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La natura intellettuale della prestazione: modalità di individuazione e oneri di sicurezza interna

a cura dell’avvocato Maria Ida Tenuta

Il Consiglio di Stato è tornato ad occuparsi della natura intellettuale della prestazione con la sentenza n. 4688 del 22 luglio 2020.

Come noto, il Codice dei Contratti Pubblici non fornisce una definizione di prestazione di natura intellettuale, ma stabilisce all’art. 95, comma 10, D.Lgs. 50/2016 che l’operatore nell’offerta economica deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto, tra gli altri, il caso di appalti aventi a oggetto servizi di natura intellettuale.

La giurisprudenza ha provato a fornire una definizione di prestazioni di “natura intellettuale” stabilendo, in via generale, che con ciò si intendono quelle prestazioni: i) che implicano attività che richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate e la ideazione di soluzioni progettuali personalizzate (ex multis TAR Lombardia sent. n.1919/2019); ii) che non si esauriscono nel loro carattere “immateriale”, occorrendo che siano prevalentemente caratterizzate dal profilo professionale, ossia da uno specifico apporto personale e professionale del singolo operatore (TAR Lazio 11717/2018); iii) che vengono effettuate con lavoro prevalentemente proprio e, per tale ragione, presentano un’organizzazione di impresa ed un rischio trascurabili (cfr. TAR Piemonte n. 433/2018).

Il Giudice amministrativo ha ritenuto che non sono, quindi, qualificabili come prestazioni di natura intellettuale: i) le attività semplici e ripetitive, che non richiedono un patrimonio di conoscenze specialistiche, che non impongono l’elaborazione di soluzioni ad hoc, diverse caso per caso, per ciascun utente, ma consistono nell’eseguire compiti standardizzati (TAR Lombardia, sent. n. 1680/2019); ii) quelle inserite in una complessa organizzazione aziendale, in cui difetta un apporto personale e professionale del singolo operatore (TAR Lazio, sent. n. 11717/2018).

In tale solco giurisprudenziale si inserisce la sentenza in commento che tenta di fornire, con un apprezzabile sforzo ermeneutico, la definizione di prestazione di natura intellettuale al fine di accertare la sussistenza o meno dell’obbligo di dichiarare gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

In particolare, l’appalto in questione aveva ad oggetto un servizio di soluzione informatica a supporto dell’amministrazione del personale per la pianificazione e consuntivazione del costo del personale.

L’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato la natura intellettuale della prestazione, escludendo ai sensi dell’art. 95, comma 10, D.Lgs. 50/2016, la necessità dell’indicazione dei relativi oneri di sicurezza.

Secondo l’appellante, infatti, le principali prestazioni dell’appalto non presenterebbero natura intellettuale, in quanto non sarebbero mai state qualificate tali dalla stazione appaltante, l’oggetto più rilevante della prestazione sarebbe costituito dall’attività materiale, individuata dalla disciplina di gara, di compilazione dei cedolini, mentre la parte intellettuale della prestazione – consistente nella realizzazione e manutenzione del software – sarebbe del tutto marginale.

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.

Il Collegio in primo luogo sottolinea che, in linea generale, la natura intellettuale della prestazione non è determinata dalla qualificazione effettuata dall’Amministrazione, bensì dalla natura in sé della prestazione stessa.

Il Consiglio di Stato passa, quindi, ad esaminare gli aspetti che connotano la prestazione in questione.

In primo luogo, viene richiamata la giurisprudenza secondo cui le attività che si sostanziano nella realizzazione e messa a disposizione di software vengono considerate attività di natura intellettuale in quanto non comportante rischi specifici per i lavoratori (Cons. Stato n. 223/2017, Cons. Stato n. 2098/2017, Cos. Stato n. 3857/2017 e Cons. Stato n. 3262/2018).

Il Collegio analizza, quindi, in concreto l’attività oggetto della prestazione come individuata dal disciplinare di gara.

Il Giudice stabilisce, quindi, che la prestazione definita dall’appellante quale attività materiale che impedirebbe di considerare tale prestazione di natura intellettuale – ossia l’elaborazione mensile dei cedolini – è comunque connotata da un margine di personalizzazione ed è inserita in un’attività complessiva di natura intellettuale. Non rilevano invece: il valore economico rispetto alla prestazione oggetto del contratto pubblico, il fatto che il corrispettivo sia determinato dalla disciplina di gara in termini forfetari, né che la prestazione venga realizzata da lavoratori subordinati anziché da professionisti autonomi.

Da ultimo, il Consiglio di Stato ricorda che quand’anche nell’ambito delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto sussistano attività di natura materiale ciò non esclude in alcun modo la natura intellettuale della prestazione.

Sul punto il Collegio richiama, infatti, le Linee Guida ANAC n. 13 (relative alla disciplina sulle clausole sociali di cui all’art. 50 del D.Lgs. 50/2016, la cui applicazione è pure esclusa per i “servizi di natura intellettuale”) laddove stabiliscono che, ai fini della qualificazione delle prestazioni di natura intellettuale, non rileva la circostanza che tale prestazione possa implicare o presupporre anche attività di ordine materiale purchè le prime siano prevalenti rispetto alle seconde.  In particolare l’ANAC afferma che il servizio presenta comunque natura intellettuale “nei casi in cui eventualmente in parallelo all’effettuazione di attività materiali, il fornitore elabora soluzioni, proposte e pareri che richiedono una qualificata competenza professionale, prevalente nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse” (Linee Guida ANAC n. 13).

Una volta qualificata come intellettuale la prestazione, la sentenza si occupa di stabilire se debbano essere dichiarati i relativi oneri della sicurezza.

Secondo il Consiglio di Stato l’esonero dall’indicazione degli oneri di sicurezza aziendale discende di per sé, ai sensi dell’art. 95, comma 10, D.Lgs. 50 del 2016, dalla natura intellettuale dell’attività affidata.  Come chiarito dalla giurisprudenza tale disposizione non ha, infatti, carattere innovativo, bensì ricognitivo di un precedente e consistente indirizzo giurisprudenziale secondo cui gli oneri di sicurezza interna non sono configurabili negli appalti concernenti servizi di natura intellettuale (Cons. Stato, n. 3262/2018).

In altri termini, la natura intellettuale del servizio è idonea a sottrare l’appalto di per sé all’applicazione del regime degli oneri di sicurezza e ciò a prescindere dalla circostanza che l’organizzazione della prestazione (intellettuale) possa essere comunque tale da esporre egualmente il prestatore a una qualche forma di rischio. I rischi rispetto ai quali gli operatori economici sono chiamati a garantire apposite cautele mediante la previsione di oneri di sicurezza ad hoc sono infatti quelli che interessano direttamente la prestazione nei confronti della stazione appaltante, non già l’organizzazione a monte apprestata dall’appaltatore.

In conclusione, è possibile affermare che la natura intellettuale della prestazione debba essere accertata di volta in volta, utilizzando i criteri individuati dalla giurisprudenza che, come quella in esame, ritiene particolarmente rilevante l’aspetto dell’apporto personale nella realizzazione della prestazione, seppur eseguita in parallelo ad attività materiali; mentre alcuna rilevanza assume la componente economica della stessa e l’eventuale valore forfetario attribuito dalla disciplina di gara. Dalla natura intellettuale della prestazione discende, inoltre, ex se l’esclusione degli oneri dichiarativi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

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