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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

La spesa per la sanità nell’anno del Covid e le previsioni per il 2021

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

I dati e le analisi  della Corte dei conti contenuti nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, relativi all’anno 2020. Consumi intermedi su del 13%. I farmaci in acquisto diretto superano il tetto di spesa di 2,7 miliardi. I dispositivi medici sfondano per 1,6 miliardi.   

Come era da attendersi, l’emergenza Covid-19 ha comportato nel 2020 un forte aumento della spesa sanitaria, che ha raggiunto  i 123,5 miliardi, con un incremento di quasi 7,8 miliardi (+6,7 per cento) rispetto al 2019, superiore a quella prevista di oltre 2,6 miliardi. Con improvvisa interruzione del processo di stabilizzazione della spesa registrato negli ultimi esercizi.

Nel 2021 la crescita complessiva è stimata del 3 per cento, portando la spesa al 7,3 per cento del prodotto. L’andamento è guidato dalla spesa per il personale  dipendente e per consumi intermedi (rispettivamente in crescita del 4,6 e del 6,4 per cento).

FOCUS CONSUMI INTERMEDI

I consumi intermedi ammontano nel 2020 a 39.734 milioni, contro i 35.263 milioni del 2019 (+13%). In particolare, l’acquisto di beni passa da 19.227 milioni nel 2019 a 21.417 milioni nel 2020 (+11%). Le manutenzioni da 2.251 milioni nel 2019 a 2.399  milioni nel 2020 (+ 6%).  I servizi appaltati  passano da 5.827 milioni nel 2019 a 6.240 milioni nel 2020 (+7%). I farmaci in acquisto diretto nel 2020 valgono 10.700 milioni, con un incremento del 6,5% sul 2019, e uno sfondamento del tetto di spesa di 2,7 miliardi.

La spesa 2020 per i dispositivi  medici ammonta a 6.842 milioni, con un incremento del 6,4% sul 2019 e uno sfondamento del tetto di spesa di 1,6 miliardi.

Va considerata anche la spesa gestita direttamente dal Commissario straordinario all’emergenza. Oltre 2,4 miliardi sono stati impiegati per l’acquisto di materiali di uso corrente come mascherine, occhiali e altro, forniti alle strutture sanitarie territoriali e utilizzati presso gli ospedali pubblici per erogare il servizio sanitario.

SANITÀ: LAVORI IN CORSO

Il sistema sanitario italiano, nonostante le difficoltà incontrate, ha retto all’impatto della crisi che dal marzo del 2020 ha interessato il nostro Paese. Ciò ha comportato costi importanti, non solo di natura finanziaria, che richiedono che l’attenzione dedicata nell’anno appena passato   a questo settore così fondamentale per il benessere dei cittadini non si riduca.

È ancora presto per fare un bilancio di quale eredità la pandemia finirà per lasciarci. La crisi non si è ancora conclusa e, soprattutto, non è ancora chiaro a quali adattamenti e a quali costi  i nostri sistemi regionali saranno sottoposti in un periodo non breve di “convivenza” con il virus. I dati relativi alla spesa dell’anno registrano, come era da attendersi, una forte crescita; essi mostrano anche come essa abbia subito una ricomposizione per rispondere alle nuove e improvise  necessità.

I costi e i ricavi regionali (desumibili dai conti consolidati del quarto trimestre del 2020, ancora provvisori), mettono in rilievo poi le differenti modalità con cui le regioni hanno risposto alla crisi. Differenze che sono lo specchio di come nell’emergenza ci si sia dovuti muovere puntando sulle opzioni più immediatamente disponibili (a prescindere dalle scelte programmate)         e di come abbiano inciso le condizioni di partenza dei sistemi regionali.

Le differenze nella qualità dei servizi offerti, le carenze di personale dovute ai vincoli posti nella fase di risanamento, i limiti nella programmazione delle risorse professionali necessarie, ma, anche, la fuga progressiva dal sistema pubblico; le insufficienze della assistenza territoriale a fronte del crescente fenomeno delle non autosufficienze e delle cronicità, il lento procedere degli investimenti sacrificati a fronte delle necessità correnti. Guardare oggi agli indicatori alla base del monitoraggio  dei livelli essenziali delle prestazioni consente di mettere a fuoco le condizioni prima della crisi, di comprendere meglio la risposta che è stato possibile dare nell’emergenza e di capire i problemi da cui è necessario ripartire.

Nel 2020 sono state introdotte numerose misure che miravano ad incidere sugli aspetti più   problematici dell’assistenza, imputati soprattutto alle scelte operate negli ultimi anni. Misure dirette ad aumentare le dotazioni di personale delle strutture sanitarie sottoposte sin da inizio della           pandemia ad una forte pressione e che lamentavano già da prima una contrazione del personale a  tempo indeterminato e un crescente ricorso a contratti a tempo determinato o a consulenze che non consentivano di mantenere una adeguata qualità dell’offerta; ad adeguare con immediatezza  la disponibilità di strutture di ricovero in termini di posti letto di terapia intensiva e semi intensiva,  in linea con i numeri crescenti della pandemia; a rafforzare le strutture territoriali dimostratesi più    esposte e fragili a fronte di un fenomeno improvviso e inatteso come quello del Covid; a ridurre gli effetti indesiderati del blocco dell’attività dovuto al lockdown.  Le risorse messe a disposizione sono state rilevanti: oltre 8 miliardi, oltre 3,5 gestiti direttamente dalle regioni.

La dimensione dell’impegno messo in campo trova una immediata rappresentazione  con oltre 83.000 operatori del settore coinvolti, a vario titolo, nell’emergenza, nell’aumento di oltre il 25 % dei medici impegnati a far sì che le strutture di assistenza potessero sopportare questo fenomeno dalla violenza inattesa; nella definizione di nuove strutture, le USCA, che dopo le prime difficoltà hanno rappresentato (non senza differenze regionali) un elemento importante di rafforzamento dell’assistenza territoriale.

Più incerti i risultati ottenuti su altri fronti, come il potenziamento dell’assistenza domiciliare, o nel recupero dell’attività ordinaria sacrificata nei mesi dell’emergenza che rappresenta forse il maggior onere che la pandemia ci obbliga ora ad affrontare.

Lo studio predisposto di recente dal Ministero della Salute segnala efficacemente l’eredità negativa in termini di mancate prestazioni rese sia a livello ospedaliero che ambulatoriale; un fenomeno che riguarda tutte le regioni e su cui poco hanno potuto fare, per ora, gli interventi finanziari a ciò specificamente destinati. Ma dai risultati esaminati emerge anche quanto siano state diverse le capacità di reazione a livello territoriale e come le ripercussioni della pademia siano state amplificate dalle diverse condizioni dei sistemi regionali. I ritardi già evidenti in alcuni                         ambiti li hanno resi più esposti a conseguenze di carattere strutturale.

Ancora poco “quantificati” sono poi i danni che deriveranno dal peggioramento delle condizioni di salute delle parti più fragili della popolazione, soprattutto di quelle con disabilità, per l’impossibilità di mantenere e rispettare gli screening e i tempi per le cure. Sul tema le attenzioni delle associazioni e il monitoraggio reso nell’ambito dell’Osservatorio nazionale screening (ONS) forniscono primi riscontri importanti.

Sono aspetti rilevanti che dovranno guidare ad un impegnativo ridisegno del sistema sanitario. Un sistema che, anche con il forte impulso che verrà dal Recovery plan, sarà chiamato nei prossimi anni a cogliere una opportunità di cambiamento di sicuro rilievo e unicità ma che, per farlo dovrà superare i limiti che finora hanno frenato lo sviluppo e la realizzazione di adeguati investimenti. Un contributo importante potrà venire dalle tecnologie non solo per adeguare e ammodernare le nostre strutture, ma anche nel mettere a disposizione, come stanno facendo l’amministrazione centrale e le regioni, strumenti per una programmazione nell’utilizzo delle risorse attenta alle effettive esigenze dell’assistenza e, quindi, in grado di evitare duplicazioni nell’offerta e inefficienze organizzative.

Ma questo non potrà esimerci dal mantenere l’attenzione sul tema delle risorse da destinare  al settore. Non si può nascondere che la crisi e il conseguente aumento del debito ha aggravato difficoltà che erano già rilevanti e che, in prospettiva, diventano più acute per il crescente squilibrio demografico con un tasso di invecchiamento della popolazione elevato e più bassi indici di natalità. La crisi ha tuttavia anche evidenziato l’esigenza di aumentare strutturalmente alcune componenti della spesa specie sanitaria sia corrente, sia in conto capitale.

Ciò porta a dover riprendere il confronto su temi di rilievo come l’organizzazione di un adeguato sistema di assistenza per il long term care, che è parte integrante di quel processo di ridisegno dell’assistenza territoriale che dovrebbe prendere corpo con l’attuazione del Recovery plan, ma che richiede adeguate scelte anche in stretto collegamento con altre riforme che sono nell’agenda del Governo, come la riforma fiscale.

LA SPESA PER LA SANITÀ NELL’ANNO DEL COVID

Come era da attendersi, l’emergenza Covid-19 ha comportato nel 2020 un forte aumento della spesa sanitaria. Nei dati di contabilità nazionale si registra nell’anno una crescita delle spese  necessarie ad affrontare la pandemia ancora maggiore di quella che era attesa (e scontata nei preconsuntivi della NaDEF dello scorso settembre). A consuntivo, la spesa sanitaria ha raggiunto  i 123,5 miliardi, con un incremento di quasi 7,8 miliardi (+6,7 per cento) rispetto al 2019, superiore a quella prevista di oltre 2,6 miliardi. Cresce, quindi, la sua incidenza in termini di prodotto al 7,5 per cento (e non al 7,2 per cento previsto) rispetto al 6,5 del 2019.

La variazione registrata nell’anno risulta, quindi, molto ampia e segna una improvvisa interruzione del processo di stabilizzazione della spesa registrato negli ultimi esercizi. Le spese per redditi da lavoro (quelli per la produzione diretta di servizi), che nel 2019 erano aumentati di circa il 3,1 per cento anche per la sottoscrizione dei rinnovi contrattuali della dirigenza sanitaria medica e non medica (e dei relativi arretrati), registrano un ulteriore aumento, anche se contenuto  (+1,5 per cento). Ma è soprattutto l’aumento della spesa per consumi intermedi, +12,8 per cento, ad incidere sul risultato complessivo delle prestazioni sanitarie non market che presentano nel complesso una variazione del 9,1 per cento. Si tratta della crescita di 4,2 miliardi di beni per la produzione diretta di servizi, mentre è limitata invece quella per i servizi amministrativi (+200 milioni).

Ha contribuito a tale risultato anche la brusca diminuzione dei ricavi (in riduzione di circa -1,3 miliardi), imputabile in prevalenza alla flessione della domanda di servizi sanitari non Covid (sospensione delle normali visite specialistiche), con relativa riduzione delle entrate per ticket (per circa 500 milioni), quella delle prestazioni di intra-moenia (circa 300 milioni) e la flessione anche delle entrate per mobilità internazionale, ricavi dovuti alle cure di pazienti stranieri (circa – 200). Tutti importi portati in riduzione della spesa.

Più limitato, ma sempre rilevante, il contributo alla variazione della spesa delle prestazioni market (+3 per cento). Un risultato che è frutto di andamenti molto diversi tra le componenti, proprio a ragione della diversa incidenza della pandemia e delle misure assunte per contrastarne la diffusione. Crescono del 3,2 per cento quelle per le prestazioni specialistiche e, soprattutto, del 12,7 per cento le spese per assistenza medico generica, su cui ha inciso, come previsto nel DEF, oltre alla maggiore spesa sostenuta per l’emergenza epidemiologica, il rinnovo delle convenzioni non sottoscritte nel 2019 e gravanti sul 2020.

Si sono invece ridotte le spese per assistenza ospedaliera da privati (-1,25 per cento) e, soprattutto, quella per farmaci (in convenzione) e per l’assistenza riabilitativa (che flettono, rispettivamente, del 3,6 e del 4,6 per cento). Andamenti che hanno compensato almeno in parte gli aumenti,  mantenendo il contributo su livelli più contenuti.

Si tratta di variazioni da ricondurre al rallentamento e, in alcuni periodi, al blocco delle attività di assistenza rese necessarie dalla pandemia e dalle misure per il distanziamento sociale (lockdown). Una volta che sarà superata la fase di emergenza, esso potrebbe essere recuperato e/o richiedere (come in parte avvenuto già nel 2020) l’individuazione di interventi straordinari per il riassorbimento di prevedibili tensioni sul fronte delle liste d’attesa.

Nella lettura dei risultati dell’anno e, soprattutto, nel confronto tra questi e quelli riconducibili alle singole realtà territoriali, va poi considerato che nell’esercizio consistente è stato il ruolo della spesa gestita direttamente dal Commissario straordinario all’emergenza. Sono stati effettuati acquisti per oltre 2,4 miliardi impiegati secondo i primi, limitati, rendiconti disponibili, per l’acquisto di materiali di uso corrente come mascherine, occhiali e altro, forniti alle strutture sanitarie territoriali e utilizzati presso gli ospedali pubblici per erogare il servizio sanitario.

Somme che spiegano circa 1,4 miliardi dell’incremento dei consumi intermedi della gestione diretta.

Nel conto della sanità, ma tra le spese delle amministrazioni centrali, vi sono poi gli acquisti di materiali di uso corrente come mascherine e altri DPI forniti alle scuole. Una attività che incide sui conti della sanità, ed è classificata in termini di contabilità nazionale nelle prestazioni in natura corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market per poco meno di 1 miliardo (942 milioni).

Sulla base dei risultati del 2020 nel DEF 2021 sono state definite di recente le previsioni del settore per il prossimo quadriennio. Nel 2021 la crescita complessiva è stimata del 3 per cento, portando la spesa al 7,3 per cento del prodotto. L’andamento è guidato dalla spesa per personale dipendente  e per acquisti di beni e servizi da produttori non market (rispettivamente in crescita del 4,6 e 6,4 per cento). L’incremento dei consumi intermedi è ricondotto solo in parte alla spesa per i farmaci essendo la quota più consistente dovuta all’acquisto e alla somministrazione dei vaccini.  L’aumento delle spese per redditi sconta le maggiori spese già previste a legislazione vigente per fronteggiare l’emergenza epidemiologica. Solo marginali i recuperi di spesa nelle prestazioni market. L’incremento per l’assistenza medico generica (+2 per cento) risente della maggiore spesa riconosciuta per la somministrazione dei vaccini. Sul dato relativo alle altre forme di assistenza pesa, da un lato, il venir meno delle spese sostenute lo scorso anno dalla Protezione civile e, dall’altro, le norme introdotte con la legge di bilancio che riconoscono ristori fino ad un massimo del 90 per cento del budget assegnato alle strutture private accreditate che hanno sospeso le attività ordinarie. Nel triennio successivo il peso della spesa in termini di prodotto si riduce rapidamente per collocarsi a fine periodo su valori inferiori al 2019 (6,3 per cento del 2024 contro il 6,5 per cento del 2019). Una dinamica, tuttavia, che non sembra riflettere il rinvio delle cure e i ritardi accumulati né le maggiori spese correnti connesse agli investimenti per il potenziamento dell’assistenza sanitaria previsti dal PNRR.

UN PRIMO SGUARDO AI RISULTATI DEI BILANCI REGIONALI DEL 2020

I dati trasmessi dalle regioni al NSIS relativi al 4° trimestre 2020 consentono quest’anno solo una prima lettura degli andamenti per le principali variabili a livello nazionale e dei risultati economici a livello territoriale. I conti economici consolidati restituiscono un’immagine sostanzialmente coerente con quanto rilevato in termini di contabilità nazionale anche tenuto conto dei diversi criteri utilizzati nell’analisi. Nel complesso, i costi delle aziende sanitarie, al netto delle voci economiche (ammortamenti, rivalutazioni e svalutazioni, gestione intramoenia e,  soprattutto, accantonamenti) hanno registrato nel 2020 una crescita del 3,7 per cento.

I risultati dal lato dei costi

I dati relativi ai costi sostenuti nel 2020 dalle amministrazioni regionali evidenziano, nel complesso, una variazione dell’3,7 per cento, di molto superiore a quella registrata nel 2019 (+1,4    per cento).

Le spese di personale aumentano nel complesso del 3,1 per cento. Una crescita attesa che  presenta, però, caratteristiche in parte inattese.

In coerenza con la forte incidenza della crisi (almeno nella prima parte dell’anno) nel Nord del Paese, l’aumento è superiore nelle regioni non in Piano (+3,4 per cento) rispetto a quelle in Piano (+2,7 per cento). Su livelli pressoché coincidenti con le medie quelli del personale sanitario, presentano, invece, variazioni più consistenti i ruoli professionali (+6,5 per cento) e quelli tecnici (+5,5 per cento) con andamenti significativamente al di sopra della media nelle regioni in Piano. Compensa la crescita, la seppur limitata flessione del personale amministrativo (-0,7 per cento) concentrata, tuttavia, nelle regioni in Piano.

Gli acquisti di beni e servizi crescono nell’anno di oltre il 10,4 per cento, raggiungendo  i 35,7 miliardi (l’incremento lo scorso anno era stato solo l’1,2 per cento). Si tratta di un insieme                          composito: gli acquisti di beni, le manutenzioni, gli altri servizi sanitari e non, gli oneri per il godimento di beni di terzi e i servizi appaltati.

La variazione più consistente è registrata nelle regioni non in Piano e, soprattutto, anche in questo caso, in quelle del Nord (+11,3 per cento). Si conferma la presenza di forti differenze tra enti. A fronte della crescita del 18,5 per cento del Veneto e del 22,9 dell’Emilia-Romagna, la Lombardia vede aumentare la spesa meno del 5 per cento (4,7 per cento). Più omogeneo l’andamento al Centro (il 15 in Toscana, il 10 nel Lazio e l’8 -7 in Umbria e Marche) e nel Sud e nelle Isole tutte inferiori al 10 per cento, con variazioni di poco superiore al 2 per cento in Molise   e Calabria.

In tale aggregato la categoria dominante è sicuramente quella dei beni, che presenta una crescita dell’11,4 per cento (lo scorso anno era stata del solo 0,7 per cento). Tutte sopra media le variazioni delle grandi regioni fatta eccezione, come si diceva, per la Lombardia che presenta un incremento del 4,4 per cento.

L’aumento più forte in termini assoluti è quello riconducibile al complesso dei beni sanitari in crescita di 1,7 miliardi (+8,4 per cento). La variazione più consistente a livello aggregato è riconducibile agli acquisti genericamente denominati “altri beni sanitari” il cui valore aumenta rispetto al 2019 di quasi 750 milioni. Crescono del 6,5 per cento gli acquisti diretti di farmaci, anche in questo caso con una forte variabilità: cresce al di sopra del 10 per cento la spesa in Toscana, in Campania e nelle Isole. Sopra media tutte le grandi regioni (tranne il Piemonte) mentre si riduce  in Puglia e nel Friuli. Non va dimenticato che sul risultato complessivo incide il forte calo nell’anno delle entrate da payback ospedaliero (in flessione del 24 per cento), che aumenta la spesa netta di circa 264 milioni rispetto al 2019.

Tra le voci minori, si conferma in forte crescita nell’anno la dinamica della spesa per vaccini che registra un aumento di poco meno del 7 per cento (si era ridotta la spesa nel 2019 del 2,5 per cento), mentre continua ad aumentare ma a tassi più ridotti quella per prodotti dietetici (+ 2,8 per cento del 2020 contro il +10,9 per cento del 2019). Sono due le regioni che hanno registrato la più rilevante crescita della spesa per vaccini: il Lazio che ha visto crescere l’importo di oltre il 27 per cento e la Lombardia (+15 per cento)

Per la farmaceutica convenzionata il tetto di spesa, pari a poco meno di 9,5 miliardi, è stato rispettato: la spesa si è mantenuta al di sotto del limite per circa 1.566 milioni. Nessuna regione presenta eccessi di spesa. In media l’incidenza è del 6,64 per cento. Anche nel 2020 sono sei le regioni che presentano una spesa convenzionata inferiore di oltre 2 punti rispetto al tetto previsto, mentre la sola PA di Bolzano supera i 3 punti

La spesa per acquisti diretti di farmaci, invece, eccede il limite previsto per oltre 2,7 miliardi. Tale importo risulta come differenza tra il dato di tracciabilità trasmesso dalle aziende (esclusi quello di fascia C  a carico del cittadino), al netto dei payback e della spesa che è coperta con il fondo farmaci innovativi     ed oncologici, per un totale di circa 10,7 miliardi, e il tetto previsto (circa 8 miliardi). Lo scostamento rispetto all’obiettivo riguarda tutte le regioni per importi molto differenziati. Sono ben 9 le regioni che segnano scostamenti di oltre 3 punti rispetto al limite (una eccede il limite di 4 punti).

Nel caso della spesa per acquisti diretti per gas medicinali il dato degli esborsi è calcolato sulla base del dato di tracciabilità trasmesso dalle aziende farmaceutiche ma considerando solo le fasce H e A (al netto di quella a carico del cittadino).

La spesa complessiva valida per la verifica del tetto è pari a 239,1 milioni. Nel complesso lo scostamento rispetto al tetto previsto (238,8 milioni) è molto limitato, solo 0,4 milioni. Sono 8 le regioni con eccedenze per poco meno di 37 milioni. Esse compensano le eccedenze di spesa riconducibili essenzialmente a 5 regioni (Sicilia, Puglia, Calabria, Sardegna e Piemonte)

Particolare attenzione merita la spesa per dispositivi medici, aumentata nell’esercizio del 6,4 % (2,4 % nel 2019)

Nella lettura dei risultati va considerato che, in considerazione della situazione di emergenza sanitaria, l’articolo 13 del d.l. 14/2020 ha previsto la possibilità di rimodulare o sospendere le attività di ricovero e ambulatoriali differibili e non urgenti, incluse quelle erogate in regime di libera professione intramuraria.

Tale sospensione ha determinato un minor consumo di alcune tipologie di dispositivi medici, in particolare di quelli impiantabili attivi, seppure bilanciato dall’incremento dei diagnostici in vitro. Un andamento di cui si trova una parziale conferma nei dati riportati nella tavola che segue. Nel complesso, i costi relativi ai primi si riducono del 15,3 per cento mentre quelli per diagnostica in vitro crescono del 30 per cento rispetto al 2019.

I dati mettono in rilievo anche un andamento in parte inaspettato ma che trova conferma nei dati sull’attività ospedaliera: sono le regioni a statuto ordinario del Sud a presentare in media la maggiore flessione dei dispositivi impiantabili (-20,5 per cento) e sempre questi enti a registrare   la minor crescita di quelli diagnostici in vitro (+4,7 per cento).

Sempre riguardo ai dispositivi medici sarà da approfondire il particolare andamento della spesa in Lombardia, regione che è riuscita a compensare la crescita (comunque al di sotto della media) della spesa per dispositivi diagnostici con una flessione di quelli medici e impiantabili.

Si riducono, guardando al complesso della spesa pro capite, le differenze tra i costi sostenuti nelle RSS del Nord rispetto alla media (rimanendo tuttavia superiori al 30 per cento), così come quelle delle regioni centrali, ma si ampliano nelle regioni Meridionali (continentali): 6,3 punti rispetto ai 2,6 del 2019.

Gli altri servizi sanitari crescono del 14,6 per cento. Anche in questo caso, le appostazioni in bilancio non sempre appaiono omogenee tra regioni e si conferma la forte variabilità tra gli enti.

Più limitato l’incremento dovuto a consulenze da privato, 125 milioni, di cui 44 sempre riconducibili alla regione Emilia-Romagna. Frena come era da attendersi in relazione alle difficoltà organizzative connesse alla pandemia, la spesa per formazione, ridottasi nell’anno del 19,3 per cento con flessioni anche superiori al 40 per cento in molte regioni (Veneto, Friuli, Liguria, Molise, Campania e Sardegna). Una flessione del tutto comprensibile in una fase come l’attuale ma che rappresenta anch’essa una eredità negativa della crisi destinata a ripercuotersi sui  prossimi esercizi.

Più limitata la variazione dei servizi non sanitari (+5,9 per cento) legata alle consulenze, collaborazione e al lavoro interinale per prestazioni non sanitarie. Anche in questo caso, il dato complessivo è frutto di andamenti molto differenziati con gli incrementi più significativi in Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto e Toscana e, soprattutto, Lazio e Campania che presentano variazioni superiori al 23 per cento.

Simile l’andamento nell’utilizzo di beni di terzi: la crescita è in questo caso del 5,6 per cento (+67 milioni) ed è relativa, anche in questo esercizio, principalmente ai canoni di noleggio di attrezzature sanitarie, mentre sono in flessione, invece, gli oneri corrisposti per canoni di leasing. I fitti passivi aumentano nel complesso di un importo limitato (+2,4 per cento). Quest’ultimi registrano andamenti diversi tra enti: in flessione le spese nelle regioni Nord- occidentali, cresce la spesa nel Nord-est e nel Centro, mentre registra un calo in tutte le altre regioni del Mezzogiorno.

Nel caso dei canoni di noleggio gli incrementi si concentrano, invece, nelle grandi regioni del Centro-nord: a queste è riferibile oltre il 70 per cento degli aumenti di spesa.

Superiore al 7 per cento è l’incremento di spesa per i servizi appaltati. La variazione di 400 milioni è dovuta principalmente ai servizi di pulizia e al più generico “altri servizi”. L’aumento è di 258,5 milioni ma di cui poco meno della metà (125 milioni) è dovuta alla sola regione Toscana. A queste due principali voci si aggiungono quelle per i servizi informatici (+56,1 milioni), per lo smaltimento rifiuti (+37 milioni) e per i trasporti (+15 milioni) che registrano variazioni in aumento superiori al 15,7 18,9 e 17,3 per cento. Compensano in parte tali aumenti le flessioni dei servizi che più hanno risentito del rallentamento dell’attività delle strutture non legata al Covid. Si tratta in particolare delle spese per le mense e per il riscaldamento, che registrano una flessione in quasi tutte le regioni con un risparmio di spesa rispetto al 2019, rispettivamente, di 62,2 e di 15,4 milioni.

Le prestazioni riconducibili a soggetti market (assistenza sanitaria di base, farmaceutica, specialistica, riabilitativa, integrativa protesica ospedaliera e altre prestazioni) assorbono nel 2020  costi per 39,9 miliardi, in flessione rispetto al 2019 di poco meno dell’1 per cento.

Cresce nell’anno l’assistenza di base a 6,9 miliardi. Si registra un aumento del 3,8 per cento collegato al rinnovo delle convenzioni con i medici di base, che riguarda sia i costi per medici di medicina generale e pediatri di libera scelta che quelli per la continuità assistenziale (che crescono di poco meno del 20 per cento), per la medicina dei servizi, i medici del 188 e altro. Nel complesso, la variazione maggiore è registrata nelle regioni non in Piano (+4,8 per cento) ed in particolare nelle regioni a statuto speciale.

Flette nell’anno la farmaceutica convenzionata: nell’esercizio, la spesa si ferma a 7,3 miliardi, con una riduzione del 3,2 per cento. Un calo che quest’anno è strettamente legato alla lunga fase di emergenza che incidendo sulla mobilità si è accompagnata ad una riduzione dei consumi (come emerge anche dal report dell’Aifa relativo al 2020); un andamento che ha accompagnato, rafforzandoli, i risultati più contenuti dovuti a diversi fattori (farmaci generici, sconti a carico di grossisti e farmacisti) e ha compensato le riduzioni nelle misure di compartecipazione alla spesa dei cittadini attuate in diverse regioni. Nette le differenze tra regioni, senza tuttavia particolari distinzioni tra quelle in Piano e non: agli estremi, le province autonome  in crescita rispettivamente del 5,7 e 8,6 per cento e le Marche e la Calabria in riduzione del 11,3 e del 6,5.

Per la specialistica convenzionata, i costi rimangono sostanzialmente invariati ma con andamenti diversi tra regioni in Piano e non. Le prime registrano una crescita nel complesso del 4,8 per cento mentre le seconde vedono flettere la spesa del 4,4 per cento. Si tratta di andamenti che, tuttavia, sono da ricondurre prevalentemente al Lazio, che tra quelle in Piano segna una crescita della spesa nell’anno del 15,7 per cento, e alla Lombardia, che riduce l’importo del 12,5  per cento.

Nel 2020 sono l’assistenza ospedaliera, quella riabilitativa e quella integrativa che hanno risentito maggiormente del blocco delle attività. Le spese per l’assistenza da Ospedali convenzionati, classificati, IRCCS privati, Policlinici universitari privati e Case di cura private accreditate, registra una flessione del 3,9 per cento. Tale flessione è di poco inferiore al 9 per cento nelle regioni non in Piano mentre conferma una crescita intorno al 2 per cento nelle altre. Sul risultato delle prime pesa in misura significativa la forte riduzione della Lombardia (-15,7 per cento) che più che compensa i risultati in crescita del Friuli e dell’Umbria (rispettivamente +9,8 e + 11,6 per cento). Tra le regioni in Piano, sono gli aumenti del Lazio e della Sicilia (rispettivamente +6,6 e + 18,9 per cento) a più che compensare le flessioni che, pur con intensità molto differenziata, caratterizzano gli altri enti.

Anche gli acquisti di prestazioni di assistenza riabilitativa convenzionata da strutture private accreditate calano nell’anno, in media del 3 per cento. Si tratta di un risultato comune a quasi tutte le regioni (fanno eccezione solo la Lombardia, la Liguria e la provincia di Trento). Sono presenti variazioni particolarmente nette: è il caso dell’Emilia-Romagna che presenta una riduzione di poco meno del 46 per cento della spesa rispetto al 2019, ma anche del Veneto (-19,6 per cento).

La stessa spesa per l’integrativa e protesica si riduce del 5,2 per cento. Sempre con intensità differenti e particolari legate alla struttura di assistenza regionale la flessione della spesa  interessa quasi tutte le realtà territoriali (fanno eccezione solo la provincia di Bolzano e la Valle d’Aosta, nonché il Molise). Nel 2020 il limitato aumento dell’assistenza integrativa assicurata da privati è compensato dal calo della protesica.

L’aggregato “Altre prestazioni” considera quelle relative alle cure termali, alla medicina dei servizi, all’assistenza psichiatrica, all’assistenza agli anziani, ai tossicodipendenti, agli alcolisti, ai disabili, alle comunità

terapeutiche. Si tratta nel complesso di 8,5 miliardi, in crescita del 2,4 per cento. La crescita del 2020 è il risultato di andamenti diversi delle sei principali voci di spesa ricomprese nell’aggregato.

Si tratta, innanzitutto, degli acquisti di prestazioni sociosanitarie, che rappresentano oltre il 50 per cento della spesa, in crescita nel 2020 del 4 per cento. L’aumento di 174 milioni nella spesa complessiva  è concentrato nelle grandi regioni: la Lombardia cresce di poco meno di 76 milioni (+5,6 per cento), il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana e il Lazio nel complesso di circa 90 milioni.

Superiori alla media anche gli acquisti per prestazioni di trasporto sanitario (+7,2 per cento); un aumento che registra tassi quasi doppi in Lombardia, Emilia-Romagna e Campania.

Più limitata la variazione nell’esercizio degli acquisti di prestazioni di psichiatria residenziale e semiresidenziale, che comunque rappresenta oltre un ottavo della spesa: l’aumento si concentra nelle regioni del Centro e soprattutto nel Lazio (+17,1 per cento) e in Umbria (+6,1 per cento).

Solo marginale la crescita delle prestazioni per la distribuzione dei farmaci File F che rappresenta circa il 10 per cento dell’aggregato. Si riduce di più del 40 per cento la quota di questa spesa per i cittadini non residenti. Un andamento da ricondurre anche in questo caso alla crisi sanitaria.