Focus: analisi sulla spesa trimestrale in dispositivi medici

Confindustria dispositivi medici

La nuova uscita della pubblicazione Focus. Economia, finanza e politica, aggiornata a dicembre 2023, fa il punto della situazione economica in cui ci troviamo attraverso un’analisi degli indicatori macroeconomici, quali il Pil e le sue componenti, lo spread e il debito pubblico, i prezzi delle materie prime e il mercato del lavoro.

Fra gli indicatori analizzati dal Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici è stato dedicato un approfondimento alla spesa pubblica trimestrale in dispositivi medici.

La spesa nel 3° trimestre del 2022 ha raggiunto, dopo una leggera diminuzione, un valore pari a 1.744,25 milioni di euro, con una variazione congiunturale del -7,3% e una tendenziale prossima allo 0%. Tuttavia, i primi nove mesi dell’anno hanno registrato un nuovo record di spesa, pari a 5,5 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e del 16% rispetto al 2019. Questo aumento di spesa ha già portato alcune regioni a superare il tetto di spesa previsto per il 2022, con altre che corrono il rischio di sforamento entro la fine dell’anno. La componente maggiore della spesa totale è rappresentata dai dispositivi medici generici, che rappresentano oltre il 68% della spesa totale e hanno avuto una variazione congiunturale minore rispetto alle altre componenti. Nel periodo 2015-2022, la spesa in dispositivi medici generici è cresciuta a un tasso medio annuo dell’1,8%, passando da 716,5 a 1.234 milioni di euro. Al contrario, la spesa per dispositivi medici impiantabili attivi è in calo sia rispetto al trimestre precedente che a quello dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel periodo 2015-2022, la crescita è stata molto inferiore rispetto ai dispositivi medici generici e alla diagnostica in vitro, solo del 16,7%. La diagnostica in vitro, pur essendo in calo da tre trimestri consecutivi, registra una variazione pressoché nulla rispetto ai primi tre trimestri del 2021, ma in crescita del 35% rispetto al periodo pre-pandemico del 2019. (fonte: Confindustria dispositivi medici)

Il payback. Intervista a Massimiliano Boggetti, Presidente di Confindustria Dispositivi Medici

Sulla complicata  questione del payback il presidente di Confindustria Dispositivi Medici Massimiliano Boggetti, spiega a pieno i termini e le ricadute sul comparto e sul Ssn

Un provvedimento molto discusso che, se applicato, rischierebbe di innescare un pericoloso effetto domino per il comparto dei dispositivi medici e un ancor più fosco scenario per i servizi del sistema sanitario nazionale. Tre mesi di tempo, una trattativa serrata, la ricerca di risorse e un dibattito che sta tendendo con il fiato sospeso migliaia di lavoratori della filiera. Questi gli elementi cardine di una questione complicata quale è quella del payback. Per comprenderne a pieno i termini, e le ricadute, ci siamo rivolti al presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, al quale abbiamo chiesto di scattarci una fotografia della situazione

Iniziamo dal principio: il payback. Tutti oramai conosciamo i termini della questione. Voi cosa chiedete al governo?
La nostra posizione resta la stessa dal 2015, ossia da quando il payback è stato introdotto. Si tratta di una manovra ingiusta, iniqua e, nel nostro settore specificatamente, del tutto inapplicabile. Pertanto noi ne chiediamo con forza la cancellazione.

Quale, in sintesi, il rischio che corrono le imprese italiane?
I rischi sono molteplici e non riguardano solo il mondo dell’impresa. Per il comparto parliamo di un accorciamento molto forte della filiera, con un rischio chiusura per insolvenza di piccole imprese, principalmente nel settore della distribuzione e fornitura, e un disinvestimento delle multinazionali (siano esse italiane o di capitale estero). Se questo scenario si verificasse, si configurerebbe un rischio maggiorato di mandar deserte le nuove gare di appalto con, a cascata, un impatto negativo sulle forniture stesse agli ospedali. Un concreto rischio si prefigurerebbe anche per la manutenzione delle apparecchiature installate e che oggi vengono mantenute efficienti grazie all’industria italiana. C’è poi naturalmente un rischio ricaduta per il settore occupazionale, da non trascurare. Aggiungo poi altri due pericoli importanti: quello per i medici/operatori sanitari e quello per i pazienti.

Partiamo dal personale medico
Oggi si fa un gran parlare di trattenere i medici e di scongiurare l’esodo delle professionalità verso l’estero o verso il settore privato. Ma è del tutto evidente che il problema non è circoscritto alle sole questioni di stipendio, compensazione dei turni o alle difficoltà di lavorare negli ospedali. È infatti ovvio che un medico, soprattutto se parliamo di un professionista qualificato, non può rimanere a lavorare in strutture ospedaliere pubbliche prive delle migliori tecnologie disponibili. Il payback, è bene evidenziarlo, oltre al problema della continuità di approvvigionamento dei dispositivi, porterebbe anche ad un peggioramento significativo nella qualità innovativa delle tecnologie. E non so immaginare come trattenere un medico in una struttura che lo costringe a lavorare con tecnologia di serie B.

Passiamo ai cittadini.
Un servizio sanitario nazionale così depotenziato, con tecnologie innovative che non sono messe a disposizione degli ospedali pubblici e un parco tecnologico obsoleto (su cui Confindustria dispositivi ha fornito un desolante quadro di dettaglio, ndr), rischia di andare a impattare negativamente sulle fasce più deboli della popolazione, quelle cioè che non possono scegliere di curarsi in strutture private all’avanguardia. Genereremmo così una grave diseguaglianza nell’accesso alla salute.

Scattiamo una fotografia: l’accordo non si trova. Cosa accade in Italia nei prossimi 3 anni?
Si profilerebbe un enorme fallimento. Io ricordo sempre che il servizio sanitario nazionale è la più grande infrastruttura del nostro Paese. Un sistema che ci è stato sempre invidiato da molti Paesi all’estero e che nel corso degli ultimi anni abbiamo progressivamente smontato.

Per anni abbiamo parlato di un ‘made in Italy’ medicale come di una eccellenza da valorizzare. Quale la potenzialità reale del comparto italiano (che rischiamo di perdere)?
Uno dei grandi problemi oggi è l’assenza di politiche atte a valorizzarlo. Non mi riferisco tanto al Governo attuale quanto ad una tendenza che perdura da molti anni. I cittadini si sono fatti ‘anestetizzare’ dal fatto che esiste un servizio sanitario universalistico e disponibile per tutti e non si sono purtroppo resi conto che sì, questo esiste, ma che è sempre meno capace di fornire qualità di cura. Qui vorrei citare un dato interessante: noi siamo tra i popoli più longevi al mondo, dopo il Giappone, ma crolliamo nelle classifiche rispetto alla qualità di gestione dei nostri anziani. Tanto è vero che la qualità di vita degli ultimi anni per i nostri cittadini è la peggiore tra i Paesi più sviluppati.

Appare quindi evidente che questa eccellenza di cui lei parla è andata prosciugandosi nel corso degli anni.
Possiamo però ripartire un punto fermo: quella dei dispositivi medici rappresenta una reale opportunità per il nostro Paese perché incarna, ancora oggi, una grande eccellenza italiana, ricordiamo che il comparto farmaceutico italiano è il primo, o secondo, produttore europeo a seconda degli anni. Abbiamo quindi tutte le carte in regola per fare un’ottima produzione, oltretutto a basso impatto energetico, di altissima competenza e grande qualità. Tutte caratteristiche chiave che consentirebbero al comparto di diventare un motore trainante di sviluppo economico/occupazionale per il Paese e invece il colpo del payback e l’assenza di politiche di sviluppo industriale specifiche, finiscono oggi per limitarne le prospettive.

E questo, lo ricordiamo ancora una volta, ha una ricaduta sulle prestazioni del Ssn?
Certo. Ho più volte ricordato che l’industria rende disponibile l’innovazione su larga scala ai cittadini. Se pensassimo ad un’industria attiva nel campo delle scienze della vita, capace di rendere l’innovazione disponibile per prima, tutti i servizi agli italiani sarebbero più efficienti: gli ospedali sarebbero più moderni e avremmo una maggiore sostenibilità anche a lungo termine perché è innegabile che le ricadute di una ‘cattiva salute’ sono non solo un problema etico e sociale, ma anche economico.

Chiedete un dialogo con il Governo, ieri siete stati ascoltati in Parlamento e vi siete rivolti anche all’Ue. Che tempistiche abbiamo per scongiurare il peggio? E, ci sono altre carte da giocare?
Ieri (giovedì 13 aprile, ndr) siamo stati ascoltati sia al Ministero che in Parlamento, a Commissioni congiunte di Senato e Camera, e quel che abbiamo rappresentato è una situazione su cui occorre intervenire. Peraltro, ad oggi il Governo ha varato una serie di misure (osservatorio sui prezzi e la riforma del codice degli appalti, tra gli altri, ndr) che gli conferiscono molti strumenti atti a gestire la spesa. Io quindi resto cautamente ottimista sul risultato di un confronto costruttivo come quello che stiamo portando avanti. La trama si sta dipanando. Il Governo ha ereditato un problema oggettivo cui ha già messo mano con un primo provvedimento, quello dello sconto. Esiste a mio avviso la lucida consapevolezza da parte dell’attuale Governo che il recupero delle cifre 2015/2018 è assai improbabile alla luce dei ricorsi, degli errori e dei margini di incostituzionalità che si ravvedono nell’impianto normativo stesso. Quanto proposto fino ad oggi, uno sforzo di cui in qualche modo ringraziamo, va letto quindi più come un tentativo di soccorso alle Regioni, che una strada utile a risolvere il problema. Quello che continuiamo a chiedere è quindi la cancellazione del provvedimento per evirare, tra le altre cose, quello che io chiamo “effetto palla di neve”: più il tempo passa più le dimensioni del problema tendono progressivamente, e inesorabilmente, ad aumentare rendendone intrinsecamente più difficile la soluzione. Il passo successivo è la richiesta di apertura di una procedura di infrazione al sistema paese Italia da parte dell’Ue sulla base del fatto che il sistema payback non ha equivalenti nel resto del mondo e solleva, soprattutto in Europa, un problema sulla libera circolazione delle merci e sull’accesso al mercato.

Il provvedimento del Governo rimanda a giugno i pagamenti. Ci sono ancora tre mesi per scongiurare il peggio quindi?
Sì. Abbiamo tre mesi per discutere, e lo stiamo facendo. Io sono convinto che il Governo non abbia alcun interesse ad arrivare alle prime pronunce del Tar. Questi mesi quindi saranno fondamentali e non a caso sta avvenendo oggi una intensificazione dei contatti per risolvere il passato e pianificare il futuro così come peraltro ci eravamo ripromessi di fare al termine della pandemia covid, quando immaginavamo addirittura di rafforzare il nostro sistema produttivo di dispositivi medici per non essere più così dipendenti dall’estero e di riconoscere a pieno titolo la salute come valore fondamentale per la crescita del Paese. Penso che questo Governo abbia la grande responsabilità, e soprattutto l’opportunità, di risolvere un problema e fare qualcosa di concreto scongiurando un nuovo colpo all’equità di accesso alle cure.Chiudiamo con un elemento positivo?
Il fatto che sembra sia cambiata la narrazione. Non vedo, come avveniva invece purtroppo in passato, una presa di posizione ideologica sulla questione. Non si parla più di un’industria ricca che genera extra profitti e che pertanto può pagare per tutti. Si è invece pienamente consapevoli del valore e delle difficoltà del comparto (pensi che l’Italia è arrivata ad una spesa di dispositivi medici pro capite a dir poco vergognosa, molto al di sotto della media europea). Non esiste quindi una spesa fuori controllo, ma esiste, questo sì, un problema di definanziamento del settore e di reperimento risorse. Risorse che però, sia chiaro a tutti, non si possono chiedere all’industria. (fonte: Panorama della Sanità)

Rincari materie prime, Confindustria dispositivi medici scrive all’Anac

Oltre il danno, la beffa. Le imprese di dispositivi medici sono in difficoltà per i forti rincari delle materie prime e dell’energia. E rischiano di finire sul “libro nero” dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Il motivo è che diventa sempre più complicato, per le aziende, rispettare i contratti con la sanità pubblica, che prevedono prezzi non allineati allo scenario attuale e non tengono conto delle difficoltà di approvvigionamento di materiali e componenti per la fornitura di prodotti finiti. Una situazione critica che ha spinto Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria dispositivi medici, a scrivere una lettera alla presidenza dell’Anac, rappresentata da Giuseppe Brusia.

Le richieste

Il rischio per le imprese è quello di essere inserite nel casellario informatico dell’Anac, segnalate per inadempienza contrattuale. Le richieste principali di Confindustria dispositivi medici sono due: “Ci rivolgiamo a voi – scrive Boggetti – affinché valutiate la possibilità di consentire la rinegoziazione dei prezzi oggetto di contratti già stipulati e di non far scattare la segnalazione di inadempienza nel caso di mancata consegna di prodotti non disponibili. Chiediamo inoltre che nei bandi di gara in via di definizione venga introdotta una clausola di forza maggiore con funzione equilibratrice di eventuali squilibri che si venissero a creare per il protrarsi della situazione emergenziale”.

Causa di forza maggiore

Una clausola di forza maggiore manca nella quasi totalità dei contratti stipulati dalla PA. “Una clausola – ricorda Boggetti – prevista sia nella disciplina italiana, sia nella prassi commerciale e nei regolamenti internazionali, per prevenire la responsabilità contrattuale delle parti in caso di mancata esecuzione o inadempimento dell’obbligo contrattuale per cause di forza maggiore o altri eventi straordinari”. Ad esempio guerre, atti terroristici, ma anche embarghi o provvedimenti governativi.

“Ciò che aggrava ulteriormente la situazione del nostro settore – aggiunge –  sono i vincoli normativi, tipici di un mercato che vive di forniture alla Pubblica amministrazione, in virtù dei quali le imprese corrono il rischio di vedersi escludere dalla possibilità di continuare a fornire per inadempienze generate al di fuori della loro volontà o capacità gestionale”. A proposito di prezzi, nella lettera Boggetti evidenzia come le diverse stazioni appaltanti “non inseriscano nei documenti di gara iniziali clausole chiare, precise e inequivocabili, che possano comprendere clausole di revisione dei prezzi”. Un adegumento giudicato in questa fase “vitale per le imprese”.

Il boom dei costi

Nel mese di ottobre 2021 Confindustria dispositivi medici aveva lanciato un allarme sull’aumento delle materie prime. Un’indagine del Centro studi dell’associazione aveva stimato un aumento del 29% dei costi dei prodotti finiti, considerando la spesa al rialzo per il trasporto delle materie prime, per i semilavorati e le finiture. E ancora di più rispetto alla media sono aumentati i costi degli ausili per i disabili (+36%), come le carrozzine. Già allora il direttore generale dell’associazione industriale, Fernanda Gellona, aveva sollecitato un intervento per “un’equa modificazione delle condizioni dei contratti in essere, tenuto conto delle mutate condizioni economiche intercorse tra la data di stipulazione del contratto e la sua esecuzione secondo quanto previsto dall’art. 106 del D.Lgs 50/2016”. Per conoscenza, la lettera di Confindustria dispositivi medici per Anac è stata inviata anche ai ministri della Salute e dello Sviluppo economico, alle centrali di acquisto (inclusa Consip) e agli assessori regionali alla salute.   (fonte: Aboutpharma)

E’ Massimiliano Boggetti il presidente della neonata Confindustria Dispositivi Medici

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

È Massimiliano Boggetti il presidente della neonata Confindustria Dispositivi Medici, la nuova Federazione che riunisce le imprese dei medical device. Si tratta di un settore ad alto potenziale che con questo nuovo assetto riunisce 3.957 imprese con 76.500 dipendenti e un fatturato di 16,5 miliardi tra mercato interno ed export. Che da oggi potrà contare anche sulla nuova sede di Milano, inaugurata dal presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.

«Confindustria Dispositivi Medici – ha detto Boggetti – sarà la casa comune di tutte le imprese che operano nel settore dei dispositivi medici. Grazie a un mix di competenze che creano contaminazione e valore, sarà capace di comunicare il valore che le innovazioni tecnologiche portano alla medicina moderna, sarà motore e attore principale della rivoluzione della salute 4.0 e della medicina del futuro, una medicina che migliorerà e allungherà la vita dei cittadini in modo sostenibile».

Il mondo del biomedicale è composto da 1 milione e mezzo di device che vanno dalle attrezzature chirurgiche alle grandi apparecchiature diagnostiche, dai test di laboratorio a quelli genetici per predire alcune patologie, dai software per il monitoraggio dei parametri vitali grazie alla telemedicina alle app mediche, dalle protesi dentali agli ausili sanitari. Ma sono dispositivi medici anche i biosensori, la robotica o l’intelligenza artificiale applicata alla sanità digitale.

«In uno scenario come quello attuale – aggiunge Boggetti – in cui l’Ufficio studi di Confindustria annuncia una crescita zero e, senza il traino dell’export, addirittura una fase recessiva, dovremo essere in grado di dire al governo che i dispositivi medici e tutte le tecnologie legate alla salute dell’uomo sono in grado di fare da volàno alla crescita economica, all’occupazione, all’export offrendo, nello stesso tempo, la suggestione di essere un paese moderno in grado di entrare nel futuro e di gestire l’invecchiamento in modo rispettoso per i cittadini».

Insomma, l’industria dei biomedicali non rappresenta un problema ma «un’opportunità vitale e cruciale che racchiude in sé tecnologie e modelli di business differenti». E per questo chiede di essere valorizzata: «Nel nostro Dna abbiamo un’aspettativa di vita lunga, esportiamo benessere, l’Italia è stata poco lungimirante a non investire in uno dei settori portanti dell’economia. Il governo dovrà comprendere questo valore e sostenerne lo sviluppo».

D’altra parte, secondo Boggetti, il biomedicale vale meno del 6% della spesa pubblica sanitaria. «E anche se vai a incidere con il consolidamento, la spending review, la concentrazione – sottolinea – si otterranno risparmi quasi nulli. Non è così che si risolve il problema della spesa. Solamente se si torna a investire nelle innovazioni tecnologiche si potrà migliorare la salute del cittadino e in prospettiva rendere sostenibile il sistema su capitoli di spesa ben più importanti».

La nuova governance dei dispositivi medici presentata dal ministro della Salute, Giulia Grillo, nei giorni scorsi non sembra accogliere le istanze dell’industria. «Il documento è stato mandato fuori in fretta e furia il giorno prima dell’incontro con la delegazione cinese con cui si è parlato anche di salute – spiega Boggetti -. Parlare di centrali uniche d’acquisto, di massificazione di prodotti che sono disomogenei per definizione, prezzi di riferimento, tetti di spesa e payback vuol dire solo favorire i prodotti a basso costo. E allora mi domando: dov’è che si producono prodotti a basso costo? Forse in Cina?».

In attesa di una risposta, tuttavia, Boggetti riconosce che ci siano spazi di manovra a partire dal riconoscimento oggettivo dell’innovazione tecnologica attraverso l’Health Technology Assessment (Hta), ossia il complesso di valutazioni in grado di misurare efficacia, sicurezza, costi e impatto sociale dei singoli strumenti. «Si è finalmente si è deciso di fare chiarezza – conclude Boggetti – riconoscendo anche l’industria come motore dell’innovazione: insisteremo perché il tavolo dell’Hta sia finanziato con soldi pubblici e si metta subito al lavoro ascoltando anche il nostro parere».

La nuova squadra di Confindustria Dispositivi Medici
Boggetti, 48 anni, laureato in Biologia molecolare presso l’Università degli Studi di Milano, è amministratore delegato e direttore generale di Sebia Italia e presidente di Interlab dal 2017. È stato presidente di Assobiomedica ed è membro del Consiglio Generale di Confindustria. Boggetti ha scelto il direttore generale, Fernanda Gellona, e la squadra dei vicepresidenti che comporranno il Consiglio di presidenza della Federazione: Angelo Gaiani (Bracco Imaging Italia) con delega al Centro studi; Daniela Delledonne (BD-Becton Dickinson Italia) con delega alle Politiche per lo sviluppo; Paolo Cirmi (3M Italia) con delega alle Relazioni esterne; Gin Invernizzi (Thermo Fisher) con delega alla Comunicazione; Mirella Bistocchi (Starkey Italy) con delega a Etica e impegno sociale; Marco Ruini (Bomi Group) con delega alla Finanza; Franco Gaudino (Johnson & Johnson Medical) con delega al Capitale umano. (fonte: IlSole24 Ore-Sanità 24)