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La nullità della clausola che esclude la revisione dei prezzi

a cura dell’avvocato Anna Cristina Salzano

Con la sentenza n. 4793 del 21 aprile 2022, il Tar Lazio si è occupato del tema della revisione dei prezzi affermando, in particolare, la nullità della clausola del contratto che esclude la revisione dei prezzi.

Tale clausola, in effetti, stabiliva che “il corrispettivo contrattualmente convenuto è a corpo, fisso ed invariabile”, ponendosi così in contrasto con la disciplina ratione temporis applicabile dell’art. 2 della legge 22 febbraio 1973 n. 37 che prevede che “la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto in contrario o in deroga”.

Il tema affrontato dalla sentenza in commento della previsione nei bandi di gara della cd. clausola di revisione prezzi e delle modalità di applicazione è attuale in un periodo storico in cui il caro prezzi incombe sul mercato e sul dato sconcertante secondo cui in assenza di disposizioni precise sulla revisione dei prezzi gli appalti in Italia rischiano di bloccarsi.

Al riguardo, l’art. 29 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (cd. decreto sostegni ter), convertito con modificazioni dalla Legge 28 marzo 2022, n. 25, ha modificato l’art. 106, comma 1, lett. a) del Codice Appalti prevedendo, fino al 31 dicembre 2023, l’obbligo di inserimento della clausola di revisione prezzi nei bandi le cui procedure di affidamento siano indette successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto, i.e. dal 27 gennaio 2022, al fine di incentivare gli investimenti pubblici, nonché al fine di far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle mi-sure di contenimento dell’emergenza sanitaria globale derivante dalla diffusione del virus SARS-CoV-2.

La previsione di tale obbligo si è ritenuta necessaria a seguito delle sempre maggiori variazioni contrattuali, legate ad importanti modificazioni dei costi delle materie prime. Inoltre, il medesimo articolo 29 del c.d. DL Sostegni-ter ha previsto che, per i soli lavori, in deroga all’articolo 106, comma 1, lettera a), IV periodo, del Codice Appalti, le variazioni di prezzo dei singoli materiali da costruzione, in aumento o in diminuzione, siano valutate dalla stazione appaltante soltanto se tali variazioni risultano superiori al cinque per cento rispetto al prezzo, rilevato nell’anno di presentazione dell’offerta, e che in tal caso si procede a compensazione, in aumento o in diminuzione, per la percentuale eccedente il 5% e comunque in misura pari all’80% di detta eccedenza.

Se l’obbligo di inserimento della clausola di revisione dei prezzi è prevista per tutti gli appalti pubblici indetti successivamente al 27 gennaio 2022 (lavori, servizi e forniture), il meccanismo di compensazione delineato dall’art. 29, comma 1, lett. b), del decreto sostegni ter, è dedicato solo agli appalti di lavori.

La mancata previsione di un meccanismo analogo a quello previsto per gli appalti di lavori anche per gli appalti di servizi e forniture, appare tuttavia penalizzare gli operatori economici attivi in tale ambito e pone in serie difficolta le stesse stazioni appaltanti, alle quali è demandato sia il compito di inserire la clausola di revisione dei prezzi e di stabilire “la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti”, sia di rinegoziare i contratti in corso di esecuzione. Effetti negativi che erano già stati preannunciati dal Presidente dell’ANAC, in un comunicato del 25 febbraio 2022 in cui, prima ancora della conversione in legge del decreto sostegni ter, auspicava una modifica dell’art. 29 del decreto legge sostegni ter in modo tale “che la compensazione dei prezzi avvenga non soltanto per i lavori pubblici, ma anche per servizi e forniture.”; auspicio rimasto tuttavia inascoltato.

Nel medesimo comunicato, il Presidente Busia affermava: “In questo momento non dobbiamo guardare al risparmio immediato, ma riconoscere che bisogna avere clausole di adeguamento dei prezzi che tengano conto dei costi reali, indicizzando i valori inseriti nel bando di gara. Altrimenti rischiamo di vanificare lo sforzo del Pnrr, perché le gare di appalto andranno deserte, o favoriranno i “furbetti” che punteranno subito dopo l’aggiudicazione a varianti per l’aumento dei prezzi. Molto meglio stabilire dei meccanismi trasparenti e sicuri di indicizzazione, così da favorire un’autentica libera concorrenza e apertura al mercato plurale, e serietà in chi si aggiudica l’appalto”. “Risulta quindi imprescindibile l’individuazione normativa della percentuale di scostamento, oltre che delle modalità operative e dei limiti della compensazione”.

Il vuoto normativo sui meccanismi di applicazione della clausola di revisione dei prezzi per gli appalti di servizi e forniture impone alle stazioni appaltanti, in assenza di direttive nazionali, il compito di prevedere di volta in volta in occasione della pubblicazione delle procedure di affidamento una clausola di revisione dei prezzi che fissa la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti, tenendo in considerazione che dette variazioni non debbano apportare modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto.

Ed infatti tale meccanismo di revisione dei prezzi ha l’effetto di conservare la sinallagmaticità del rapporto contrattuale e di impedire che la commessa non sia più remunerativa per il fornitore.

Sul punto appare doveroso ricordare che la Corte di Cassazione, con la Relazione n. 56/2020, ha evidenziato come, in generale la pandemia (e, oggi dobbiamo aggiungere, la drammatica crisi Ucraina) abbia messo in luce che “il principio della vincolatività del contratto – in forza del quale pacta sunt servanda – debba essere contemperato con l’altro principio del rebus sic stantibus, qualora per effetto di accadimenti successivi alla stipulazione del contratto o ignoti al momento di questa o, ancora, estranei alla sfera di controllo delle parti, l’equilibrio del rapporto si mostra sostanzialmente snaturato. Ciò, peraltro, anche in assenza di specifiche clausole al riguardo, in nome del generale principio di “buona fede”, che ha valore d’ordine pubblico e si colloca tra i principi fondanti del nostro ordinamento sociale. La “buona fede”, infatti, impone un comportamento corretto e cooperativo fra le parti al fine di favorire il compimento del risultato negoziale, anche attraverso la disponibilità a riallinearne il contenuto alle mutate circostanze. Pertanto, la “buona fede” può salvaguardare il rapporto economico che le parti avevano originariamente inteso porre in essere, imponendo la rinegoziazione del contratto che si sia squilibrato, al fine di favorirne in tal modo la conservazione”.

Alla luce di quanto sopra, se da gennaio le stazioni appaltanti avranno l’obbligo di inserire la clausola di revisione dei prezzi con ogni conseguenza in merito alla illegittimità del bando di gara che non la prevede, per i contratti in corso di esecuzione occorre esaminare la disciplina di gara per verificare la sussistenza di specifiche clausole.

In ogni caso, senza entrare nel merito dei rimedi civilistici a cui si potrebbe ricorrere nel caso in cui il contratto sia divenuto eccessivamente oneroso e non più remunerativo per il fornitore a causa del rincaro prezzi, in questa sede si rileva che, anche alla luce degli insegnamenti della Corte di Cassazione, il fornitore può richiedere la revisione del compenso, allegando dettagliata motivazione circa gli aumenti.

In definitiva, si auspica che il legislatore intervenga al più presto introducendo meccanismi di compensazione anche per gli appalti di servizi e forniture.

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