembrano tuttavia enunciate come mero principio, non risultando affatto chiaro in che contesto possano continuare ad essere utilizzate (specie in sanità), il che appare contraddittorio in quanto tale modulo organizzativo è del tutto coerente con la disciplina e gli obiettivi in materia di contenimento della spesa, come riconosciuto anche di recente dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato n. 445/2016 e del TAR Lombardia – Milano n. 303/2016).

Un ulteriore spunto di riflessione meritano le attività di committenza ausiliarie in quanto la bozza del codice limita la possibilità di affidare ad operatori privati, con gara, l’attività di gestione della procedura per conto della pubblica amministrazione, invece prevista dalla direttiva insieme a quelle di supporto infrastrutturale, consulenza e preparazione della gara.

In definitiva, sotto il profilo della committenza, il nuovo codice – salvo improbabili ripensamenti dell’ultima ora – attua un’implementazione timida della direttiva ed in definitiva risulta ancorato alla politica locale di spending review. La bozza non pare cogliere lo spirito della politica europea risultante dalla direttiva, che è volta allo sviluppo del mercato interno e delle piccole medie imprese, che rischiano invece di rimanere pregiudicate dal gigantismo degli appalti favorito dalla centralizzazione spinta. Rimane, è vero, la suddivisione dei lotti di gara, ma l’esperienza insegna che si tratta di strumento poco efficace, e comunque soggetto a valutazioni complesse e discrezionali da parte delle stazioni appaltanti.

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