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Rettifica e soccorso istruttorio dell’offerta economica: differenza, possibilità e limiti

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi

Il TAR Piemonte, con la recente sentenza n. 444 del 5 luglio 2020, si è occupato dei presupposti e dei limiti di operatività della rettifica dell’errore materiale nell’offerta economica, nonché della differenza intercorrente tra tale rettifica e il ricorso all’istituto del soccorso istruttorio.

Come noto, nella materia degli appalti pubblici vige il principio generale della immodificabilità dell’offerta, che è regola posta a tutela della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché ad ineludibile tutela del principio della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale.

In applicazione di tale principio, avente carattere generale, nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta che si sostanziano in meri errori materiali.

Non è consentito, invece, ricorrere all’istituto del soccorso istruttorio qualora sussistano delle carenze o omissioni formali dell’offerta economica (come dell’offerta tecnica) ai sensi dell’art. 83, comma 9, D.Lgs. 50/2016.

Diviene dunque fondamentale stabilire quando l’offerta presenta un errore materiale suscettibile di rettifica e quando, invece, è affetta da una carenza formale che non può essere “sanata” mediante il soccorso istruttorio, pena la violazione del principio di immodificabilità dell’offerta.

La sentenza in commento traccia il confine tra l’errore materiale rettificabile e la carenza formale dell’offerta economica non emendabile.

Nel caso sottoposto all’esame del TAR, il RUP aveva riscontrato nell’offerta economica di una concorrente un prezzo molto basso, tale da rendere insostenibile l’offerta; lo stesso RUP aveva ipotizzato, autonomamente, che il concorrente avesse erroneamente inserito nell’offerta il prezzo riferito alla fornitura di un anno mentre avrebbe dovuto indicare quello relativo a tutta la durata della fornitura, sicché sarebbe bastato moltiplicare il prezzo offerto per tre (tre anni era la durata del contratto) per rettificare l’errore materiale.

Sulla base di tali rilievi, il RUP aveva sospeso la procedura al fine di attivare il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, ex art. 97 D.Lgs. 50/2016, nel corso del quale il concorrente, con apposita comunicazione, confermava di aver erroneamente indicato il prezzo della fornitura di un anno anziché quello relativo a tre anni.

La stazione appaltante ammetteva il concorrente alla gara ritenendo che la detta comunicazione non avesse inciso sull’attività interpretativa dell’Amministrazione, che già autonomamente aveva individuato l’errore materiale, e aggiudicava, quindi, a quest’ultimo la procedura.

La società classificatasi al secondo posto della graduatoria ha impugnato l’aggiudicazione sostenendo che la Stazione appaltante aveva illegittimamente consentito all’aggiudicataria di modificare, in sede di verifica dell’anomalia, il prezzo offerto, che risultava essere troppo basso e rendeva inattendibile la proposta negoziale.

Il TAR ha rigettato il ricorso.

Il Collegio ha ritenuto che non era ravvisabile alcuna modifica dell’offerta, bensì la stazione appaltante aveva rettificato un mero errore materiale.

Secondo il TAR “non si ravvisano omissioni o carenze formali – per le quali, come noto, il legislatore ha apprestato l’apposito istituto del soccorso istruttorio ex art. 83, comma 9 d.lgs. 50/2016 – bensì si riscontra un esempio paradigmatico di lapsus calami, concretantesi in una divergenza tra voluto e dichiarato, immediatamente rilevabile dall’Amministrazione senza necessità di particolari interpretazioni o verifiche del relativo dato”.

In buona sostanza, il TAR Piemonte ha affermato che il principio secondo cui l’errore materiale è facilmente riconoscibile e rettificabile dalla stessa Commissione attraverso elementi diretti e univoci, non essendo necessario attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima o ad inammissibili dichiarazioni integrative dell’offerente; la carenza formale necessiterebbe, di converso, di integrazioni documentali esterne all’offerta, che non sono ammesse nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia, pena la violazione del principio di immodificabilità dell’offerta.

Il Collegio richiama sul punto i principi statuiti dall’Adunanza Plenaria n. 10/2015, secondo cui che deve ritenersi consentita la rettifica dell’offerta economica solo “in caso di errore materiale facilmente riconoscibile attraverso elementi “diretti ed univoci” tali da configurare un errore materiale o di scritturazione emendabile dalla commissione, ma non anche nel caso in cui sia necessario attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima o ad inammissibili dichiarazioni integrative dell’offerente, non essendo consentito alle commissioni aggiudicatrici la modifica di una delle componenti dell’offerta con sostituzione, anche solo parziale, alla volontà dell’offerente” (Adunanza Plenaria n. 10/2015).

Secondo il TAR trattasi di un errore materiale perché il RUP aveva individuato l’errore di calcolo sul prezzo e lo aveva “risolto” autonomamente ossia con una semplice operazione matematica (una moltiplicazione) e  senza ricorrere, quindi, a fonti esterne.

Le considerazioni formulate dalla sentenza in commento trovano, peraltro, ampi riscontri nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’errore materiale dell’offerta consiste “in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione dell’offerta che deve emergere ictu oculi”, pertanto l’errore materiale non comporta “alcuna attività correttiva del giudizio, che deve restare invariato, dovendosi semplicemente modificare il testo in una sua parte, per consentire di riallineare in toto l’esposizione del giudizio alla sua manifestazione” (Consiglio di Stato 1648/2016; ibidem Consiglio Stato n. 1487/2014; TAR Lazio-Roma, n. 1965/2019; TAR Calabria-Catanzaro, n. 338/2018).

A fronte della sussistenza di un errore materiale sussiste quindi, secondo il Collegio, l’onere della stazione appaltante di procedere alla correzione dello stesso e di ricercare l’effettiva volontà del concorrente (ibidem T.A.R. Campania-Napoli 2015, n.5530).

La sentenza afferma principi condivisibili anche se la loro applicazione al caso concreto (ovviamente in base ad un’analisi del tutto esterna) induce qualche perplessità in quanto l’errore materiale consiste in una svista o disattenzione nella redazione dell’offerta che deve emergere ictu oculi e deve essere emendabile senza la ricerca aliunde dell’effettiva volontà del concorrente, laddove nel caso di specie sembra essere risultata decisivo quanto indicato dal concorrente nell’ambito delle giustificazioni.

Per cui è del tutto corretto affermare la doverosità dell’attivazione della stazione appaltante nel caso di errore materiale, e tuttavia il confine di tale obbligo andrà valutato in concreto di volta in volta.

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