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Cremona, CR 26100

Legittimazione dell’AGCM a proporre impugnazione avanti al Giudice Amministrativo: il parere del Consiglio di Stato

a cura dell’avvocato Anna Cristina Salzano

Con il parere n. 934 del 3 giugno 2022, la Sezione I del Consiglio di Stato si è espressa in merito all’applicabilità dell’articolo 21 bis l. n. 287/1990 ai bandi di gara delle società operanti nei settori speciali di cui agli artt. 115 ss. del codice dei contratti pubblici, nell’ipotesi in cui tali atti, pur incidendo sul corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali, non siano parte di una più ampia strategia idonea a dare luogo ad una violazione degli artt. 2 e 3 della legge 287/90 e/o degli artt. 101 e 102 TFUE.

Nella richiesta di parere l’AGCM ha rilevato che i soggetti operanti nei settori c.d. speciali sono attratti nell’ambito della disciplina sui contratti pubblici unicamente in ragione dell’oggetto dell’attività economica svolta, rientrando nella nozione cosiddetta oggettiva di pubblica amministrazione e mai in quella soggettiva. L’Autorità spiega che il dubbio origina dal fatto che, al di fuori dei settori speciali, questi soggetti non sono tenuti a rispettare la disciplina prevista dal codice degli appalti.

In queste ipotesi, infatti, è la natura dell’attività a rilevare ai fini dell’attrazione nella sfera pubblica e non quella del soggetto e delle funzioni dallo stesso esercitate. Si tratta di comprendere dunque se soggetti di siffatto genere, che sono senza dubbio imprese ai fini dell’enforcement antitrust, possano essere anche destinatari, in relazione ai bandi di gara da essi adottati, dei poteri di cui all’articolo 21 bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, attraverso una sorta di applicazione funzionale della norma.

Ha osservato l’Autorità che tale disposizione si presta ad un’interpretazione sostanziale e conforme all’evoluzione che la nozione di pubblica amministrazione ha avuto nella giurisprudenza amministrativa, soprattutto con riferimento agli istituti dell’organismo di diritto pubblico e dell’ente aggiudicatore. L’AGCM si è domandata, dunque, se la qualifica di pubblica amministrazione in senso oggettivo, riconosciuta dalla giurisprudenza alle società operanti nei settori speciali limitatamente agli atti di gara da esse adottati, possa rendere tali atti assoggettabili anche alle disposizioni dell’articolo 21 bis citato.

Nel parere si legge che l’AGCM propende per una risposta positiva al quesito sulla base di una nozione funzionale e cangiante di Amministrazione, elaborata negli ultimi decenni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, pur rilevando la sussistenza di argomenti contrari basati soprattutto sull’ambito di applicazione, sulla storia e sul profilo logico-sistematico dell’art. 21 bis della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

Ebbene il Consiglio di Stato, prima di esaminare il merito del quesito dell’AGCM, ha ricostruito il perimetro della funzione consultiva assegnata dalla Costituzione al Consiglio di Stato (art. 100, comma 1, Cost.) rilevando che, accanto ai pareri obbligatori, si affiancano quelli facoltativi, i quali possono essere diretti all’esame di atti normativi per cui non è obbligatoria la richiesta di parere al Consiglio di Stato o a risolvere questioni concernenti l’interpretazione o l’applicazione del diritto, in questo caso prendendo la forma di “quesiti” sull’interpretazione delle norme e che hanno una funzione di ausilio tecnico-giuridico  per indirizzare l’attività di amministrazione attiva.

Ciò premesso il Consiglio di Stato, dopo una disamina approfondita della storia dell’art. 21 della l. ottobre 1990, n. 287, della nozione funzionale e cangiante di pubblica amministrazione nonché della nozione di stazione appaltante, di amministrazione aggiudicatrice e di ente aggiudicatore, ha concluso positivamente al quesito formulato dall’AGCM ritenendo possibile il controllo, ed eventualmente l’attivazione dei poteri previsti dall’art. 21 bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dei bandi adottati dalle società operanti nei settori speciali di cui agli artt. 115 ss. del d.lgs. 50/2016.

Ciò sulla base della seguenti considerazioni.

Innanzitutto per la circostanza secondo cui quando “le imprese operanti nei settori speciali sono obbligate al rispetto della disciplina del Codice Appalti, gli atti da queste emanati sono, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, c.p.a., atti amministrativi perché sottoposti ai principi e alle regole procedurali del codice dei contratti pubblici.

Si tratta, in definitiva, di atti compiuti da soggetti equiparati, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, c.p.a., alle pubbliche amministrazioni poiché “tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo” e, dunque, di atti rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo stando al chiaro disposto del codice del processo amministrativo.

Conseguentemente, per la Sezione, tali atti devono rientrare anche nell’ambito applicativo dell’articolo 21 bis l. 10 ottobre 1990, n. 287 perché, ragionando diversamente, verrebbe a verificarsi un’insanabile contraddizione in quanto lo stesso atto (ad esempio, un bando di gara), pur essendo certamente provvedimento amministrativo (ai sensi degli articoli 3 e 114 cod. app. e 7, comma 2, e 133 c.p.a.), sarebbe, ai sensi dell’articolo 21 bis più volte citato, solo atto adottato da soggetto privato.

Detto in altri termini, quando un soggetto per il codice degli appalti è qualificabile come stazione appaltante, adotta – nelle materie in cui è tenuto al rispetto della normativa di derivazione eurounitaria – atti equiparati ai provvedimenti amministrativi dall’articolo 7, comma 2, c.p.a.”.

Peraltro, rileva il Consiglio di Stato, è la stessa nozione funzionale e cangiante di amministrazione a rendere doverosa la qualificazione di tali atti quali atti adottati, ratione materiae, da soggetti equiparati alla pubblica Amministrazione; equiparazione ammessa dalla giurisprudenza penale, in un settore nel quale vige lo stretto principio di tipicità delle fattispecie, e quindi a fortiori possibile nel diritto amministrativo.

Infine, si legge nel parere in commento, ulteriore conferma può rintracciarsi all’articolo 211 D.lgs. 50/2016, i cui commi 1 bis e 1 ter prevedono in favore dell’ANAC un sistema di controllo, già sperimentato dal legislatore proprio con il predetto articolo 21 bis.

A tal proposito la dottrina ha evidenziato che la legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’ANAC si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno riconosciuto alle autorità amministrative indipendenti il potere di agire in giudizio, come appunto l’articolo 21 bis cit. per l’AGCM.

Il Consiglio di Stato ha peraltro rilevato che nella disposizione contenuta all’articolo 211, comma 1 bis, d.lgs. 50/2016 (introdotto dall’articolo 52 ter, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 giugno 2017, n. 96) il riferimento è più correttamente effettuato agli atti delle “stazioni appaltanti” e, dunque, anche agli atti adottati dalle imprese quando sono qualificabili come enti aggiudicatori.

Sotto tale aspetto il riconoscimento ad ANAC del potere di impugnazione degli atti adottati dalle società operanti nei settori speciali – quando possono essere qualificate come stazioni appaltanti – rende opportuno interpretare l’articolo 21 bis, più volte citato, nel senso di contemplare un analogo potere, per quanto di competenza, in capo all’AGCM.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha espresso parere nel senso che l’articolo 21 bis cit. è applicabile ai bandi di gara delle società operanti nei settori speciali di cui agli artt. 115 e ss. del codice dei contratti pubblici, nei casi in cui tali società siano tenute al rispetto del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

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