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L’avvocato: “Aboliamo il Codice degli Appalti: l’Anac va scissa”

Fabio Cintoli, amministrativista, uno dei massimi esperti di appalti pubblici, capovolge i luoghi comuni e invoca una rivoluzione anti-burocratica: “Più facile che la corruzione si annidi in una gara complessa che in una snella”

 “L’Italia è un Paese che ha elaborato un sistema in cui il giuridico ha prevalso sul politico, in cui la discrezionalità dell’amministrazione è stata mortificata ed è annegata in un mare di regole, vincoli, procedure e controlli, paralizzando lo sviluppo. Troppe leggi, troppi codici e poca attenzione al modo di fare amministrazione”. Fabio Cintioli è professore di diritto amministrativo e avvocato, ex consigliere di Stato e segretario generale dell’Antitrust, è uno dei massimi esperti di appalti pubblici ed è stato chiamato dal Commissario Arcuri a presiedere la commissione che ha selezionato con gara semplificata e di massima urgenza il test sierologico per l’indagine Covid-19. Ha appena pubblicato un libro dal titolo “Per qualche gara in più”, in cui butta giù alcune proposte per non perdere la sfida della ripresa dopo l’emergenza Coronavirus: “Forme snelle di competizione, regime in deroga per almeno due anni, indirizzare le amministrazioni verso l’utilizzo della procedura negoziata e il dialogo competitivo, proteggere chi deve decidere, rivedere il ruolo dell’Autorità nazionale anticorruzione e coinvolgere tutti in un comune e nuovo spirito istituzionale”.

Professor Cintioli, in un momento storico in cui il governo non riesce a trovare un accordo su come semplificare le procedure di questo Paese, non le sembra che il sottotitolo del suo libro “Il labirinto degli appalti pubblici e la ripresa economica” sia un po’ troppo azzardato?

Il labirinto è quello in cui ci trovavamo già quando è arrivata la pandemia. L’Italia deve ammettere di vivere in un eccesso di complicazioni amministrative, direi che noi abbiamo il virus della complicazione, che ha sinora confitto tutti i tentativi di semplificare. Siamo in una situazione senza precedenti, di fronte una alternativa ineludibile: o  riusciamo a fare tutto quel che non siamo riusciti a fare negli ultimi 30 anni o rischiamo di non vincere la sfida della ripresa. Va invertita la rotta rispetto al modello attuale e rivedere  il rapporto tra politica, amministrazione e impresa. Viviamo in uno Stato che troppo spesso mostra un volto punitivo, preconcetto e di  sospetto nei confronti dei suoi “figli”, verso i suoi dirigenti e funzionari. E costoro, a loro volta, verso le imprese.

In che modo va invertita la rotta di cui parla?

Sembrerà banale, ma penso che sia fondamentale una consapevolezza culturale. Non possiamo pensare che la legge sia una cosa che debba prevenire ogni problema e dettagliare i compiti dell’amministrazione. La gara, e la gara più complicata e più complessa, non è una cosa bella di per sé. Può esser cosa buona e giusta anche una trattativa negoziata e diretta se l’amministrazione sa far bene il suo mestiere. Nel libro ho voluto spiegare come sia stato possibile che in Italia si siano moltiplicati i procedimenti, i vincoli, le regole, le cause  in nome della concorrenza prima e dell’anticorruzione poi. Le norme sugli appalti devono, più semplicemente, servire a portarli a compimento.

E sulle proposte concrete?

Penso per esempio a un regime derogatorio eccezionale di uno o due anni per favorire la ripartenza economica. Per i grandi appalti occorre un sistema di gara semplificata. Meno buste segrete, ceralacca e cause di esclusione formali e più discrezionalità delle stazioni appaltanti. Il modello Ponte di Genova significa soprattutto questo. Anche le direttive UE contengono spazi di questo tipo, ma noi non li abbiamo utilizzati. Poi qualche Commissario straordinario potrà esser nominato, ma non possiamo far tutto con i commissari. Negli appalti sottosoglia, quelli di minore entità, si deve dare maggiore libertà e favorire la procedura negoziata con richiesta di preventivi e dialogo diretto con gli aspiranti all’appalto. E a regime abrogare il codice degli appalti pubblici. Si può pensare per esempio a recepire direttamente in legge le direttive Ue con qualche adattamento. Se pensiamo che queste semplificazioni in qualche punto siano in contrasto con le direttive, il Governo si affretti allora a negoziare qualche deroga con l’Unione Europea. Gli Stati generali potranno essere utilizzati anche per questo.

Come si fa allora a contrastare i fenomeni criminali e le infiltrazione mafiose? E garantire che non venga favorita una determinata impresa anziché un’altra?

Non cadiamo negli equivoci. Una gara complicata non è per forza sinonimo di legalità. La corruzione si può sviluppare più facilmente in una gara più complicata piuttosto che in una più snella, dove il dirigente è tenuto ad assumersi responsabilità ancor più chiare sulla scelta. Non serve solo un’amministrazione che faccia vigilanza e controlli, serve prima di tutto un’amministrazione che realizzi gli obiettivi. I controlli antimafia poi restano assolutamente eguali, che si tratti di una gara di tipo europeo od un affidamento diretto: l’appaltatore deve sempre esibire lo screening antimafia della Prefettura.

Nel suo libro dice che va rivisto il ruolo dell’Anac, anche questo concetto è in controtendenza rispetto ai tempi.

L’esperienza Anac iniziata nel 2014 si è perfezionata con la conclusione del mandato attuale. È l’occasione per dire con franchezza che è stato un errore unificare le due funzioni, vigilanza sui contratti pubblici ed anticorruzione, in una sola Autorità. L’interesse forte è prevalso e l’interesse forte, anche mediatamente e politicamente, è quello di prevenire la corruzione. Ma all’Italia serve che si facciano gli appalti, per realizzare opere, far funzionare i trasporti, attivare le mense scolastiche. Poi è stato sbagliato diffondere il messaggio che per combattere la corruzione si debbano evitare procedure dirette e semplificate. Alla domanda concreta “qui più gara o meno gara?” abbiamo sempre risposto “più gara!”. Prima in nome della concorrenza e poi dell’anticorruzione. Dividere nuovamente l’Anac in due autorità, un’agenzia anticorruzione ed un’autorità per la collaborazione (non per la vigilanza, come prima) verso le amministrazioni per “fare” gli appalti, sarebbe il messaggio culturale giusto da dare al Paese.

Non chiediamo troppo alle amministrazioni? Un eccesso di responsabilità?

Ormai la parola burocrazia difensiva è diventata di dominio pubblico. È la paura della firma. E’ anche per questo che invoco un cambiamento di mentalità. Per favorire procedure semplici dobbiamo anche tutelare i nostri funzionari. Oltre alla questione anticorruzione, ho suggerito di eliminare l’incredibile divieto di assicurare i funzionari pubblici e di limitare al dolo l’azione della Corte dei conti, che dovrebbe riscoprire la sua vocazione di giudice speciale di ausilio per l’amministrazione. Penso che anche la magistratura civile e penale, che in Italia vanta professionalità di primissimo piano, debba essere coinvolta in qualche modo in un nuovo spirito istituzionale comune che guardi l’obiettivo storico della ripresa.

In piena pandemia ha presieduto una commissione che ha operato in deroga al codice dei contratti pubblici, in che modo questo modello può essere utilizzato anche altrove?

Era una gara semplificata rispetto ai modelli tradizionali. Buste aperte e comparazione trasparente tra i molti aspiranti, sulla base di poche regole indicate nel bando. Abbiamo chiuso in 4 giorni. È stata un’esperienza concreta che mi ha convinto ancor più delle mie idee.
(fonte: Huffington post)