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Aziende sanitarie: lo stress-test delle fusioni rafforza il legame tra top e middle management

Il SSN è caratterizzato da frequenti cambiamenti negli assetti di governance  e organizzativi.  Processi di ristrutturazione, scorpori e fusioni si alternano, nell’uno e nell’altro caso  in nome dell’efficienza  del sistema, ma a volte dettate da  sole ragioni di discontinuità, senza che abbiano potuto prodursi appieno gli effetti attesi dalla penultima “riorganizzazione”.   In questa mutazione continua le organizzazioni vanno inevitabilmente sotto stress,  e a rimetterci  potrebbe essere il cittadino assistito.

La Fiaso ha condotto uno studio sulla governance delle Aziende sanitarie in cambiamento.

Accresce l’attaccamento alle Aziende e la domanda di semplificazione.

E’ quanto emerge dallo  studio. Soddisfatti del loro lavoro e dell’Azienda di cui fanno parte. Poco dispiaciuti per aver dovuto ridurre l’impegno professionale in ambito clinico o amministrativo per assolvere ai compiti manageriali, vogliono contare di più nelle decisioni aziendali e ottenere un adeguato riconoscimento per i risultati raggiunti.

È il ritratto, lontano dall’immagine di diffusa demotivazione prevalente nel dibattito pubblico, dell’esercito dei dirigenti sanitari, tecnici e amministrativi, il middle management che mostra un significativo attaccamento alle Aziende e mette le gambe alle strategie di un top management alle prese con la gestione sempre più complessa generata dai processi di fusione, in uno scenario di costante cambiamento. Al termine di un percorso che vede il 74% di top e middle management alla ricerca di maggiore semplificazione.

A descrivere complessità e percorsi di adattamento di top e middle management ai processi di trasformazione della nostra sanità è lo studio “Governare le Aziende sanitarie in cambiamento”, condotto da Fiaso, la Federazione delle Aziende sanitarie ed ospedaliere e curato da Mario Del Vecchio, professore di economia aziendale all’Università di Firenze e Anna Romiti, ricercatrice e professoressa aggregata di Economia e gestione delle imprese all’Università di Firenze. Un lavoro, presentato al Forum Risk Management 2020 e condotto sul campo, andando a testare la capacità di adattamento delle Aziende quando, “come sta accadendo negli ultimi anni, cambiano significativamente dimensione e si trovano a operare in sistemi che spostano il loro baricentro verso il livello regionale”. La ricerca ha preso in esame tre grandi Aziende, nate da recenti fusioni in contesti urbani: la Asl Città di Torino, l’Ausl Toscana Centro e la Asl Roma1. Realtà sottoposte a uno stress test da fusione, al quale si è poi aggiunto quello imposto dell’emergenza pandemica, “nel corso della quale – spiega il Presidente Fiaso, Francesco Ripa di Meana – molte Aziende hanno tenuto proprio perché i loro DG sono stati in grado di “esserci”, di orientare gli sforzi, di rappresentare un collante per organizzazioni che correvano il rischio di essere sopraffatte dalle incertezze dell’ambiente e disgregate dalla inevitabile rottura degli ordinari meccanismi di gestione. Si è trattato di un ruolo che non poteva godere delle luci della ribalta, quelle che nel bene e nel male hanno illuminato i primi piani di molti protagonisti, politici o professionisti che fossero. A volte il copione ha addirittura suggerito un vero e proprio passo indietro, per lasciare il timone operativo ai “direttori della produzione”. Senza eccessivi clamori questi DG si sono assunti delle responsabilità, hanno corso dei rischi, a volte hanno sbagliato, ma è anche per merito loro che risultati importanti sono stati raggiunti”. Per Ripa di Meana di tutto ciò “è necessario che il sistema prenda atto, per almeno due motivi. Il primo è che se la scarsa visibilità è parte del ruolo, non è pensabile che ai DG, e al top management nel suo insieme, rimanga solo l’onere dei rischi degli errori. Non è soltanto una questione di equità; in queste condizioni finiscono per prevalere atteggiamenti e comportamenti difensivi che priveranno le Aziende di energie fondamentali, realizzando così facili profezie auto-avverantesi sulla scarsa utilità del management. Il secondo è che nella formazione, selezione e valutazione dei DG, le capacità legate a quella che in termini molto semplificati potrebbe essere definita come leadership, dovrebbero essere adeguatamente tenute in considerazione”. Ragioni per le quali è “giunto il momento di riprendere un dibattito sulle diverse responsabilità e su come devono articolarsi nelle Aziende sanitarie pubbliche del futuro”. Secondo Ripa di Meana, la plasticità e la capacità di adattamento dimostrate dalle Aziende “devono renderci più coraggiosi nel perseguire scelte che valorizzino le differenze e rendano permanenti gli strumenti di flessibilità; la crescita delle relazioni tra le Aziende nei contesti delle holding regionali deve far tesoro di questa plasticità e non ingabbiarla in scelte rigide, puntando più sulla condivisione delle linee strategiche, esaltando la potenzialità delle singole Aziende, in rete fra loro, evitando la nascita di nuove gerarchie decisionali che porterebbero indietro i sistemi regionali verso una nuova burocratizzazione”. Infine, secondo Ripa di Meana, nella emergenza da COVID-19 la pressione esterna “ha travolto gli assetti organizzativi, le procedure, gli steccati disciplinari e professionali, le resistenze a difesa di vantaggi individuali”. La fase di ricostruzione/riassetto che caratterizzerà il prossimo futuro “dovrà lasciare adeguati margini di autonomia alle Aziende e al loro management nel definire coerenti schemi e strutture di funzionamento”. Gli investimenti di risorse umane ed economiche, dopo anni di contrazione, dovranno “rappresentare un passo verso i servizi del futuro, che non potranno svilupparsi ed evolvere con le regole e le rigidità del passato”.

La percezione del cambiamento nel middle management

Ma come hanno percepito il processo di cambiamento i “direttori della produzione”, il middle management che ne è stato co-protagonista?

Da un lato il 64% percepisce l’apprezzamento da parte dei clinici del proprio ruolo manageriale, smentendo il luogo comune di una dicotomia che sembra trovare poche conferme sul campo. E il 78% del middle management esprime complessivamente soddisfazione per il proprio lavoro e senso di appartenenza aziendale (soddisfacente per il 66% degli intervistati). Però solo il 31% dichiara di esercitare un’influenza sulle decisioni aziendali. Così come solo il 39% si ritiene soddisfatto dei riconoscimenti per i risultati ottenuti.

Alta però risulta la dedizione al lavoro, con il 92% del middle management motivato nel formare il personale, l’83% che giudica molto validi e competenti i colleghi con i quali è in contatto e un buon 76% che nonostante le pressioni per rispettare gli obiettivi di budget non ha mai pensato seriamente di lasciare l’Azienda. Anche perché solo il 39% fa fatica a rendere compatibili le esigenze manageriali con quelle professionali, siano esse cliniche o tecnico-amministrative e un ancor più modesto 37% si è detto dispiaciuto per aver dovuto ridurre il proprio impegno nelle attività professionali a favore di uno maggiore richiesto dalla componente manageriale. Un insieme di elementi che concorre a definire un quadro di attaccamento all’Azienda molto lontano dall’immagine di un rapporto logorato e di una diffusa demotivazione, prevalente nel dibattito pubblico sulle Aziende sanitarie e sulla pubblica amministrazione.

Il peso della burocrazia è però aumentato per il 74% degli intervistati, così come la pressione per il raggiungimento dei budget, segnalata dal 68% dei manager.

I cambiamenti post-fusione

La ricerca analizza poi i principali cambiamenti imposti dalle fusioni nella struttura organizzativa, che variano da Azienda ad Azienda.

Così la Asl Roma 1 segnala un “maggiore contributo e supporto degli staff al vertice e alle funzioni di governo”, con una più netta separazione tra questa e “l’area di risposta ai bisogni”. Mentre nel rapporto Staff-amministrazione si è avuta una “concentrazione delle funzioni di supporto” con la creazione di un nuovo dipartimento per lo sviluppo organizzativo. Sul piano operativo poi si è invece molto puntato sulla trasversalità e continuità nel rapporto ospedale-territorio.

La Città di Torino ha invece optato per l’allargamento e la riconfigurazione del vertice strategico con l’introduzione di ruoli di coordinamento e con mandati ad hoc. Riguardo al rapporto staff-amministrazione si è proceduto a una divisionalizzazione delle funzioni di supporto, mentre sul piano operativo la scelta è stata quella di separare ospedale e territorio con “Strutture semplici trasversali sui distretti”.

La Ausl Toscana centro riguardo l’area del governo aziendale ha invece optato per una più compiuta divisionalizzazione, “che ha spostato la gestione della complessità interna sulle linee operative”, decongestionando le funzioni del vertice strategico. Nel rapporto staff-amministrazione si è andati nella direzione di una maggiore specializzazione delle linee amministrative con l’inserimento di nuovi staff. Sul piano operativo si è invece puntato su “trasversalità e continuità tra ospedale e territorio”.

La percezione condivisa dall’88% dei middle manager è che la gestione delle fusioni abbia comportato comunque un aumento significativo della complessità gestionale e solo il 34,7% crede a una semplificazione una volta terminato il processo di fusione. Anche se poi quasi all’unanimità (oltre il 90%) ritiene che l’esigenza di cambiamento sia un elemento costante dello scenario nel quale operano le Aziende sanitarie.

Plasticità aziendale e ruolo dei Dg

Le dinamiche di aggiustamento messe in moto dalle fusioni hanno avuto ripercussioni diverse su top e middle management. “Nel primo caso – scrivono i curatori dell’indagine Del Vecchio e Romiti – la ricerca ha mostrato la capacità del top management, pur nel perimetro di strutture immutate, di rimodellare le proprie condizioni di funzionamento, adattandole ai diversi contesti, anche in relazione alle proprie specifiche visioni. Si tratta di una plasticità finora poco considerata a causa della rigidità degli assetti istituzionali pubblici e che si riflette in vere e proprie strategie di governance che le direzioni generali sono state in grado di adottare. Se strutture e meccanismi di governo delle Aziende sono in larga parte predefiniti, il cambiamento di dimensione ha comunque consentito un ripensamento e una migliore focalizzazione del funzionamento del vertice attraverso una serie di elementi (distribuzione del potere, ruolo degli staff, cooptazione ecc.) che nel loro insieme, e per la loro coerenza, si configurano come assetti effettivi di governo”. Nel caso del middle management “le possibili ipotesi in grado di spiegare le ragioni di una, per certi versi sorprendente, mancanza di tensioni sul ruolo sono meno chiare.

Qui la risposta a un possibile aumento di complessità derivante da una dimensione più ampia sembra essere stata relativamente semplice, limitandosi a una diversa distribuzione del tempo tra attività professionali e attività manageriali. La possibilità che un mero adattamento quantitativo possa avere risolto il problema di come bilanciare offerta (del middle management) e domanda (dell’Azienda) di capacità e impegno gestionale è un risultato che dovrà essere meglio indagato, soprattutto in assenza di tracce evidenti di qualche difficoltà, se non nella situazione presente, almeno nella transizione da uno stato all’altro”.

Le conclusioni ricollocano comunque il Dg al centro del villaggio. L’appartenenza aziendale, che tanto ha contribuito a superare i mille ostacoli frapposti dall’emergenza da COVID-19, passa dunque attraverso un rapporto più stretto tra direzioni e middle management, nel quale risiede anche la possibilità di generare e stimolare il senso di vicinanza alla Azienda.  “In una differente prospettiva – è la conclusione della ricerca – non sarebbero tanto l’appartenenza o la vicinanza del professionista all’Azienda a essere messe in discussione, quanto la legittimazione del top management rispetto all’Azienda stessa”.