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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

“Self cleaning”: la corte UE fa il punto sull’istituto

Con sentenza del 14 gennaio 2021 (causa C-387/19), la Corte di Giustizia UE ha chiarito che l’articolo 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE osta ad una prassi in forza della quale, in presenza di un motivo di esclusione facoltativo (art. 57 par. 4), un operatore economico sia tenuto a fornire spontaneamente, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta, la prova degli atti di “self cleaning” adottati per dimostrare la propria affidabilità, qualora un simile obbligo non risulti dalla normativa nazionale applicabile o dai documenti di gara.

Nessun contrasto è, invece, ravvisabile qualora un tale obbligo sia previsto in modo chiaro, preciso e univoco dalla normativa nazionale e sia reso noto all’operatore economico con i documenti di gara.

Inoltre, la Corte ha altrsì chiarito che l’istituto del self cleaning è ad applicazione diretta e che, quindi, opera a prescindere dal fatto che lo stesso sia stato trasposto o meno nell’ordinamento nazionale.

Le questioni pregiudiziali

La Corte di giustizia è stata chiamata a valutare la legittimità di  una prassi di uno Stato membro secondo cui l’operatore economico possa essere escluso da una procedura d’appalto per gravi illeciti professionali o carenze nell’esecuzione di un precedente contratto ( art. 57, comma 4 lett.c) e g) ) senza essere stato preventivamente invitato dall’amministrazione aggiudicatrice o dai documenti di gara a fornire la prova del fatto che esso resta affidabile nonostante tali illeciti ( c.d. self cleaning).

Inoltre, è stato altresì domandato alla Corte se l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), in combinato disposto con i paragrafi 6 e 7 della direttiva 2014/24 abbia o meno effetto diretto.

Cos’è il self cleaning

L’articolo 57 par. 6 dell’ultima direttiva sugli appalti pubblici (2014/24/UE) ha introdotto un meccanismo di ravvedimento operoso (c.d. self-cleaning), conferendo agli operatori economici – che si trovino in una delle situazioni di cui ai par. 1 e 4, ossia le cause di esclusione  a recepimento facoltativo – la facoltà di dimostrare che l’avvenuta adozione di particolari misure sono sufficienti a dimostrarne l’affidabilità, nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione.

Il ragionamento della corte

Secondo la Corte, poiché la norma di cui all’art. 57, par 6 della direttiva appalti del 2014 non chiarisce quando o ad iniziativa di chi è possibile ricorrere al self cleaning, suddetta possibilità può essere astrattamente esercitata su iniziativa dell’interessato o dell’amministrazione aggiudicatrice, così come può essere esercitata al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta o in una fase successiva della procedura che preceda l’aggiudicazione: l’essenziale è che l’operatore economico possa far valere e far esaminare i provvedimenti che, a suo avviso, consentono di rimediare a un motivo di esclusione che lo riguardi.

In ogni caso, nel modulare le modalità attuative dell’istituto – facoltà prevista all’articolo 57, comma 7 della direttiva appalti-, gli Stati membri sono in ogni caso tenuti a rispettare i principi di parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità

Pertanto l’onere, a carico dell’operatore economico, di fornire spontaneamente e solo al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta la prova del ravvedimento operoso è coerente con i principio di proporzionalità solo laddove i concorrenti ne siano stati informati in via preventiva.

In forza del principio di trasparenza, poi, le regole della procedura di gara devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco nel bando o nel capitolato, così da permettere a tutti gli offerenti di comprenderle e di interpretarle in egual maniera. Il principio della parità di trattamento esige poi che gli operatori economici dispongano delle stesse opportunità nella formulazione delle offerte e conoscano vincoli e requisiti, potendo essere certi che gli stessi valgono per tutti i concorrenti.

Inoltre, proprio alla luce di tali principi, inoltre, la Corte chiarisce che anche le disposizioni relative al DGUE [1], non ostano a che gli Stati membri decidano, nell’ambito del margine di discrezionalità ora ricordato, di lasciare all’amministrazione aggiudicatrice l’iniziativa di chiedere la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso successivamente alla presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta, anche nel caso in cui la domanda di partecipazione o l’offerta siano accompagnate da un DGUE.

Da ultimo, la Corte ha affermato che l’articolo 57, par. 6, produce un effetto diretto perché conferisce agli operatori economici un diritto formulato in termini non equivoci, che addossa agli Stati membri un’obbligazione di risultato che non richiede la trasposizione nel diritto interno per poter essere invocata dall’operatore interessato e applicata a suo vantaggio.

Self cleaning ed illecito professionale

Interessante è anche la riflessione della Corte sulla figura dell’illecito professionale, di cui all’articolo 57 comma 4, lett. c) della direttiva appalti.

In particolare, la disposizione prevede che un operatore economico può essere escluso dalla gara se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con  mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità.

Al riguardo, circa il rapporto tra tale causa di esclusione ed il “self cleaning”, la Corte richiama le considerazioni dell’avvocato generale (punti 90 e 91) secondo il quale data l’ampiezza della nozione di “grave illecito professionale”, l’operatore economico non può stabilire con certezza se una condotta che ha tenuto in passato possa essere considerata tale e, quindi, se ricorra il menzionato motivo di esclusione.

In tal caso, quindi, “se la qualificazione della condotta come grave illecito non è prevedibile per l’offerente, non gli si potrà chiedere di indicare tale condotta nella sua offerta o nel DGUE” Sarà quindi compito della stazione appaltante, cui spetta l’onere di «dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali», offrire all’offerente la possibilità di affermare quanto ritiene opportuno in ordine ad un fatto che la stessa qualifichi come illecito.

Al riguardo, secondo la Corte, ciò afferisce al diritto di difesa dell’operatore economico, ossia il diritto di essere ascoltato in qualsiasi procedimento ogni qualvolta l’amministrazione intenda adottare nei confronti di  un soggetto un atto ad esso lesivo (come una decisione di  esclusione adottata nell’ambito di una procedura d’appalto).

In particolare, da tale diritto discende che gli operatori devono essere in grado, per poter manifestare efficacemente il loro punto di vista in un’ offerta, di identificare, essi stessi, i motivi di esclusione che la stazione appaltante può invocare nei loro confronti alla luce delle informazioni contenute nei documenti di gara e nella normativa nazionale al riguardo.

La situazione in italia

L’Italia, recependo la direttiva 2014/24 /Ue ha previsto  l’istituto del Self cleaning all’articolo 80, comma 7 del codice dei contratti pubblici, precisando  che “un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1 (ossia, colpito da sentenza definitiva per i reati ivi menzionati) [2], o al comma 5 [3], è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.”

Ciò posto, la sentenza della Corte è utile a chiarire che in nessun caso  può essere compresso il diritto dell’operatore economico a provare il proprio ravvedimento operoso.

Lo stesso diritto può quindi essere soltanto “proceduralizzato” dalla stazione appaltante, con riferimento a chi o in quale fase della procedura spetti l’iniziativa di esibire la prova documentale, e di farlo in maniera chiara e trasparente, a partire dalla documentazione di gara.

Pertanto, in mancanza di tali precisazioni, è possibile concludere che, stando alle indicazioni della sentenza, è comunque diritto dell’impresa attivarsi e fornire, in ogni caso, la prova del proprio ravvedimento operoso.

Con riferimento poi alla figura dell’illecito professionale – recepito, come noto, in Italia all’articolo 80, comma 5 lett. c) del Codice dei Contratti pubblici – è possibile affermare che, in assenza di indicazioni chiare a livello normativo o di lex specialis sul punto, contrasta con il diritto UE l’esclusione dalla gara per illecito professionale di un’impresa che non sia stata preventivamente invitata a presentare misure di self cleaning in relazione a fatti dichiarati al momento della presentazione dell’offerta.

Di più, proprio le conclusioni dell’Avvocato generale, avallate dalla stessa Corte, sembrano aprire anche ad un ulteriore principio interpretativo.

Infatti, poichè l’evidente carattere generico della nozione di illecito professionale rende il medesimo poco prevedibile per l’offerente, sembra plausibile affermare che l’eventuale mancata dichiarazione di un fatto, da parte dell’operatore economico, poi identificato dalla stazione appaltante come integrante una fattispecie di illecito professionale, non può in nessun caso portare all’esclusione dell’offerente, senza che gli sia stata preventivamente consentita la prova del self cleaning.

Fattispecie, questa, che si realizza ogniqualvolta manchi una puntuale e tassativa indicazione, da parte della stazione appaltante –  o della legislazione nazionale – dei fatti e dei comportamenti ascrivibili alla figura dell’illecito professionale.

Tale argomentazione appare, del resto, in linea con quanto recentemente affermato dal’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 16 del 28 agosto 2020 già commentata da ANCE