Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Il federalismo alla luce della crisi sanitaria

di Angelo Baglioni, Massimo Bordignon, Marco Buso, Francesco Palermo e Gilberto Turati

Il decentramento non è il principale responsabile dei problemi sorti durante la crisi sanitaria: ci sono gli strumenti per accentrare il potere durante un’emergenza. Buona anche la risposta europea, ma in prospettiva poteri e risorse Ue vanno rafforzati.

Una cartina di tornasole

L’emergenza creata dalla pandemia Covid-19 ha messo a dura prova le strutture sanitarie del nostro paese, così come nel resto del mondo. In Italia, la tutela della salute rientra nella competenza concorrente tra stato e regioni. A livello europeo, la Commissione Ue ha giocato un ruolo centrale nell’approvvigionamento dei vaccini e nel coordinamento delle politiche messe in atto dagli stati membri. Ad entrambi i livelli, nazionale ed europeo, sono emerse criticità: ritardi, difficoltà di coordinamento, confusione sull’attribuzione delle responsabilità. Ciò ha riaperto il dibattito su di un tema già oggetto di discussione negli anni scorsi: il federalismo. Il rapporto tra stato e regioni e quello tra Europa e singoli paesi dell’Unione dev’essere riesaminato alla luce di quanto è successo nell’ultimo anno e mezzo: la gestione della crisi sanitaria è una formidabile cartina di tornasole per fare emergere eventuali problemi. Il n. 2/2021 di Osservatorio Monetario, che verrà presentato in un webinar il 30 giugno, è dedicato a questo tema.

L’esperienza italiana

In Italia, la riforma del Titolo V della Costituzione ha rappresentato il punto di arrivo di un processo di decentramento avviato fin dal 1992. I problemi di coordinamento stato-regioni, emersi durante la gestione della pandemia, non sono tanto da attribuire alla riforma del Titolo V quanto ad alcune indecisioni del governo centrale. Non solo: il principale strumento di raccordo tra centro e periferia, la Conferenza stato-regioni, è stato largamente sottoutilizzato nella prima fase della crisi (primavera 2020). I mezzi per centralizzare la direzione durante un’emergenza sanitaria ci sono: la Corte costituzionale ha chiarito che la gestione delle pandemie rientra nella “profilassi internazionale”, una funzione esclusiva dello Stato; la dichiarazione dello stato di emergenza, autorizzata dal Parlamento, va nella stessa direzione, attribuendo al governo poteri speciali. Il decentramento funzionale non è quindi, in linea di principio, incompatibile con l’accentramento delle decisioni nei momenti in cui si rende necessario. Il nostro paese è caratterizzato dalla presenza di rilevanti asimmetrie: alcune regioni hanno performance amministrative e gestionali migliori, altre peggiori.

Il confronto internazionale

Analoga conclusione emerge dal confronto tra diversi paesi, sia che abbiano un’organizzazione federale oppure unitaria. L’efficienza delle diverse reazioni alla pandemia non dipende dalla presenza o assenza di un assetto federale, ma da altri fattori, come quelli demografici e geografici, nonché dal grado di sviluppo economico. Certo, l’efficienza amministrativa e l’efficacia dei raccordi tra i diversi livelli di governo giocano un ruolo importante. L’esperienza ha dimostrato che i sistemi federali, in caso di emergenza, hanno gli strumenti per centralizzare la linea di comando; inoltre sono in grado di farlo attraverso procedure ordinarie, senza derogare all’ordine costituzionale. Rispetto ai sistemi unitari, quelli federali hanno il vantaggio della flessibilità, trovando soluzioni più adatte alle specificità locali. Inoltre, si giovano di meccanismi di checks and balances, limitando i danni di politiche governative sbagliate: è accaduto negli Usa, in Brasile e in Messico. Nel dibattito corrente, si sottolineano spesso la confusione e la dispersione di responsabilità dovuti alla presenza di più attori nei sistemi federali. Tuttavia, danno anche più garanzie di controllo reciproco. Alla fine, è la qualità della cooperazione tra i diversi livelli di governo a fare la differenza tra gli ordinamenti federali che hanno risposto più o meno bene alla crisi sanitaria.

Il ruolo della Ue

In materia sanitaria, l’Unione europea ha competenze limitate, volte essenzialmente al sostegno delle politiche nazionali. Durante la crisi Covid-19, la Commissione Ue ha fatto il possibile con gli strumenti a disposizione, ma la loro scarsità ne ha notevolmente limitato l’azione. La crisi pandemica ha quindi messo in evidenza la necessità di rafforzare i poteri della Ue, necessità già emersa in altri campi (si pensi a quello relativo alla transizione energetica, ad esempio). Nella prima fase della crisi, la Commissione Ue ha adottato diverse misure di coordinamento, nel settore della mobilità e dei trasporti e in relazione all’approvvigionamento e alla distribuzione di attrezzature mediche. Il piano della Commissione Ue sui vaccini si è proposto di sfruttare le economie di scala negli investimenti in sviluppo, produzione e approvvigionamento. La centralizzazione si giustifica con la presenza di esternalità nel gestire una pandemia, di cui i singoli governi nazionali non tengono conto. Nella fase applicativa il piano ha mostrato alcuni limiti, che sono stati via via superati. Sarebbe stato meglio investire di più sulla produzione interna, anziché solo sugli accordi di acquisto con le case farmaceutiche. A differenza che in altri casi, la risposta europea alla crisi generata dal Covid-19 comunque c’è stata, sia sul piano sanitario sia su quello economico. Tuttavia, vi sono notevoli margini di miglioramento. In particolare, andrebbero centralizzate a livello Ue la prevenzione e la preparazione alle pandemie, l’approvvigionamento di materiale sanitario, la ricerca e l‘innovazione in materia sanitaria. Operativamente, sarebbe opportuno creare un’autorità Ue per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, analoga a quella statunitense. Per quanto non facile da percorrere, va considerata l’opportunità di rivedere i Trattati Ue al fine di conferire più risorse autonome e più poteri alla Ue in materia sanitaria.  (fonte: La Voce.info)