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Concorrenza e “pratiche concordate”

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

Non solo “accordi collusivi”. Le intese restrittive della concorrenza possono concretizzarsi anche in “pratiche concordate”.

I cartelli tra imprese negli appalti pubblici costituiscono una casistica significativa.  La sanità, anche per le caratteristiche specifiche di taluni mercati di riferimento, non ne è immune.  La presenza di mercati “chiusi” (popolati da pochi competitori e con barriere o difficoltà all’entrata),  e, specularmente,  la tendenza della domanda ad aggregarsi, con drastica diminuzione delle occasioni di fornitura  (mega-contratti pluriennali), favorisce pratiche spartitorie. 

Da ricordare che comportamenti anticoncorrenziali sanzionati configurano un “grave illecito  professionale” (art. 80, comma 5, lett. c) del D.Lgs. n. 50/16) e possono determinare, oltre  a sanzioni,  l’esclusione dalle gare di appalto (Corte di giustizia UE – Ordinanza  4 giugno 2019 – Causa C‑425/18)Date anche le conseguenze,  va prestata attenzione al fatto che non solo espliciti specifici accordi possono determinare un comportamento anticoncorrenziale, ma anche pratiche che abbiano l’effetto  di annullare la concorrenza, in quanto non trovino altra logica motivazione.

L’intesa restrittiva vietata può realizzarsi quindi sia mediante un “accordo”, sia mediante una “pratica concordata”.

La pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza.  Lo ribadisce il Consiglio di Stato con sentenza sez. VI, 06.10.2020 n. 5885.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), a conclusione del procedimento istruttorio I796, ha ritenuto che la società KPMG s.p.a. (KPMG), KPMG Advisory s.p.a. (KPMGA), Deloitte Consulting s.r.l. (Deloitte), Deloitte & Touche S.p.a. (D&T), Ernst & Young s.p.a. (EY o E&Y), Ernst&Young Financial Business Advisors s.p.a. (EYFBA), PricewaterhouseCoopers s.p.a. (PWC), PricewaterhouseCoopers Advisory s.p.a. (PCWA) avevano posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente in una pratica concordata avente la finalità di condizionare gli esiti della gara bandita dalla Consip S.p.A. (“Consip”) per l’affidamento dei servizi di supporto e assistenza tecnica per l’esercizio e lo sviluppo della funzione di sorveglianza e “audit” dei programmi cofinanziati dall’Unione europea (gara “AdA”) attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti relativi.

La gara Consip era suddivisa in 9 lotti (7 lotti geografici e 2 lotti dedicati alle amministrazioni centrali) e aveva un importo totale della base d’asta pari a €66.543.720.

Secondo l’Autorità, sarebbe emerso che le parti, coordinandosi a livello di “network”, avevano presentato delle offerte economiche differenziate per i vari lotti in gara, secondo uno schema comune che appariva indicativo di dinamiche concertative, dato che, pur presentando sostanzialmente sempre un’offerta tecnica equivalente tra i diversi lotti, avevano dato luogo, in alcuni, a offerte economiche con ribassi tra il 30 e il 35%, mentre in altri le offerte erano risultate decisamente inferiori (con ribassi del 10-15% circa).

L’AGCM riteneva particolarmente significativa la circostanza per la quale le offerte con sconti più elevati di tali soggetti non si erano mai sovrapposte, per cui tale differenziazione delle offerte economiche non era spiegabile se non nell’ottica di un disegno “spartitorio”, finalizzato ad annullare tra tali soggetti il confronto concorrenziale per ciascun lotto di interesse.

Nella sentenza si legge che “Quanto all’intensità dell’onere probatorio, l’intesa restrittiva vietata può realizzarsi sia mediante un “accordo”, sia mediante una “pratica concordata”, nel cui ambito ben possono essere astrattamente ricondotti i comportamenti imputati alle società nel caso di specie.

Tale ultimo concetto viene generalmente descritto come una forma di coordinamento e cooperazione consapevole (concertazione) tra imprese posta in essere a danno della concorrenza che non richiede, come l’accordo, una manifestazione di volontà reciproca tra le parti, o un vero e proprio piano, tanto è vero che il coordinamento può essere raggiunto attraverso un mero contatto diretto o indiretto fra le imprese (cfr. Corte Giustizia, causa 48/69).

E’ utile ricordare che le pratiche concordate emergono, come concetto del diritto antitrust, in qualità di prove indirette indicative dell’esistenza di un accordo, rappresentando dunque non tanto un’autonoma fattispecie di diritto sostanziale rigorosamente definita nei suoi elementi costitutivi, quanto una fattispecie strumentale operante sul piano probatorio in funzione dell’accertamento di una intesa restrittiva vietata, indicativa dell’esistenza di una concertazione tra imprese concorrenti, le quali, invece, dovrebbero agire autonomamente sul mercato.

Come è già stato messo in luce dalla giurisprudenza, la pratica concordata corrisponde ad una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza, con la precisazione che i criteri del coordinamento e della collaborazione, che consentono di definire tale nozione, vanno intesi alla luce dei princìpi in materia di concorrenza, secondo cui ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato. Devono, dunque, ritenersi vietati i contatti diretti o indiretti aventi per oggetto o per effetto di creare condizioni di concorrenza non corrispondenti alle condizioni normali del mercato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).

Anche secondo la giurisprudenza comunitaria “accordi” e “pratiche concordate” sono forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse si manifestano (cfr. Corte Giust. UE, 5 dicembre 2013, C-449/11P), corrispondendo, in particolare, le “pratiche concordate” a una forma di coordinamento fra imprese che, senza essere stata spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce consapevolmente una pratica collaborazione fra le stesse ai rischi della concorrenza.

Più nel dettaglio, il parallelismo dei comportamenti può essere considerato prova di una concertazione soltanto qualora la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione plausibile. È infatti importante tener presente che l’art. 101 del Trattato, mentre vieta qualsiasi forma di collusione atta a falsare il gioco della concorrenza, non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti. Di conseguenza, nella fattispecie è necessario accertare se il parallelismo di comportamenti non possa, tenuto conto della natura dei prodotti, dell’entità e del numero delle imprese e del volume del mercato, spiegarsi altrimenti che con la concertazione. La stessa Corte di Giustizia, in applicazione del menzionato criterio, ha avuto modo di concludere nel senso che “se la spiegazione del parallelismo di comportamenti basata sulla concertazione non è l’unica plausibile…il parallelismo di comportamenti accertato dalla Commissione non può costituire la prova della concertazione” (Corte di Giustizia, cause riunite C- 23 89/85, C-104/85, C-114/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85 Woodpulp). 

Le condotte delle singole imprese devono essere inquadrate nel contesto complessivo della concertazione e considerate come “tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé, ma come parte di un disegno unitario, qualificabile quale intesa restrittiva della concorrenza” (Consiglio di Stato, 2 luglio 2018, n. 4010).