Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Normativa appalti: in vista del recovery plan, l’antitrust propone l’accantonamento del codice. Insorgono Anac e stakeholders

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

E’ una deregulation spinta, quella delineata nelle “Proposte di riforma concorrenziale, ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2021”, redatte dall’AGCM.

Sospendere l’applicazione del Codice e riferirsi alle Direttive europee per appalti interessati dai fondi europei e quelli relativi alle  opere strategiche; ed intanto avviare una revisione complessiva della normativa, nel segno della modernizzazione e semplificazione. Via, dunque ai vincoli del subappalto, dell’appalto integrato, dell’avvalimento, dei criteri di valutazione delle offerte, dell’obbligo della nomina di Commissari esterni, del 30%  quale peso massimo del prezzo nelle gare qualità/prezzo.  Ma l’ANAC non ci sta. Critici anche gli addetti ai lavori. Intanto Una commissione ministeriale prepara una semplificazione “forte”, che però non prevede la  sospensione del Codice.

LA  SEGNALAZIONE DELL’ AGCM

Il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri la segnalazione contenente le proprie proposte ai fini del disegno di legge per la concorrenza.

AGCM   –  Semplificazione e concorrenza

Un ruolo cruciale nella ripresa del Paese può essere svolto dalla modernizzazione e semplificazione della Pubblica Amministrazione. Un’amministrazione pubblica efficiente e una regolazione semplice e trasparente costituiscono una pre-condizione essenziale per lo sviluppo competitivo dell’economia italiana in termini d’innovazione e di crescita.

In questo contesto, la riforma degli appalti pubblici, volta a modernizzare e semplificare le regole e le procedure applicabili, deve essere considerata tra gli obiettivi strategici ai fini del rilancio dell’economia e dell’attivazione degli investimenti.

Fin dalla sua nascita, infatti, il Codice dei contratti pubblici del 2016 (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) ha rinviato, per la definizione della normativa sui contratti, alla successiva emanazione di altri atti di varia caratura normativa. Complessivamente, si tratta di circa 50 atti attuativi ricompresi in varie tipologie, destinati a sostituire il precedente regolamento (d.P.R. n. 207/2010).

Ne è derivato un labirinto di norme che, di fatto, generano inefficienze  nel  public procurement: da qui la necessità di definire regole più semplici.

Al riguardo l’Autorità propone due interventi: uno più immediato consistente nella sospensione dell’applicazione del Codice dei contratti pubblici e nel ricorso alle sole disposizioni contenute nelle direttive europee in materia di gare pubbliche del 2014 alle procedure interessate dall’erogazione dei fondi europei del Next Generation EU e alle opere strategiche. Ciò consentirebbe di poter eliminare immediatamente i vincoli che attualmente insistono, tra gli altri, sul subappalto, l’ avvalimento, l’appalto integrato, i criteri di valutazione delle offerte, l’obbligo di nomina dei commissari esterni.

L’altro intervento, di medio periodo, consiste nella revisione del vigente Codice dei contratti pubblici nell’ottica di semplificare le procedure applicabili, lasciare maggiore spazio alla discrezionalità delle stazioni appaltanti, definire regole certe.

Il ricorso a modelli flessibili di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, la riduzione dei formalismi e degli adempimenti non necessari vanno a vantaggio non solo dell’acquirente pubblico, che può spendere meglio le risorse assegnate, ma anche delle imprese, che , in assenza di norme eccessivamente di dettaglio, vengono liberate da tutti quegli oneri che, ad oggi, rendono spesso ingiustificatamente costosa e complessa la partecipazione agli appalti e ne ritardano l’aggiudicazione ed esecuzione.

Ulteriori proposte riguardano la specializzazione delle stazioni appaltanti e la digitalizzazione delle procedure.

Il riconoscimento di una più ampia discrezionalità delle stazioni appaltanti nel rispetto delle regole deve accompagnarsi ad una riqualificazione delle stesse, le quali, una volta individuati i propri bisogni, devono poter applicare in modo appropriato le diverse procedure e i diversi criteri di aggiudicazione, senza essere costrette a usare modelli eccessivamente rigidi.

APPALTI PUBBLICI

Gli appalti pubblici rappresentano circa il 13% del PIL dell’Unione europea e l’ 11% di quello italiano, livelli        destinati ad  aumentare a seguito degli investimenti pubblici in programmazione per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia in corso. In Italia, la spesa pubblica canalizzata attraverso i contratti pubblici è pari a circa il 20% del totale e tale quota si accrescerà nel prossimo futuro.

La disciplina degli appalti riveste, dunque, un ruolo cruciale nell’ambito del piano di crescita e di sviluppo economico da attuare attraverso i fondi del programma europeo Next Generation EU, poiché costituisce la cinghia di trasmissione degli interventi pubblici all’economia reale, rappresentando un volano indispensabile ai fini del successo delle politiche macroeconomiche espansive da implementare in futuro.

Per questa ragione e tenuto conto della complessità della disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici, una riforma del settore degli appalti, volta a modernizzare e semplificare le regole e le procedure applicabili, deve essere inclusa tra gli obiettivi strategici ai fini del rilancio dell’economia e dell’attivazione degli investimenti.

Le coordinate da tenere presenti per riordinare la complessa materia degli appalti pubblici sono contenute nelle direttive europee del 2014, il cui principale obiettivo è di aumentare l’efficienza delle scelte dell’amministrazione garantendo, da un lato, una maggiore discrezionalità alle stazioni appaltanti e, dall’altro, una semplificazione delle regole e delle procedure da seguire. Ciò a vantaggio non solo dell’acquirente pubblico, che può spendere meglio le risorse assegnate, ma anche delle imprese che vengono liberate da tutti quegli oneri che rendono spesso ingiustificatamente costosa e complessa la partecipazione agli appalti e, per un altro, ne ritardano l’aggiudicazione ed esecuzione.

Nell’attività di riduzione dei vincoli che imbrigliano le stazioni appaltanti e le imprese due sono gli ambiti sui quali appare necessario intervenire: la semplificazione della normativa contenuta nel Codice dei contratti pubblici e la qualificazione delle stazioni appaltanti e degli operatori economici, da attuarsi anche mediante lo sviluppo di strumenti procedurali innovativi.

In particolare, nel primo ambito, con riferimento alla semplificazione delle norme, l’Autorità suggerisce le seguenti modalità di intervento che potrebbero parallelamente essere intraprese:

i) una proposta da percorrere nel breve periodo per affrontare la gestione dei fondi europei provenienti dal Next Generation EU e delle opere strategiche; ii) una proposta di medio periodo finalizzata a una revisione complessiva del vigente Codice dei contratti pubblici. Nel breve periodo, in relazione alla spesa pubblica da finanziare mediante i fondi europei del Next Generation EU, l’Autorità suggerisce di prendere in considerazione la possibilità di sospendere temporaneamente l’applicazione del Codice dei contratti pubblici, introducendo una disciplina speciale riservata esclusivamente a tali procedure, in relazione alle quali troverebbero applicazione le sole norme contenute nelle direttive europee del 2014 in materia di gare pubbliche, con le dovute integrazioni laddove le disposizioni europee non siano immediatamente self-executing. In tal modo, sarebbe possibile superare una serie di criticità presenti nella vigente disciplina in materia di appalti pubblici, alcune delle quali saranno esaminate nel prosieguo, riducendo il c.d. red tape, ossia gli oneri amministrativi e burocratici imposti alle imprese e alle stazioni appaltanti che rallentano, spesso ingiustificatamente, le procedure di gara.

A titolo esemplificativo, attraverso la misura proposta, cadrebbero i limiti e le preclusioni attualmente previsti in materia di ricorso al subappalto e all’avvalimento, così come le restrizioni alla discrezionalità delle stazioni appaltanti in materia di appalto integrato, valutazione delle offerte economiche in caso di aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, esclusione delle offerte anomale, obbligo di nomina dei commissari esterni.

A fronte dell’alleggerimento degli oneri amministrativi e burocratici derivanti dalla sola applicazione delle direttive europee, non dovrebbero comunque venire meno i presidi volti a tutelare la legalità delle gare pubbliche e, in particolare, quelli volti a impedire l’infiltrazione della criminalità e la corruzione. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare, con riferimento alle opere da finanziare tramite i fondi del Next Generation EU, la costituzione di una struttura dotata delle necessarie risorse economiche, umane e tecniche per vigilare esclusivamente su tali opere. Le risorse umane e tecniche dovrebbero assicurare la complementarietà delle conoscenze al fine di garantire l’efficacia e la tempestività dei controlli, così che questa struttura possa fungere da centro di raccordo, elaborazione e diffusione delle informazioni provenienti dalle istituzioni chiamate a vigilare su profili specifici delle gare pubbliche, la cui attività fortemente complementare manca di un centro di coordinamento. A tal fine, si dovrebbe coinvolgere non solo l’expertise tecnica dei Ministeri e dell’Autorità nazionale anticorruzione, ma anche le specifiche competenze della magistratura (ordinaria, amministrativa e contabile), nonché le capacità investigative dei reparti che operano quotidianamente nel contrasto alla criminalità organizzata di ti tipo economico.

Nel medio periodo, l’Autorità suggerisce di pervenire a una revisione del Codice dei contratti pubblici improntata a una serie di principi che dovrebbero modernizzare le sue previsioni, al fine di semplificare le regole e favorire così il rapido dispiegamento degli investimenti pubblici.

In tal senso si segnala, in particolare, la necessità di eliminare tutte quelle disposizioni che introducono oneri non necessari e più elevati rispetto a quelli previsti dalle direttive europee, applicando in tale processo di revisione i seguenti principi:

  1. utilizzo del principio del copy-out dalle direttive, come già impiegato in altri Paesi europei, dando conto con rigore delle eccezioni, ammesse solo laddove necessarie a garantire specifici interessi pubblici, tra cui quello dell’apertura alla concorrenza, secondo il metodo del “comply or explain”;

applicazione stringente del principio di proporzionalità per eventuali deroghe del divieto di gold-plating, così da individuare, laddove necessario, lo strumento meno restrittivo della concorrenza o oneroso per le imprese al fine di tutelare efficacemente eventuali interessi pubblici meritevoli di garanzia; in ogni caso, con riferimento agli oneri imposti alle imprese non richiesti dalle direttive europee dovrebbe essere sempre possibile sanare la loro mancanza;

  1. riaffermazione e ampliamento del ruolo dell’autocertificazione, come strumento per la partecipazione alle gare pubbliche, intensificando il controllo ex post anziché ex ante;
  2. introduzione di misure volte ridurre il ricorso alla c.d. “burocrazia difensiva” che spesso blocca il funzionamento delle stazioni appaltanti, ad esempio prevedendo la responsabilità dei funzionari per danno erariale solo in caso di dolo.

Nello specifico, l’Autorità intende sin da ora evidenziare alcune previsioni vigenti che non rispondono ai principi sopra evidenziati e conseguentemente, nell’ambito della più ampia revisione del Codice dei contratti pubblici, dovrebbero essere eliminate o modificate in senso meno restrittivo.

Innanzitutto, si ribadisce la necessità di rimuovere le disposizioni in materia di subappalto che contrastano con la disciplina euro-unitaria e ostacolano ingiustificatamente la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, in particolare delle piccole e medie imprese (PMI). Tale partecipazione necessita di essere maggiormente favorita, anche tenuto conto del periodo di emergenza sanitaria ed economica in corso. In particolare, sarebbe opportuno: (i) eliminare la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile; (ii) prevedere l’obbligo in capo agli offerenti che intendano ricorrere al subappalto, di indicare in sede di gara la tipologia e la quota parte di lavori in subappalto, oltre all’identità dei subappaltatori; (iii) consentire alle stazioni appaltanti di introdurre, tenuto conto dello specifico contesto di gara, eventuali limiti all’utilizzo del subappalto che siano proporzionati rispetto agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati in considerazione della struttura del mercato interessato, della natura delle prestazioni o dell’identità dei subappaltatori.

Parimenti incompatibile con la disciplina euro-unitaria risulta il divieto generale ed universale che le prestazioni subappaltate possano essere oggetto di ulteriore subappalto (c.d. subappalto a cascata). Tale divieto potrebbe essere eventualmente sostituto da una previsione che consenta alle stazioni appaltanti di introdurre, tenuto conto dello specifico contesto di gara, eventuali limiti all’utilizzo del subappalto che siano proporzionati rispetto agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati.

Per le medesime ragioni, andrebbero altresì eliminati i divieti generali e i limiti ingiustificati all’impiego dell’avvalimento, in particolare con riferimento al c.d. avvalimento a cascata, nonché l’esclusione dell’avvalimento per contratti relativi a progetti che richiedono “opere complesse”.

Un ulteriore limite, che non trova fondamento in alcuna previsione normativa euro-unitaria  è costituito dalla previsione relativa al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa  – individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo – che stabilisce un tetto massimo per il punteggio economico entro il limite del 30%. L’Autorità ha già evidenziato come tale previsione limiti eccessivamente la facoltà della stazione appaltante di tenere adeguatamente conto delle offerte economiche, conferendole, allo stesso tempo, un’ampia discrezionalità nella valutazione delle offerte tecniche, con possibile pregiudizio al corretto ed efficiente svolgimento della gara e a una adeguata concorrenza anche di prezzo tra gli offerenti .

  1. Sempre nella prospettiva di eliminare i vincoli delle stazioni appaltanti e di permettere una più attenta considerazione delle offerte economiche presentate nell’ambito di procedure pubbliche, si segnala la necessità di rivedere la disposizione che – contrariamente a quanto disposto dalle direttive e tenuto conto delle indicazioni della Corte di giustizia  – consente alle stazioni appaltanti di escludere offerte anormalmente basse senza prima chiedere agli offerenti di fornire giustificazioni.
  2. L’Autorità auspica, inoltre, un definitivo ripensamento in merito all’obbligo generalizzato di mettere a gara opere dotate di progetto esecutivo, e non di semplice progetto definitivo, e la rimozione del divieto generale, fatti salvi i casi tassativamente indicati dal Codice, di appalto integrato.
  3. Tale divieto ha creato, almeno nella fase iniziale, difficoltà operative per molte stazioni appaltanti, soprattutto per le Amministrazioni locali, non in possesso delle competenze tecniche per poter realizzare al proprio interno la progettazione esecutiva, con la conseguente necessità di metterla a gara separatamente rispetto all’appalto di esecuzione dell’opera, con evidente allungamento dei tempi. D’altra parte, anche quando le competenze tecniche sarebbero disponibili all’interno delle Amministrazioni pubbliche, il divieto, introdotto dal Codice, di corrispondere incentivi in caso di progettazione curata da tecnici dipendenti delle Amministrazioni pubbliche, sembrerebbe aver scoraggiato la progettazione interna.
  4. Occorre sottolineare, al riguardo, che le direttive unionali non pongono limiti all’appalto integrato che presenta, invece, degli indubbi vantaggi in termini di semplificazione della procedura (una sola gara per due fasi, riduzione dei costi amministrativi e dei tempi di attraversamento).
  5. La sfida sanitaria derivante dalla pandemia in corso, nonché le sfide aperte dalla digitalizzazione dei mercati dovrebbero spingere a una riflessione sul ruolo del partenariato per l’innovazione, previsto dall’attuale Codice dei contratti pubblici ma poco utilizzato nella pratica, ricercando le cause del suo sotto-utilizzo al fine sfruttarlo pienamente per la ripresa economica del Paese. Questo strumento, infatti, è pensato per rispondere a esigenze che non possono essere soddisfatte ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato ed è diretto, in particolare, a sviluppare prodotti, servizi e lavori innovativi e ad acquistare successivamente le forniture, i servizi o i lavori che ne risultano.
  6. Anche per il Partenariato Pubblico Privato (PPP) si auspica una rivisitazione della relativa disciplina. In un contesto caratterizzato da scarse risorse pubbliche, il PPP infatti può rappresentare una soluzione idonea a finanziare, costruire e rinnovare infrastrutture di pubblica utilità, di cui il Paese necessita per migliorare la qualità dei servizi offerti alla collettività, ridurre i divari economici territoriali, favorire la crescita e la competitività
  7. Una revisione delle norme volta a favorire la c.d. eleggibilità del PPP (ovvero compatibilità con investimenti di equity degli investitori istituzionali) consentirebbe, unitamente al rispetto dei patti negoziali conclusi e alla garanzia di stabilità (per quanto possibile) della normativa in materia, di attrarre i capitali nazionali e internazionali, che finora si sono tenuti lontani dal mercato italiano del PPP proprio a causa delle previsioni normative che tendono ad identificare la figura del concessionario con quella del costruttore.
  8. Il secondo ambito rispetto al quale occorre intervenire riguarda la specializzazione delle stazioni appaltanti e la digitalizzazione delle procedure, che rappresentano dei requisiti necessari per rendere più efficiente l’azione amministrativa e per indirizzare la maggiore discrezionalità riconosciuta alle stazioni appaltanti verso il conseguimento di più stringenti obblighi di risultato.
  9. L’Autorità, nell’esercizio dei propri poteri di enforcement e di advocacy, ha riscontrato, in diverse occasioni, che le distorsioni al funzionamento dei meccanismi concorrenziali possono discendere non solo dal mancato espletamento delle gare, ma anche dal non corretto disegno delle stesse.
  10. Sul punto occorre, innanzitutto, dare attuazione alle disposizioni sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, la qualificazione degli operatori economici e lo sviluppo di strumenti procedurali innovativi. In tal senso, andrebbe, in particolare, adottato il decreto di fissazione degli standard di qualità della committenza di cui agli artt. 37 e 38 del Codice dei contratti pubblici. Inoltre, andrebbero emanati i decreti di attuazione degli artt. 41 e 44 del medesimo Codice relativi alla semplificazione delle procedure di gara svolte dalle centrali di committenza e alla digitalizzazione delle procedure. Ciò consentirebbe di aggregare la domanda dei committenti pubblici e di aumentare l’efficienza nello svolgimento delle procedure di gara sfruttando le professionalità migliori.
  11. Va, in secondo luogo, completata la digitalizzazione degli appalti pubblici (c.d. e­ procurement) per giungere alla costituzione di una base di dati capillare e qualitativamente elevata. La digitalizzazione dei contratti, dalla fase di programmazione fino a quella di collaudo e liquidazione delle somme dovute, consente evidenti semplificazioni delle procedure, standardizzazione delle stesse, risparmi in termini di tempi e costi, nonché il continuo monitoraggio dell’evoluzione dei contratti. A tal fine, appare necessario che tutte le informazioni inerenti ai contratti pubblici confluiscano nella piattaforma dell’ ANAC, consentendo così l’avvio definitivo e la piena funzionalità della piattaforma digitale ANAC prevista dall’art. 73 del Codice dei contratti pubblici.
  12. Poiché all’aumento di discrezionalità deve corrispondere un accrescimento degli obblighi di risultato si potrebbero prevedere dei meccanismi di premialità per le amministrazioni più efficienti basati su sistemi di misurazione dei risultati conseguiti.

In sintesi  nell’ottica di riduzione dei vincoli in capo alle stazioni appaltanti e alle imprese,  si  propone:

  • la semplificazione della normativa contenuta nel Codice dei contratti  pubblici, tramite i) una strada da percorrere nel breve periodo per affrontare la gestione dei fondi europei provenienti dal Next Generation EU e delle opere strategiche; ii) una strada di medio periodo finalizzata a una revisione complessiva del vigente  Codice dei contratti pubblici, per semplificarne le regole e favorire così il rapido dispiegamento degli investimenti pubblici;
  • la specializzazione delle stazioni appaltanti e  la  digitalizzazione delle  procedure, che rappresentano presupposti necessari per rendere più efficiente l’azione amministrativa e per indirizzare la maggiore discrezionalità riconosciuta alle

                  stazioni appaltanti verso il conseguimento di più stringenti obblighi di risultato.

LE OBIEZIONI DELL’ANAC

Sui contenuti  della segnalazione dell’Antitrust è intervenuta l’ANAC,  per bocca del suo presidente Giuseppe Busia, che ha affermato: “Non possiamo immaginare una semplice sospensione, totale e immediata del Codice, con il ricorso alle sole direttive europee perché tale scelta, lungi dal portare un’accelerazione, rischierebbe di bloccare le gare per l’improvvisa assenza di riferimenti certi”.   “Non possiamo affidare a qualche slogan semplificatorio settori delicati e complessi come quello dei contratti pubblici, da cui dipende circa il 15% del pil e parte essenziale della ripresa del Paese, anche grazie ai fondi Next Generation EU”. “A mio avviso, ha aggiunto il Presidente dell’Anac, “il riferimento alle sole direttive infatti non basta. Creerebbe anzi un vuoto di sistema, costringendo a stabilire cosa si applica a una serie molto vasta di profili rilevanti rimessi alla disciplina dell’ordinamento interno. Il congelamento tout court del Codice, ad esempio, avrebbe pesanti ricadute sulla qualificazione, appesantendo le procedure perché le imprese dovrebbero dimostrare, gara per gara, la propria capacità esecutiva, ora invece, la verifica è ‘una tantum’ per tutte le gare svolte in un determinato periodo. Busia considera invece “(…) opportuna una revisione anche profonda della disciplina”.

Critici anche i sindacati delle costruzioni: “Non siamo disponibili a destrutturazioni delle regole e delle tutele”, mandano a dire i

segretari generali di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil.

I sindacati delle costruzioni  ricordano che con il decreto semplificazioni e con la legge 120/2020 il Parlamento ha “confermato l’impianto generale del Codice degli appalti pubblici, che costituisce il fronte più avanzato per la corretta esecuzione dell’opera, e si è concentrato su specifici interventi per accelerare le opere pubbliche, con deroghe mirate, interventi sulla responsabilità dei dirigenti e con paletti chiari e condivisi su rispetto dei contratti, salute e sicurezza, sub appalti, legalità, riconoscendo un ruolo importante ai sindacati, tanto da giungere a sottoscrivere le intese dell’11 dicembre e del 22 gennaio scorso”. Quindi “sarebbe saggio prima di ogni nuovo intervento normativo verificarne gli effetti, che vedono un aumento significativo di appalti assegnati, pur in presenza del Codice vigente”.
Visto che “il vero problema è la velocità di esecuzione delle opere”, bisogna “ridurre i tempi morti, e per farlo bisogna migliorare il Codice degli Appalti, semplificando alcuni iter autorizzativi (VIA, Conferenza dei Servizi, pareri delle Sovra intendenze, ecc.). Ma se si vuole liberalizzare il subappalto, favorire il dumping contrattuale, ridurre le tutele e le procedure poste oggi a garanzia della legalità e trasparenza, destrutturare quel poco di tessuto industriale presente nel settore (a partire dalle concessioni autostradali) si sappia che ci opporremo con tutte le nostre forze, mobilitando le lavoratrici e lavoratori del settore”.

Secondo I costruttori dell’Ance occorrono semplificazioni,  ma eliminare il codice Sarebbe il blocco dei cantieri. “Apriamo i cantieri con l’attuale semplificazione e interveniamo rapidamente, in parallelo, sul codice degli appalti, per riscriverlo e semplificarlo e renderlo maggiormente compatibile con un paese che deve crescere”. È la richiesta presidente dell’Ance, Gabriele Buia, in un’audizione alla Commissione parlamentare per la semplificazione, dove mette in guardia dall’eliminazione del codice e la trasposizione pura del codice europeo. “Se dovessimo ipotizzare di prendere il codice europeo e trasporlo in Italia immediatamente, abolendo il codice e le norme esistenti, si creerebbe un problema enorme con il blocco immediato di tutti gli enti appaltanti, si bloccherebbe tutto come si e’ bloccato con l’approvazione del codice attuale”, dice Buia. “Noi vogliamo le regole”, ribadisce il rappresentante dei costruttori. “Vogliamo semplici e intuibili regole – continua – non solo per gli operatori ma chiare e applicabili con facilita’ anche dagli enti pubblici e da tutte le stazioni appaltanti. Ricordo che in Italia sono oltre 40 mila”. (ANSA).

Pollice  verso sulla sospensione del codice appalti anche da parte dell’ OICE,  l’Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria: “Rischio paralisi degli appalti; snellire la fase approvativa e la qualità del progetto esecutivo. senza qualità si buttano risorse del Recovery Plan”. Per il Presidente Gabriele Scicolone “nella segnalazione ci sono condivisibili proposte in tema di sburocratizzazione, snellimento delle procedure, eliminazione di oneri assurdi che incombono sugli operatori economici, digitalizzazione della fase di accesso alle gare, che può velocizzare le procedure farraginose e assurdamente ripetitive di  verifica dei requisiti, ma la proposta di sospendere il codice e affidare appalti e concessioni soltanto con le  direttive UE  non ci trova in alcun modo favorevoli. Cancellando in un solo secondo pacchetti di regole fondamentali come quelle sulla progettazione e sull’esecuzione del contratto, si va incontro ad un certo blocco degli appalti. Altro che velocizzazione degli affidamenti!”

Sul tema della progettazione, più volte toccato nella segnalazione e spesso anche dal Presidente del Consiglio nei suoi interventi, il Presidente OICE fa presente che “soprattutto per gli interventi del Pnrr occorre assicurare qualità progettuale; non ci convince affatto quanto propone l’Antitrust sulla liberalizzazione dell’appalto integrato e ancora di più sulla necessità di smontare la regola della centralità del progetto esecutivo. L’esperienza dimostra infatti che, nonostante la farraginosità delle fasi approvative, vero tema da affrontare, avere messo in gara progetti esecutivi ha assicurato l’aumento della qualità dei progetti, la riduzione delle varianti in fase esecutiva e quasi annullato i ritardi sui tempi. Il ritorno all’appalto integrato libero non consentirebbe affatto risparmi di tempo e finirebbe per essere una falsa semplificazione a beneficio delle riserve e degli aumenti, oltre che un asservimento del progetto esecutivo alle logiche delle imprese e non della qualità degli interventi di cui dovrà beneficiare la collettività.”

Infine sul tema della progettazione a livello locale e sull’assunzione di tecnici nella P.A., Scicolone afferma che “pensare che la mancanza di incentivi a progettare abbia limitato lo sviluppo di progetti a livello locale significa avere compreso ben poco di quanto accaduto in questi ultimi cinque anni, così come pensare che assumere progettisti possa risolvere la questione della mancanza dei progetti. E’ vero che mancano i tecnici e professionisti preparati e aggiornati, ma sarebbe del tutto errato metterli a fare progetti. Ancor più con il Pnrr i tecnici che si assumeranno dovranno essere indirizzati sulla gestione degli affidamenti e sul controllo della fase esecutiva. Per questo dovranno essere incentivati, per i risultati raggiunti in termini di rispetto dei tempi. Pensare ad una sorta di Italstat del Progetto a livello nazionale e locale è antieconomico, antistorico e non assicura qualità e buoni progetti. “

AL  LAVORO LA COMMISSIONE “GIOVANNINI” 

Una semplificazione forte, ma che non comporta la  sospensione del Codice appalti,  caratterizza  le  prime bozze delle proposte che sta mettendo a punto la commissione insediata dal ministro per le Infrastrutture e la mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, secondo quanto anticipato dal Sole 24Ore.  Della commissione fanno parte anche rappresentanti del ministero della Funzione pubblica, dell’Autorità anticorruzione (Anac), del Consiglio di stato e della Corte dei conti.

La proposta più rilevante – oltre a quella di una commissione unica centralizzata per l’approvazione di tutti i pareri e le autorizzazioni necessari per avviare un’opera rientrante nel Pnrr – è l’appalto integrato affidato sulla base del solo progetto di fattibilità. L’appalto integrato mette nelle mani della stessa impresa o raggruppamento sia la progettazione sia la realizzazione dei lavori. Se passasse la modifica circolata in bozza, oltre alla progettazione esecutiva consentita finora, l’appaltatore farebbe anche la progettazione definitiva, che sarebbe presentata in sede di gara. In questo modo l’appaltatore avrebbe il pieno controllo di tempi e costi dell’opera fin dai primi elaborati progettuali.

Per limitare i rischi di sforamento dei costi, in una successiva proposta viene previsto che solo in casi particolari e comunque dopo un attento vaglio del Rup (responsabile unico del procedimento) sarà possibile un aumento dell’importo contrattuale.

Un altro passaggio che emerge dalle prime carte, per accelerare la fase di gara, è la «inversione procedimentale» che consentirebbe alle stazioni appaltanti di esaminare le offerte prima della verifica dei requisiti di idoneità degli offerenti.

Sempre con l’obiettivo di accelerare si confermerebbero a regime alcune norme operative transitoriamente del decreto sbloccantieri del 2019 e del decreto semplificazioni del 2020. In particolare, l’affidamento di attività di manutenzione ordinaria e straordinaria senza progetto esecutivo e l’affidamento diretto di lavori fino alla soglia di 150mila euro. Per la soglia da 150mila euro fino a un milione si procederebbe con procedura negoziata con cinque operatori e da uno a cinque milioni con procedura negoziata con dieci operatori (e no quindici come previsto dal Dl 76/2020). Si alzerebbero anche le soglie per affidamenti diretti di servizi e forniture fino a 139mila euro e per le procedure negoziate a 239mila euro.

Per quello che riguarda le cosiddette «infrastrutture sociali» (scuole, università, residenze sanitarie o assistenziali, ostelli, residenze per studenti, strutture sportive di quartiere, edilizia residenziale pubblica) sarebbe sempre possibile l’approvazione tramite Scia.

Abbozzata anche una procedura straordinaria in caso di «gravi irregolarità o deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme nazionali o comunitarie o da direttive dell’organo esecutivo». Nelle bozze circolate si attribuisce alla Corte dei conti il potere di fissare un termine adeguato entro il quale l’amministrazione dovrà adottare misure «volte al superamento delle criticità rilevate». Nel caso la criticità persista, segnalazione alla commissione Ue e nomina di un commissario ad acta.