Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Appalti e Coronavirus

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

I contratti pubblici nel I quadrimestre 2020 e la spesa specifica per l’emergenza sanitaria

Il mercato dei contratti pubblici subisce complessivamente , a causa del Covid-19, la prima flessione dopo 3 anni di incremento: il valore economico delle gare cala più del loro numero, aumentano tuttavia per numero i contratti per le forniture, con prevalenza di procedure derogatorie in urgenza.  Le procedure avviate prima e durante l’emergenza non subiscono uno stop. Il tasso di gare annullate è in linea con gli anni precedenti.  La spesa specifica per l’emergenza  sanitaria ammonta per il periodo marzo-aprile 2020 a quasi 5,8 miliardi di euro ed è gestita per il 78% a livello centralizzato.  Al 93% fuori dall’evidenza pubblica.

I dati emergono dal rapporto quadrimestrale dell’ANAC relativo alle procedure di affidamento perfezionate di importo pari o superiore a 40.000 euro nel periodo gennaio- aprile 2020,  e da una indagine sulla spesa specifica per la pandemia del periodo mrzo-aprile 2020

Andamento generale degli appalti

Nel periodo di riferimento, si registrano 48.792 lotti di gara avviati, per un importo complessivo a base d’asta pari a 46,2 miliardi di euro, in calo rispettivamente del -3,9% e del -17,5% rispetto all’analogo periodo del 2019. Se si eccettua il 3° quadrimestre 2018 in cui ci fu un calo nel valore delle gare, è la prima volta dal 2017 che si verifica una diminuzione tendenziale nelle gare pubbliche. Se guardiamo alla tipologia di contratto (lavori, servizi, forniture), vi è stato un calo generalizzato sia nel numero di procedure che nel valore, ad eccezione del numero di forniture che è cresciuto del 25,7%, come probabile conseguenza della corsa all’acquisto di farmaci, mascherine, DPI, strumentazioni ospedaliere etc. nel pieno dell’emergenza Covid-19. Per quanto riguarda la scelta del contraente, si conferma una prevalenza delle procedure “derogatorie”: 2 gare su 3 sono aggiudicate tramite affidamento diretto o procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando, per un valore complessivo pari a circa un terzo dell’intero mercato. Infine, è stato approfondita la situazione di quelle procedure che, a fine aprile, non risultavano “perfezionate”, per le quali cioè non era stato ancora pubblicato il bando, o inviata la lettera d’invito o emessa la determina a contrarre: l’obiettivo era capire se queste procedure, avviate poco prima o durante il lockdown, avessero dato luogo a gare vere e proprie o fossero state annullate a causa dell’emergenza. La percentuale di mancato perfezionamento si è rivelata in linea (circa 10%) con quella storica, segno che le Amministrazioni hanno continuato ad operare pur nelle enormi difficoltà del periodo.

Dal raffronto emerge quindi che, rispetto ai dati presentati nel documento “L’Autorità e l’emergenza COVID-19”, quasi il 90% dei lotti che, all’epoca, risultavano ancora in lavorazione, sono stati poi perfezionati nei 4 mesi successivi contestualmente alla progressiva uscita dalla situazione di lockdown: il tasso di perfezionamento è assolutamente in linea con quello storicamente riscontrato nei periodi di operatività ordinaria.

I dati che seguono riguardano  le procedure di affidamento di importo uguale o superiore a 40.000 euro nei settori ordinari, nel periodo gennaio-aprile 2020. 

Le forniture, con 18.461  CIG perfezionati, pari al 37,8% del totale, rappresentano la tipologia di affidamento numericamente prevalente.  Stesso andamento in termini di valore. 17, 6 miliardi di euro, pari al 38% del totale. Nello stesso periodo sono stati perfezionati 9.255 CIG di lavori e 14.032 CIG di servizi. I valori corrispondenti sono stati rispettivamente di 6,2  e 13,9 miliardi di euro.

Raffronto 2019 -2020

Per tutte le tipologie di contratto i CIG perfezionati nel gennaio aprile 2020 sono stati 41.748, il 2,5% in meno dello stesso periodo del 2019 (42.798).  Più marcato il differenziale in meno in termini di valore: 37,6 MD contro 46,7 MD  (-19,3%)  Crescono i CIG relativi alle forniture (18.461 contro 14.077 (+31,1%), a fronte di una sensibile contrazione in termini di valore: 17,6 MD contro 22,6 (-22%)

Relativamente alle fasce di importo, si contrae la fascia tra 40.000 e 150.000 euro, sia in termini di numero di procedure che di valore (rispettivamente – 10,6% e – 8,2%), mentre crescono in numero e in valore le fasce tra 150.000 e 5.00.000 di euro.  Crollo del 40% dei contratti di valore superiore a 25.000.000 di euro.

Circa le tipologie di procedura, si dimezzano in termini di valore le procedure aperte, mentre incrementano del 48,8% le procedure negoziate senza bando, per un valore che supera i 10 MD. Gli affidamenti diretti incrementano in termini di valore del 21,1%. La correlativa rilevante diminuzione numerica dei CIG ( – 44,5% ) evidenzia il sensibile incremento del valore unitario di tali  affidamenti. 

La sanità pubblica contrattualizza,   nel periodo di riferimento,  6,4,  MD  così distribuiti:  Agenzie Regionali Sanitarie 0,3 MD – ASL  3,1 MD – Aziende Ospedaliere 1,4  MD –  Centrali di committenza/settore sanità  1,6 MD. 

La spesa specifica per l’emergenza nel periodo marzo-aprile 2020

La spesa complessiva individuata ammonta per il periodo marzo-aprile 2020 a quasi 5,8 miliardi di euro, derivante per il 94,1% da procedure di importo pari o superiore ai 40.000 euro (CIG) e per il 5,9% da procedure di importo inferiore ai 40.000 euro o sottoposte soltanto agli obblighi di tracciabilità (smart-CIG). Il numero totale di procedure di affidamento o acquisto ammonta ad oltre 61.431, rappresentato per il 94,1% da procedure assoggettate ai soli obblighi di tracciabilità e per il 5,9% da procedure d’appalto di importo pari o superiore ai 40.000 euro. L’analisi per tipologia di contratto mostra che l’82% delle procedure riguarda acquisti di forniture che rappresentano anche il 95,3% del valore complessivo.

La distribuzione per categoria merceologica mostra che il 54% della spesa complessiva è riconducibile all’acquisto di mascherine (cui corrisponde un valore di oltre 3 miliardi di euro); il 21,9% della spesa (corrispondente a circa 1,3 miliardi di euro) è attribuibile alla fornitura degli altri dispositivi di protezione individuale (camici, tute, calzari, ecc.). Il 7,3% della spesa è poi riconducibile all’acquisto di ventilatori polmonari e forniture per l’ossigenoterapia ed il 3,1% a tamponi e test diagnostici del Covid-19.

Spesa per settore di appartenenza della stazione appaltante

Il 42,3% del valore complessivo (pari ad oltre 2,4 miliardi di euro) è stato speso da stazioni appaltanti appartenenti al Settore degli Organi Centrali, nell’ambito del quale la quasi totalità della spesa è attribuita al Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid19, che ha effettuato affidamenti per circa 2,05 miliardi ed al Dipartimento della Protezione Civile, per una spesa di circa 332 milioni di euro. Il 31,8% della spesa complessiva (pari a 1,8 miliardi di euro) è rappresentata dal Settore della Sanità, mentre il 19% (oltre 1 miliardo di euro) è rappresentata da Centrali di Committenza (non rientranti nel settore sanità): oltre il 60% della spesa di quest’ultimo settore è rappresentata da Consip spa (cui corrisponde un valore di quasi 660 milioni di euro).

La distribuzione della spesa in relazione agli strumenti di acquisto utilizzati

Non essendo rilevata tale informazione in caso di acquisizione di uno smartCIG, questa specifica analisi è effettuata soltanto per i 4.863 contratti identificati da un CIG ordinario, per una spesa complessiva di quasi 5,5 miliardi di euro. Il 60,4% della spesa (circa 3,3 miliardi di euro) deriva da contratti d’appalto; il 37,6% deriva dall’utilizzo di strumenti di aggregazione della domanda (il 29,8%, da accordi quadro ed il 7,8% da convenzioni). Infine l’1,8% della spesa è rappresentato da contratti discendenti da accordi quadro/convenzioni, corrispondenti al 9,4% del totale delle procedure avviate.

Come presumibile, la quasi totalità delle procedure tracciate da smartCIG è rappresentata da un affidamento diretto (92,8%) corrispondente all’87,7% del valore complessivo delle procedure sottoposte alla sola tracciabilità. Le adesioni identificate da smartCIG rappresentano l’1,3% corrispondente al 2,1% della spesa tracciata tramite smartCIG.

Dei contratti identificati con CIG ordinario, quasi il 93% della spesa è stato affidato mediante procedure che non prevedono evidenza pubblica: il 77,8% mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando ed il 15,1% mediante affidamento diretto.

Approfondendo l’analisi per classe d’importo dei soli contratti affidati con procedure che non prevedono la pubblicazione di un bando (affidamenti diretti e procedure negoziate senza bando), emerge che sebbene numericamente il 67,3% di esse (pari al 3,2% del valore) è di importo inferiore ai 150.000 euro, l’80% della spesa complessiva corrispondente alle due tipologie di procedure è rappresentato da appalti di importo superiore ai 5 milioni di euro.

La distribuzione della spesa in relazione alla capacità di aggregazione degli acquisti

Al fine di calcolare il valore complessivo della spesa derivante dall’utilizzo di strumenti di centralizzazione sono state prese in esame, oltre a tutte le procedure avviate nei mesi di marzo e aprile 2020 tramite gli strumenti di accordo quadro e convenzione, anche tutte le adesioni avviate nello stesso periodo e discendenti da accordi quadro/convenzioni pubblicati precedentemente al periodo in esame. La spesa derivante dall’utilizzo di strumenti di centralizzazione è pari 2,16 miliardi di euro, pari al 37,3% deltotale della spesa relativa all’emergenza (5,8 mld). Tuttavia, si deve anche considerare che una quota significativa della spesa sostenuta per far fronte all’emergenza è rappresentata dalle procedure di affidamento avviate dal Commissario Straordinario per l’emergenza e dal Dipartimento della Protezione Civile, che complessivamente ammontano a quasi 2,4 miliardi di euro, pari al 41% del totale della spesa relativa all’emergenza. Sebbene tali procedure siano state svolte come contratti d’appalto (e quindi non classificate come strumenti di aggregazione della domanda), esse rappresentano acquisti effettuati a livello centrale ma destinati a soddisfare le esigenze di carattere nazionale. Sulla base di questo presupposto, l’ammontare della spesa centralizzata sale a più di 4,5 mld di euro, pari al 78,4% del totale.

A livello territoriale, le regioni con il più alto grado di incidenza di ricorso all’utilizzo di strumenti di centralizzazione sono la Toscana, in cui per ben il 93,7% della spesa complessivamente sostenuta per l’emergenza si è fatto ricorso alle procedure di centralizzazione, e la Lombardia, in cui la spesa per approvvigionamenti centralizzati rappresenta l’80,9% della spesa complessiva regionale; seguono Liguria con un’incidenza pari al 76,8%, la Campania con il 74,6%, il Piemonte con il 74,1% ed il Veneto con il 67,3%.

Nell’ambito dell’analisi sulla centralizzazione degli acquisti, è interessante esaminare anche l’attività complessiva (in termini di spesa) delle Centrali di Committenza e Soggetti Aggregatori, rappresentata oltre che dalla spesa riconducibile ad accordi quadro e convenzioni avviati, anche dall’ammontare degli acquisti effettuati mediante altre fattispecie contrattuali: spesso infatti le centrali di committenza svolgono gare di appalto per conto di altre singole stazioni appaltanti. Il valore complessivo delle procedure di affidamento avviate da Centrali di committenza e soggetti aggregatori nel periodo emergenziale ammonta a quasi 2 miliardi di euro, pari al 34,5% della spesa complessiva sostenuta per far fronte all’emergenza.

A livello territoriale, la Toscana e la P.A. di Bolzano, sono le regioni caratterizzate dalla maggiore incidenza dell’attività delle centrali di committenza: rispettivamente il 90,7% e l’89,6% della spesa sostenuta per fronteggiare l’emergenza è stata commissionata da centrali di committenza regionali, con la distinzione che la Toscana è caratterizzata dalla netta prevalenza di strumenti di aggregazione della domanda, mentre per la P.A. di Bolzano non sono state rilevate procedure avviate come accordi quadro e convenzioni, ma sembrerebbe piuttosto prevalere il ricorso a centrali di committenza per appalti “su delega”. Seguono, per incidenza di spesa appaltata da centrali di committenza, il Veneto con il 77,5%, la Liguria con il 76,9%, la Lombardia con il 75,1% e la Campania con il 71%. In generale è possibile constatare un’evidente disomogeneità tra le varie Regioni, con ben 7 di esse che hanno fatto ricorso alle centrali di committenza e ai soggetti aggregatori regionali per meno dell’1% della spesa, e 8 che vi hanno fatto ricorso per più del 50%.

La distribuzione della spesa su base regionale e relativi indicatori

Il 55,6% della spesa connessa all’emergenza è stato impegnato a livello centrale, con il 24,2% del totale delle procedure avviate, mentre il restante 44,4% della spesa è stato sostenuto dalle Regioni, pari a circa il 74% degli affidamenti effettuati. Le Regioni che hanno sostenuto la maggiore spesa sono la Lombardia (6,8% della spesa nazionale complessiva), la Toscana (6,5%), Emilia (6,1%), la Campania (5,8), il Piemonte (4,1%) ed il Veneto (3,2%).

La distribuzione regionale della spesa per categoria merceologica.

La quota maggiore di “mascherine” e “ventilatori/ossigenoterapia” è stata acquistata a livello centrale (75,9% della spesa per le prima e 58,1% di spesa per la seconda categoria). Con riferimento alle mascherine, le regioni che hanno speso maggiormente sono la Toscana (212.166.888 euro, pari al 6,8%) e la Campania (127.842.878 euro, pari al 4,1%); per ventilatori e strumenti per l’ossigenoterapia, invece, la Campania è la regione che ha sostenuto la maggior spesa (69.770.528 euro, pari al 16,5% del totale speso per questa categoria merceologica), seguita da Toscana (32.955.118 euro, pari al 7,8%) e Lombardia (17.773.690 euro, pari al 4,2%). Per tutte le altre categorie merceologiche, oltre il 50% degli acquisti, in termini di spesa, è stato effettuato a livello regionale. Nel dettaglio, per i dispositivi di protezione diversi dalle mascherine, il 66,3% della spesa è attribuito alle Regioni. Il valore più alto spetta all’Emilia Romagna (215.476.328 euro, pari al 17%), seguita dalla Lombardia (con una spesa di 206.924.333 euro, pari al 16,3%) e Piemonte (123.720.639 euro, pari al 9,7%). L’acquisto di tamponi, test e strumenti per la diagnosi è stato effettuato quasi totalmente dalle Regioni (ben il 95,4%). Anche in questo caso, la spesa maggiore è stata sostenuta dall’Emilia Romagna (32.207.301 euro, corrispondente al 18% del totale della spesa sostenuta per la categoria). Seguono Veneto con 23.802.114 euro, pari al 13,4%, Piemonte con 13.698.210 euro e pari al 7,7%, Lazio con 13.419.594 euro, corrispondente al 7,5%, Campania, con 11.288.496, pari al 6,4% e Toscana con 10.764.654 euro, pari al 6,1%.

Infine, l’acquisto per prodotti igienizzanti e gli affidamenti per i servizi/lavori connessi alla sanificazione sono stati effettuati a livello regionale rispettivamente per circa il 60% ed il 55%. Con riferimento alle forniture di prodotti igienizzanti, la Lombardia ha effettuato la spesa maggiore (3.757.838 euro, pari al 12%), seguita dal Piemonte (3.401.715 euro, corrispondente all’11%). Per i servizi o lavori relativi alla sanificazione, la maggiore spesa spetta al Piemonte (con 3.829.835 euro ed il 9,8%), seguono Lombardia (2.697.377 euro, pari al 6,9%), Basilicata (2.464.197 euro ed il 6,3%) e Campania (1.995.532 euro, pari al 5,1%)

Approfondendo l’analisi comparativa territoriale, è stata calcolata la spesa pro capite per regione, ottenuta dividendo la spesa complessiva regionale (intendendo la spesa sostenuta dalle stazioni appaltanti di competenza regionale) per popolazione residente al 31/12/2019. Il valore più elevato è rappresentato dalla Toscana, dove l’emergenza ha pesato su ogni residente per un costo pari a 101,19 euro. A seguire, troviamo l’Emilia Romagna, con un costo di circa 78 euro pro-capite, Liguria con 72 euro, Trento con 70,84 euro, Campania e Friuli, rispettivamente 58,33 e 57,13 euro, Piemonte con 54,61 euro e Bolzano con 48,13. Tutte le suddette regioni presentano una spesa pro-capite superiore al valore medio pro-capite sostenuto a livello regionale, pari a 42,61 euro. Le regioni per cui si rileva la minor spesa pro-capite sono invece il Molise (4,79 euro), la Calabria (8,08 euro), l’Umbria (9,94 euro), la Sicilia (12,70 euro), il Lazio (17,21 euro) e la Basilicata (19,96 euro), tutte con una spesa pro-capite inferiore al 50% della media regionale. La spesa pro-capite della regione Toscana è il valore più elevato rispetto alle altre Regioni, ma è anche superiore alla spesa nazionale pro-capite (riferita cioè alla spesa complessiva sostenuta dalla totalità delle stazioni appaltanti, comprese quelle operanti a livello centrale), pari a 96,11 euro.

La distribuzione della spesa pro-capite per regione mostra un’alta variabilità (con un coefficiente di variazione pari al 63%). Lo scopo, quindi,  è quello di verificare l’esistenza di una possibile correlazione tra la spesa e la struttura demografica della popolazione di ciascuna regione: infatti, almeno nel periodo iniziale di diffusione del Coronavirus, le fasce di età più elevate della popolazione sono risultate quelle più vulnerabili. L’indice di correlazione tra il tasso di vecchiaia e spesa pro-capite, pari a 0,2, indica una bassa correlazione tra i due fenomeni.

Si prosegue lo studio con un’analisi comparativa della spesa “proattiva”, intesa come spesa per l’acquisto di dispositivi di protezione e strumenti per il contenimento della diffusione del virus. A tal fine, è stata considerata la spesa effettuata per mascherine e altri dispositivi di protezione, per strumenti per la diagnosi e per gli affidamenti relativi all’igienizzazione e sanificazione.  Tale distribuzione presenta un coefficiente di variazione elevato (pari a 78%) indicando un’alta variabilità intorno alla media dei valori regionali.

Analisi dei dati rilevati dalle stazioni appaltanti

Particolare attenzione è stata dedicata ai dati relativi ai prezzi unitari a base d’asta e a quelli offerti, alle tempistiche di consegna delle forniture, alle eventuali criticità riscontrate dal committente, all’applicazione di penali, alla verifica dei requisiti del fornitore condotta dall’amministrazione e all’eventuale risoluzione del contratto per inadempimento. Deve evidenziarsi che il contesto emergenziale ha determinato uno stravolgimento del mercato dei dispositivi di protezione individuale, soprattutto negli approvvigionamenti di mascherine protettive, alterandone ogni parametro di riferimento rispetto al contesto commerciale pre-pandemia. La crescita esponenziale dei prezzi registrati nel periodo di picco (marzo-aprile 2020) deriva dall’impennata della domanda a fronte di una ridotta capacità produttiva e da speculazioni di mercato. La variabilità dei prezzi dei DPI ha caratterizzato gli affidamenti in esame sull’intero territorio nazionale. Tendenzialmente non si registrano oscillazioni estremamente significative, indice di anomalie suscettibili di particolari approfondimenti istruttori. In ragione della particolare rilevanza e diffusione degli approvvigionamenti di mascherine, l’attenzione è stata incentrata soprattutto su tali DPI. Non a caso le criticità più diffuse si sono registrate proprio su tali dispositivi di protezione (48,72%), soprattutto per ciò che attiene alla tempistica di consegna dei prodotti. A seguire in ordine di criticità sono gli altri DPI (16,8%), i tamponi e reagenti (13,11%), i ventilatori polmonari e l’ossigeno (16,67%), i disinfettanti (9,09%) e altre categorie (7,61%).

In genere i prezzi unitari delle mascherine ffp2 (le più richieste) oscilla tra € 2,20 (PCM-Protezione Civile) e € 7,50 (Regione Lazio), mentre quelle chirurgiche in genere presentano un prezzo unitario che oscilla tra € 0,50 e 0,70. In ordine al rispetto della tempistica di completamento delle forniture si è notato che nella maggior parte dei casi il termine contrattualizzato è stato rispettato dai fornitori. Tuttavia, nei casi in cui è emerso uno sforamento della tempistica di consegna si è trattato per lo più di un ritardo contenuto, tollerato dal committente, e generalmente il ritardo ha trovato giustificazione in cause non sempre dipendenti dal fornitore, quali i blocchi doganali vigenti, trasporti (soprattutto aerei) compromessi dalle restrizioni del periodo emergenziale, ridotta capacità produttiva, carenza di materie prime e altre criticità legate al momento di diffusa crisi a livello mondiale. Non sono tuttavia mancate misure sanzionatorie adottate in alcuni casi, accompagnate dalla risoluzione del contratto per inadempimento. I ritardi registrati in media si assestano in circa 15/25 giorni. In una limitata casistica, inoltre, oltre al ritardo è stata segnalata la mancata consegna, totale o parziale, della fornitura, cui ha fatto seguito la risoluzione contrattuale attivata dal committente. Altre criticità di rilevo riguardano l’esito negativo delle verifiche sul possesso dei requisiti di ordine generale ex art. 80 d.lgs. n. 50/2016 che, in applicazione delle vigenti disposizioni, hanno indotto le amministrazioni appaltanti a procedere con i consequenziali provvedimenti espulsivi e di segnalazione all’Autorità nonché, laddove previsto dalla lex specialis di gara, all’applicazione di penali. In un circoscritto campione di affidamenti è stata rilevata la sopravvenuta necessità di aumentare i volumi della fornitura per esigenze sanitarie con conseguente modifica contrattuale in aumento. In altri casi, ancor più limitati, si è registrata invece la tendenza inversa, ossia l’azzeramento o la riduzione della fornitura (soprattutto di apparecchiature medicali) per sopravvenuto ridotto fabbisogno. Al riguardo si ritiene che tali variazioni siano fisiologiche all’impossibilità di programmare con adeguato anticipo l’approvvigionamento di forniture, stante l’oscillazione imprevedibile del contagio nel periodo di riferimento. Nell’ambito della casistica sottoposta ad esame si rivelano, altresì, procedure andate deserte, affidamenti revocati, difformità qualitative e/o quantitative delle forniture contrattualizzate, procedure annullate per riscontrata inaffidabilità dell’offerente (che non ha fornito idonee garanzie di competenza, nonché di solidità finanziaria) e/o dei prodotti offerti (carenze documentali delle schede tecniche dei dispositivi offerti), verifiche dei requisiti non eseguite o eseguite ex post, forniture non certificate CE, CIG da escludere dal campione di indagine perché riferiti a forniture non riconducibili all’emergenza Covid19. In alcuni casi la gara è risultata ancora in corso ed in altri risulta invece che alcune fasi finali della procedura di affidamento (ad es. verifica dei prescritti requisiti in capo all’affidatario) sono ancora in corso. In limitati casi la disamina effettuata ha rivelato criticità che suggeriscono di fare approfondimenti istruttori, in altri non sono stati forniti nella scheda i dati richiesti e per altri ancora non risulta pervenuta risposta da parte della stazione appaltante. Con riguardo alle segnalazioni pervenute, le criticità emerse, pur se in genere legate a specifici aspetti di interesse dell’esponente, ripropongono in gran parte quelle riscontrate nel corso della valutazione delle risposte fornite dalle stazioni appaltanti coinvolte nell’indagine. In particolare, relativamente alla fase di affidamento gli esponenti contestano il costo eccessivo di alcune forniture (prevalentemente mascherine edaltri DPI) rispetto ai prezzi correnti, gli affidamenti diretti in assenza di indagini di mercato e di una, seppur minima, competizione tra gli operatori del settore, nonché il mancato possesso da parte dell’affidatario della commessa dei necessari requisiti di ordine generale o speciale. Relativamente alla fase esecutiva si rilevano in particolare contestazioni inerenti gli inadempimenti degli affidatari alle disposizioni contrattuali, i ritardi e la scarsa qualità delle forniture o l’assenza di idonee certificazioni che certifichino l’idoneità dei prodotti forniti.

Analisi complessiva della spesa relativa agli affidamenti connessi all’emergenza Covid19 su base nazionale e regionale

Le analisi sulla spesa complessiva per fronteggiare l’emergenza Covid-19 evidenziano il ruolo chiave svolto dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica, che come stazione appaltante ha gestito procedure per un valore pari a poco più di un terzo (35%) della spesa nazionale: se a questo dato sommiamo l’importo delle procedure svolte dal Dipartimento per la Protezione Civile, osserviamo come il 41,1% della spesa nazionale (circa 2,38 mld di euro) sia passata attraverso questi due soggetti i cui affidamenti, seppur effettuati a livello centralizzato, hanno avuto impatto sulle esigenze di tutta la popolazione italiana.

Gli acquisti a livello centralizzato si sono concentrati soprattutto nell’acquisto di “mascherine” (per il 75,9% della spesa nazionale) e di “ventilatori e altri strumenti per ossigenoterapia” (per il 58.1%), ossia nei settori cruciali della fase più drammatica dell’emergenza anche dal punto di vista delle difficoltà di approvvigionamento. Per le altre categorie merceologiche oggetto dell’indagine, invece, sono state le Regioni a farsi carico della quota maggioritaria della spesa.

Esaminando la distribuzione delle procedure in base alla scelta del contraente utilizzata, escludendo le procedure caratterizzate dall’acquisizione di uno smartCIG, com’era prevedibile si osserva un massiccio ricorso alle procedure che non prevedono l’evidenza pubblica, utilizzate nell’85% dei casi e per il 93% della spesa complessiva:lo sfruttamento delle deroghe al Dl. Lgs. n.50/2016 concesse con l’Ordinanza del Capo della Protezione Civile n. 630 del 3.2.2020 si manifesta negli importi medi di tali appalti, pari a circa 724.000 euro per gli affidamenti diretti e a 1.410.000 euro per le procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando. Inoltre, sebbene numericamente il 67,3% di esse (pari al 3,2% del valore) sia di importo inferiore ai 150.000 euro, l’80% della spesa complessiva corrispondente alle due tipologie di procedure è rappresentato da appalti di importo superiore ai 5 milioni di euro.

Il ricorso alla centralizzazione degli acquisti si attesta al 78,4% della spesa complessiva, risultato insperato se consideriamo che spesso il ricorso a centrali di committenza e soggetti aggregatori viene visto come causa di complessità e dilatazione dei tempi, laddove in una situazione emergenziale il fattore tempo è di vitale importanza. In tale fattispecie sono state incluse anche le procedure espletate dal Commissario Straordinario per l’emergenza e dal Dipartimento della Protezione Civile che, sebbene siano state svolte come contratti d’appalto (e quindi non classificate come strumenti di aggregazione della domanda), rappresentano acquisti effettuati a livello centrale ma destinati a soddisfare le esigenze di carattere nazionale. Sussiste una forte variabilità a livello regionale, con ben 7 Regioni che hanno fatto ricorso alle centrali di committenza e ai soggetti aggregatori regionali per meno dell’1% della spesa, e 8 che vi hanno fatto ricorso per più del 50%.

Analisi delle criticità rilevate e proposte di attività di vigilanza ed ispettive su affidamenti specifici

Nell’analisi dei dati acquisiti particolare attenzione è stata dedicata alla rilevazione delle eventuali criticità nella fase di affidamento e di esecuzione, oltre ad un particolare focus rivolto al confronto tra i prezzi unitari rilevati.

In particolare, relativamente a tale ultimo aspetto, è emersa un’elevata variabilità dei prezzi, con particolare riferimento a quelli delle mascherine, spiegabile probabilmente solo in parte con le differenze qualitative dei prodotti e con la situazione di mercato generata dall’emergenza sanitaria. Si è comunque potuto osservare che dopo un’iniziale sensibile crescita dei prezzi in corrispondenza del picco emergenziale, si è innescato un processo di stabilizzazione dei prezzi, presumibilmente attribuibile da un lato all’allentamento dello stato emergenziale, dall’altro all’effetto “calmierante” attribuibile alle ingenti quantità acquistate da alcune importanti stazioni appaltanti, tra cui Consip. Sia pur limitatamente a sole due tipologie di mascherine e a un numero di osservazioni non particolarmente elevato, quindi non necessariamente generalizzabile, è comunque degna di nota l’evidenza che i prezzi pagati dalle stazioni appaltanti che hanno fatto istanza di parere di congruità ai sensi dell’art. 163, comma 9, del D.Lgs. 50/2026, presentano valori medi non di poco inferiori a quelli rilevati con l’indagine. Ciò sembra indicare che le Amministrazioni che si sono trovate di fronte alla necessità di effettuare acquisti in estrema urgenza utilizzando l’art. 163 e che hanno comunicato l’affidamento all’Anac  ai fini del parere, sono riusciti ad ottenere prezzi di acquisto anche migliori rispetto alle altre stazioni appaltanti che hanno utilizzato altre procedure. Un risultato apparentemente sorprendente e controintuitivo, dacché ci si sarebbe aspettati esattamente il contrario, ossia prezzi in somma urgenza mediamente non inferiori e anzi, ovviamente entro certi limiti, giustificatamente superiori rispetto a quelli risultanti dalle altre procedure, con differenze via via crescenti in relazione alla maggiore apertura al confronto concorrenziale sotteso alle diverse procedure.

Le principali criticità di ordine generale rilevate negli affidamenti eseguiti in occasione dell’emergenza COVID19 sono state le seguenti:

– variabilità elevata dei prezzi, con particolare riferimento a quelli delle mascherine;

– frequente esito negativo delle verifiche sul possesso dei requisiti di ordine generale (art. 80 del d.lgs. 50/2016);

– frequente inaffidabilità dell’offerente che non ha fornito idonee garanzie di competenza tecnica e solidità economico-finanziaria;

– frequente mancato rispetto dei tempi previsti per il completamento delle forniture;

– frequente mancato rispetto delle condizioni contrattuali relativamente a difformità qualitative e/o quantitative delle forniture  e, talvolta, conseguente risoluzione contrattuale attivata dalla committenza.

È emerso in modo evidente che l’eccezionale richiesta a livello mondiale e l’estrema necessità di acquisire in tempi strettissimi beni e servizi ha spesso determinato un consistente incremento dei prezzi (in particolare mascherine ed altri DPI). In altri casi, la causa del mancato rispetto dei tempi di consegna delle forniture è talvolta derivata da cause oggettive non dipendenti dal fornitore tra cui blocchi doganali e carenza di materie prime per l’eccezionale richiesta a livello mondiale nel periodo emergenziale. E’ da evidenziarsi il comportamento di alcuni fornitori che, in assenza dei necessari requisiti di ordine generale o delle idonee garanzie tecniche ed economico-finanziarie hanno comunque proceduto ad acquisire commesse, spesso tramite affidamenti diretti disposti dalle stazioni appaltanti, confidando su superficiali o mancati controlli. Medesimo discorso vale per l’acquisizione di commesse di gran lunga superiori alle reali possibilità d’impresa o in assenza di adeguate certificazioni di conformità dei prodotti alle disposizioni sanitarie in materia o di conformità alle disposizioni contrattuali.