La sanità integrativa: una sintesi del report GIMBE

a cura del dott. Nino Cartabellotta, presidente Fondazione GIMBE.

Negli ultimi anni, segnati da un imponente definanziamento della sanità pubblica, si è progressivamente fatta largo l’idea che il cosiddetto “secondo pilastro” – generato da un complicato intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni e welfare aziendale – sia l’unica soluzione per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In controtendenza con questo clima di contagioso e spesso inconsapevole entusiasmo, la Fondazione GIMBE annovera invece l’espansione incontrollata del secondo pilastro tra le macro-determinanti della crisi di sostenibilità del SSN.

Dopo anni di silenzio politico, in occasione dell’avvio dell’indagine conoscitiva della Commissione Affari Sociali della Camera sui fondi sanitari, la Fondazione GIMBE ha pubblicato un report indipendente che documenta i gravi effetti collaterali per la sanità pubblica dell’attuale impianto normativo, che ha permesso ai fondi sanitari di diventare in prevalenza sostitutivi di prestazioni già offerte dal SSN. In particolare le crepe di una normativa frammentata e incompleta hanno consentito all’intermediazione finanziaria e assicurativa di cavalcare l’onda del welfare aziendale, generando profitti grazie alle detrazioni fiscali di cui beneficiano i fondi sanitari e proponendo prestazioni che alimentano il consumismo sanitario e aumentano i rischi per la salute delle persone.

Il report, dopo avere analizzato le determinanti che hanno favorito l’espansione del secondo pilastro e fornito una bussola per orientarsi nel complesso ecosistema dei terzi paganti e delle tipologie di coperture offerte, snocciola i dati relativi alla spesa sanitaria intermediata da fondi, assicurazioni e altri enti. Nel periodo 2010-2016 il numero dei fondi sanitari è aumentato da 255 a 323, con incremento sia del numero di iscritti (da 3.312.474 a 10.616.847) – di cui 73% lavoratori, 22% familiari e 5% pensionati – sia delle risorse impegnate (da € 1,61 a 2,33 miliardi) (figura 1).

Emergono tre dati di particolare rilevo: innanzitutto, la percentuale delle risorse vincolate, ovvero destinate a prestazioni integrative rimane stabile intorno al 30% (figura 2); in secondo luogo a fronte di un incremento medio annuo degli iscritti del 22,3%, quello delle risorse impegnate è del 6,4% (figura 3): ovvero, i fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre meno; infine, i fondi che intrattengono “relazioni” con compagnie assicurative sono passati dal 55% nel 2013 all’85% nel 2017.

Nel 2016 la spesa privata intermediata ammonta a € 5.600,8 milioni ed è sostenuta da varie tipologie di terzi paganti: € 3.830,8 milioni da fondi sanitari e polizze collettive, € 593 milioni da polizze assicurative individuali, € 576 milioni da istituzioni senza scopo di lucro e € 601 milioni da imprese (figura 4).

Relativamente ai dati economici, non si conosce né l’ammontare dei contributi versati dagli iscritti, né l’entità del mancato gettito per l’erario connesso alle agevolazioni fiscali, mentre sono noti i rimborsi effettuati dai fondi sanitari, pari a € 2,33 miliardi. Di tali risorse, quelle destinate a prestazioni integrative (es. odontoiatria, assistenza a lungo termine) sono poco più del 32%, ovvero quasi il 70% delle risorse copre prestazioni già incluse nei LEA.

Un dato inconfutabile che invita a frenare gli entusiasmi per i fondi sanitari è che il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi per gli iscritti perché erosi da costi amministrativi, fondo di garanzia (o oneri di ri-assicurazione) e da eventuali utili di compagnie assicurative. A fronte della crescente bramosia sindacale e imprenditoriale per le varie forme di welfare aziendale, i fondi sanitari offrono dunque ai lavoratori dipendenti solo vantaggi marginali, mentre a beneficiare dei fondi sanitari sono le imprese che risparmiano sul costo del lavoro, l’intermediazione finanziaria e assicurativa che genera profitti e la sanità privata che aumenta la produzione di prestazioni sanitarie.

Il report analizza anche tutti gli “effetti collaterali” dei fondi sanitari che favoriscono la privatizzazione, generano iniquità e diseguaglianze, minano la sostenibilità, aumentano la spesa sanitaria delle famiglie e dello Stato, alimentano il consumismo sanitario tramite il sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie che possono anche danneggiare la salute delle persone, generano frammentazione dei percorsi assistenziali e compromettono una sana competizione tra gli operatori del settore.

Le analisi della Fondazione GIMBE confermano che oggi le potenzialità della sanità integrativa sono compromesse da un’estrema deregulation che da un lato ha permesso ai fondi integrativi di diventare prevalentemente sostitutivi mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di intervenire come “ri-assicuratori” e gestori dei fondi in un contesto creato per enti no-profit. Ecco perché, nell’ambito della campagna #salviamoSSN, la Fondazione GIMBE invoca un Testo Unico della sanità integrativa in grado di:

  • restituire alla sanità integrativa il suo ruolo originale, ovvero quello di rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei LEA;
  • evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, venga utilizzato per alimentare i profitti dell’intermediazione finanziaria e assicurativa;
  • tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche dannose per la salute;
  • assicurare una governance nazionale, oggi minacciata dal regionalismo differenziato;
  • garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione.

Ancor prima, è indispensabile che il Ministero della Salute renda pubblicamente accessibile l’anagrafe dei fondi sanitari integrativi per offrire un’adeguata trasparenza.

La versione integrale del report GIMBE “La sanità integrativa” è disponibile a: www.gimbe.org/sanita-integrativa

 

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A 40 anni il SSN è un paziente con multimorbidità: serve un programma politico, investimenti e riforme di rottura

a cura del dott. Nino Cartabellotta, presidente Fondazione GIMBE.

Diversi sono i fattori che oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche, e il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate nei paesi industrializzati: l’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie; gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione; le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value; l’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione; gli sprechi, che si annidano a tutti i livelli.

Volendo paragonare il servizio sanitario nazionale (SSN) ad un paziente, la sua salute è oggi condizionata da quattro “patologie” e due “fattori ambientali”: di conseguenza, per mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico, preservando i princìpi di equità e universalismo definiti dalla Legge 833/78, è indispensabile predisporre un piano terapeutico personalizzato in grado di modificare sia la storia naturale delle 4 malattie, sia di ridurre l’impatto dei fattori ambientali.

LE 4 PATOLOGIE

Definanziamento pubblico. Si identifica con un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva: tra tagli e definanziamenti, infatti, nel periodo 2010-2019 al SSN sono stati “sottratti” circa € 37 miliardi e il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato solo dell’1% per anno, percentuale inferiore all’inflazione media annua (+ 1,18%). In pratica, se quell’aumento di un miliardo/anno genera l’illusione di un sostentamento minimo, in realtà non mantiene nemmeno il potere d’acquisto. Guardando al futuro, la Nota di Aggiornamento del DEF 2018 ha eseguito un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/PIL (+0,1% nel 2020 e nel 2021); la Manovra invece è sbarcata al Senato con il miliardo già assegnato per il 2019 dalla precedente legislatura, prevedendo un incremento del FSN (+ € 2 miliardi nel 2020, + € 1,5 miliardi nel 2021), previa sottoscrizione con le Regioni di un nuovo Patto per la Salute e ovviamente solo se le ardite previsioni di crescita economica saranno confermate. Per il resto, a fronte di un impegno su liste di attesa e borse di studio per specializzandi e futuri medici di famiglia, rimangono fuori dalla Manovra rinnovi contrattuali, sblocco del turnover del personale sanitario, via libera ai nomenclatori tariffari dei nuovi LEA, eliminazione del superticket. Terapia raccomandata: aumentare gradualmente e progressivamente il FSN al fine di invertire, entro 5 anni, il trend del rapporto spesa sanitaria/PIL.

Ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA. Identifica un ipertiroidismo severo con iperconsumo metabolico. Infatti, se da un lato occorre riconoscere all’ex Ministro Lorenzin il grande traguardo politico di avere aggiornato l’elenco delle prestazioni fermo al 2001, dall’altro dopo quasi 2 anni i nomenclatori tariffari rimangono tuttora “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria e la maggior parte delle nuove prestazioni ed esenzioni rimangono non esigibili. Peraltro, nonostante le numerose scadenze fissate, la Commissione LEA non ha ancora pubblicato alcun aggiornamento, né ha mai reso pubblica la metodologia per l’inserimento e il delisting delle prestazioni. Terapia raccomandata: “sfoltire” adeguatamente le prestazioni dal basso value incluse nei LEA.

Sprechi e inefficienze. Considerato che attaccano il sistema dall’interno non possono che identificarsi con una malattia autoimmune, in particolare con il lupus eritematoso sistemico che colpisce tutti gli organi e gli apparati, visto che sprechi e inefficienze si annidano a tutti i livelli. Nel 2014 GIMBE ha elaborato la tassonomia degli sprechi in sanità costituita da sei categorie: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. Secondo le stime della Fondazione GIMBE ogni anno circa € 21 miliardi (± 20%) spesi in sanità non producono alcun miglioramento di salute. Come si spiega “l’inverosimile convivenza” di questa cifra con eccellenti risultati in termini di salute della popolazione e con un finanziamento pubblico molto contenuto? Innanzitutto, gli esiti di salute nei paesi industrializzati solo per il 10-15% dipendono dalla qualità dell’assistenza sanitaria; in secondo luogo, il definanziamento pubblico del SSN ha inciso principalmente sui costi del personale, mentre sprechi e inefficienze riguardano prevalentemente beni e servizi per i quali nello stesso periodo la spesa è aumentata. Il Rapporto OCSE Health at a Glance 2018 oltre a confermare che “fino a un quinto della spesa sanitaria è sprecato e potrebbe essere destinato a un uso migliore”, delinea le possibili strategie per ridurre gli sprechi al fine di rendere i sistemi sanitari più efficienti e resilienti, citando proprio le stime della Fondazione GIMBE. Terapia raccomandata: piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi agganciato ai criteri di riparto del FSN e agli adempimenti LEA.

Espansione incontrollata del secondo pilastro. Patologia insidiosa assimilabile ad un’infezione cronica da virus del papilloma umano il cui DNA si integra nel genoma umano e può causare gravi malattie. L’idea di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata grazie ad una raffinata strategia di marketing fondata su un assioma basato su criticità solo in apparenza correlate: riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Tale strategia viene periodicamente fomentata da allarmistici dati sulla rinuncia alle cure e indebitamento dei cittadini, che provengono da studi ampiamente discutibili e, guarda caso, finanziati proprio da compagnie assicurative. Purtroppo, sull’onda di un entusiasmo collettivo, non vengono adeguatamente valutati i numerosi effetti collaterali che il secondo pilastro rischia di produrre su vari “organi e apparati” del SSN. Oggi infatti, considerato che la sanità “integrativa” è diventata prevalentemente “sostitutiva”, il secondo pilastro ha raggiunto un tale profilo di “tossicità” che, se fosse un farmaco, qualsiasi agenzia regolatoria ne avrebbe già imposto il ritiro dal mercato: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei PDTA. Terapia raccomandata: riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione.

I 2 FATTORI AMBIENTALI. Il SSN si muove in un habitat fortemente influenzato da due fattori: la collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione.

La leale collaborazione Stato-Regioni in sanità è uno scottante tema politico sul quale i vari esecutivi hanno abdicato o cercato soluzioni improbabili, tanto che in poco tempo ha attraversato da un estremo all’altro l’intera gaussiana. Infatti, il diritto alla tutela della salute delle persone è stato catapultato dalla riforma dell’art. 117 della Costituzione, che con l’eliminazione della legislazione concorrente e la restituzione allo Stato di alcuni poteri esclusivi avrebbe dovuto porre fine (?) alle diseguaglianze regionali, alla contagiosa diffusione, in attuazione dell’art. 116, del virus del regionalismo differenziato. Oggi infatti, accanto a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che hanno già sottoscritto gli accordi preliminari con il Governo, tutte le altre Regioni, a parte Abruzzo e Molise, hanno già avviato l’iter.

Senza entrare nel merito di analisi politiche del fenomeno è ragionevolmente certo che ulteriori autonomie accentueranno iniquità e diseguaglianze tra 21 sistemi sanitari, già ampiamente certificate dal fallimento della riforma del Titolo V: dagli adempimenti LEA alle performance ospedaliere documentate dal Programma Nazionale Esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia, dall’accesso alle prestazioni sanitarie agli esiti di salute.

In questo continuo dibattito tra normative, strumenti, regole e responsabilità di Stato e Regioni, il centro della scena è quasi sempre occupato dal dibattito ideologico (visione centralista vs regionalista), dalle conseguenze dell’inadeguata governance dello Stato sulle Regioni (diseguaglianze) o da proposte anacronistiche, quale la ridefinizione dei criteri di riparto tenendo conto dei criteri di deprivazione, che finirebbero per assegnare più risorse alle Regioni che storicamente si sono distinte per le peggiori performance sia in termini di deficit economico, sia di inadempimenti LEA.

Ma se a legislazione (e Costituzione) vigente, il diritto della tutela della salute è affidato ad una leale collaborazione tra lo Stato (che assegna le risorse e definisce i LEA) e le Regioni (responsabili della pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari), perché non riconoscere che questa soluzione politically correct ha finito per cristallizzare strumenti di monitoraggio (griglia LEA) e di miglioramento (Piani di rientro) di fatto incompleti, obsoleti e di documentata inefficacia? Perché non prendere atto, invece, che senza un riparto del FSN vincolato ad un rigoroso monitoraggio dei LEA con il nuovo Sistema di Garanzia, le attuali modalità di governance Stato-Regioni alimentano solo diseguaglianze e sprechi? Terapia raccomandata: aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel pieno rispetto della loro autonomia, per garantire l’uniforme erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.

Aspettative di cittadini e pazienti. Nonostante siano “azionisti di maggioranza” del SSN, anche cittadini e pazienti non fanno che minarne quotidianamente la sostenibilità. In particolare, negli anni sono aumentate le aspettative per una medicina mitica e una sanità infallibile. Inoltre oggi il consumismo sanitario condiziona fortemente la domanda di servizi e prestazioni, anche se inefficaci, inappropriate o addirittura dannose: questo fenomeno dalle enormi implicazioni cliniche, sociali, cliniche ed economiche, non è stato minimamente preso in considerazione dalla politica nazionale e regionale che ha sempre considerato il cittadino-paziente più come un elettore da non scontentare che come una persona della cui salute prendersi cura.

Dal canto loro, le organizzazioni sanitarie sono molto in ritardo nel coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti per valutare la qualità dei servizi e contribuire alla loro riorganizzazione, e la relazione medico- paziente continua a puntare sul modello paternalistico, lasciando poco spazio al processo decisionale condiviso, in cui il paziente, adeguatamente informato dei rischi e benefici delle varie alternative, dovrebbe decidere insieme al medico tenendo conto delle proprie preferenze, valori e aspettative. In questo contesto, la democratizzazione delle informazioni nell’era di internet, la scarsa alfabetizzazione sanitaria del cittadino/paziente e la viralità dei contenuti sui social hanno assestato il colpo di grazia: ricerca di scarsa qualità, bufale e fake news finiscono per avere il sopravvento sulle evidenze scientifiche, condizionando le scelte individuali e, indirettamente, le politiche sanitarie che, in quanto condizionate dalla politica partitica, non possono permettersi di scontentare i cittadini-elettori. Terapia raccomandata: programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate.

Questo contesto particolarmente critico stridono i continui riferimenti alle posizioni del nostro SSN in classifiche ormai desuete (il 2° posto dell’OMS su dati 1997), oppure inversamente correlate al livello di finanziamento (il 4° posto di Bloomberg), trascurando che nei paesi industrializzati solo il 10% degli esiti di salute dipende dalla qualità del sistema sanitario: in particolare, si continua ad attribuire alla qualità del nostro SSN l’aspettativa di vita alla nascita che dipende da fattori genetici, ambientali e dagli stili di vita. Se Bloomberg correlasse il finanziamento con l’aspettativa di vita a 65 anni in buona salute e libera da malattia, dove siamo fanalino di coda in Europa, l’Italia precipiterebbe in fondo alla classifica.

Inoltre, il dibattito pubblico sulla sostenibilità del SSN, oltre a mantenere un orizzonte a breve termine legato alla scadenza dei mandati politici, continua ad essere affrontato da prospettive di categoria (non scevre da interessi in conflitto), oppure esaminando singoli aspetti politici (rapporti Stato-Regioni, autonomie regionali), organizzativi (fusione di aziende sanitarie, sviluppo di reti e PDTA per patologia, medicina di iniziativa) ed economici (criteri di riparto, modalità di gestione dei piani di rientro, costi standard, ticket, sanità integrativa). Oppure concentrandosi sull’analisi di numeri e percentuali (riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket e ipotrofia della spesa intermediata) la cui lettura semplicistica costituisce uno straordinario assist per chi punta a tracciare una sola strada per salvare il SSN: compensare la riduzione del finanziamento pubblico tramite il potenziamento del cosiddetto “secondo pilastro”. Tutti questi approcci parcellari alla valutazione della sostenibilità del SSN rischiano di far perdere di vista il rischio reale per il popolo italiano: quello di perdere lentamente ma inesorabilmente, dopo 40 anni di onorato servizio, il modello di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, conquista sociale irrinunciabile per l’eguaglianza di tutti i cittadini.

Con questo monito nel marzo 2013 la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale” (#salviamoSSN): nel giugno 2016, dopo tre anni di studi, consultazioni e analisi indipendenti, il Rapporto GIMBE per la sostenibilità del SSN 2016-2025 ha fermamente ribadito che per salvarlo è indispensabile rimettere al centro dell’agenda politica la sanità pubblica e, più in generale, l’intero sistema di welfare. Nel settembre 2016 è stato lanciato l’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN, per un monitoraggio continuo e indipendente di tutti gli stakeholder, ispirato a tre princìpi fondamentali:

  • health in all policies: la salute delle persone deve guidare tutte le politiche, non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali;
  • evidence for health: le migliori evidenze scientifiche devono essere integrate in tutte le decisioni politiche, manageriali e professionali che riguardano la salute delle persone, oltre che guidare le scelte di cittadini e pazienti;
  • value for money: il sistema sanitario deve ottenere il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito in sanità, al tempo stesso un mandato etico e obiettivo economico.

Nel giugno 2017 il 2° Rapporto GIMBE, escludendo l’esistenza di un piano occulto di smantellamento del SSN, ha rilevato al tempo stesso l’assenza di un esplicito piano di salvataggio per la sanità pubblica, che è stato elaborato dalla Fondazione GIMBE (figura 1) e ha rappresentato la base per il fact checking dei programmi elettorali in occasione delle ultime consultazioni politiche. Dal monitoraggio è emerso che, per una variabile combinazione di ideologie partitiche, scarsa attenzione per la sanità e limitata visione di sistema, nessuna forza politica ancora una volta è stata in grado di elaborare un preciso “piano di salvataggio” del SSN coerente con le principali determinanti della crisi di sostenibilità.

A giugno 2018, con il 3° Rapporto sulla sostenibilità del SSN, la Fondazione GIMBE ha ribadito con fermezza che mettere in discussione la sanità pubblica significa compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità dei cittadini e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi che, in ultima analisi, dovrebbero essere viste dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in sanità, volando alto nel pensiero politico, nell’idea di welfare e nella (ri)programmazione socio-sanitaria. In altre parole, riprendendo le conclusioni dell’indagine sulla sostenibilità realizzata nella passata legislatura dalla 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato, «troppo spesso la salute e la spesa per salute è stata considerata solo un tema di sanità, dimenticando gli impatti sul sistema economico e produttivo del Paese. La sostenibilità del sistema sanitario è prima di tutto un problema culturale e politico. Da queste conclusioni è necessario ripartire».

Dopo questi anni di analisi, per celebrare degnamente il 40° compleanno del SSN, la Fondazione GIMBE passa ai fatti, elaborando proposte di riforme di rottura finalizzate ad erogare il piano terapeutico personalizzato che saranno presentate in occasione della 14a Conferenza Nazionale GIMBE (Bologna,8 marzo 2019). Infatti, se vogliamo garantire alle generazioni future un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, le celebrazioni del 40° compleanno del SSN devono essere lette come ultima occasione sia per diffondere la consapevolezza che si sta silenziosamente sgretolando una grande conquista sociale, sia per rimettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, destinando adeguate risorse e mettendo in campo le riforme necessarie ad assicurare lunga vita al SSN. Ecco perché, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di un “servizio” di natura “nazionale” che si prende cura della salute di 60 milioni di persone, la Fondazione GIMBE ha realizzato un logo (figura 2) per i 40 anni del SSN, una ricorrenza per celebrare quello che abbiamo costruito, ma soprattutto per diffondere la consapevolezza che la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta.