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Coronavirus/Acquisti COVID, per ottimizzare le risposte di PA e mercato servono rete, collaborazione e coordinamento

Un articolo apparso su Harvard Business Review attacca l’Italia per l’incapacità di ascoltare gli esperti, adottare soluzioni sistemiche e coordinate, imparare dalle esperienze degli altri.
Sebbene l’articolo non affronti specificamente il tema degli acquisti, oggetto di questo approfondimento, va immediatamente messo in evidenza che le problematiche che stanno vivendo i buyer pubblici Italiani, a livello locale, regionale e nazionale sono esattamente le stesse che si stanno verificando negli Stati Uniti, come documentato, tra gli altri, dal Washington Post e Wall Street Journal.
Anche negli Stati Uniti gli ospedali non stanno ricevendo i device necessari per far fronte alla crisi, le scorte strategiche vengono distribuite in modo non uniforme e opaco agli Stati, il governo Federale, Stati e ospedali competono tra di loro per accaparrarsi le forniture con la conseguenza che i prezzi stanno salendo alle stelle e broker non ben identificati proliferano con false promesse. Di fronte a questa situazione da più parti è arrivata la richiesta di attivare il Defense Production Act, che obbligherebbe le aziende produttrici a dare priorità agli ordinativi proveniente dall’Amministrazione e snellirebbe le procedure di acquisto pubbliche e imporrebbe un maggiore coordinamento tra buyer. Allo stato attuale il Presidente Usa si è mostrato riluttante nell’attivare questo strumento, al netto della richiesta fatta a General Motors per la produzione di ventilatori.
Benché i due sistemi sanitari, italiano e americano, siano profondamente diversi, per organizzazione e finanziamento, in questa emergenza i problemi che si presentano sono gli stessi ed è richiesta un’azione pubblica per garantire gli approvvigionamenti critici. L’impreparazione appare palese a livello globale, nonostante l’esistenza di strumenti giuridici, piani contro le pandemie influenzali (in Italia il primo nazionale è stato pubblicato nel 2002), raccomandazioni ripetute dell’Oms. Garantire il coordinamento e la continuità negli approvvigionamenti di Dpi, antivirali e altri materiali è visto come punto critico nelle varie fasi di evoluzione di una pandemia.
Al netto delle problematiche che tutti i Paesi in varia misura si trovano ad affrontare, l’Italia ha potuto “beneficiare”, pur tra le mille difficoltà, di due elementi importanti. Nella disgrazia, il fatto di essere stata colpita prima degli altri ha garantito la fornitura di beni, nei momenti iniziali, grazie a una disponibilità maggiore sui mercati internazionali. Il secondo elemento è la presenza di un sistema centralizzato di acquisti, sia a livello regionale, sia nazionale, già operativo e rodato.
Nonostante i limiti del sistema degli acquisti centralizzato, concepito e gestito in larga misura per conseguire obiettivi di contenimento della spesa, senza sfruttarne appieno, salvo alcune eccezioni, le potenzialità strategiche, esso sta giocando un ruolo fondamentale in un contesto di mercato come quello attuale, in cui sarebbe impensabile che tutte le aziende sanitarie si muovessero in modo autonomo contemporaneamente per tutti i fabbisogni.
Certamente, in un contesto di emergenza di tale portata, sarebbe stato auspicabile un maggior coordinamento centro-territorio, utilizzando strumenti già esistenti quali il Tavolo dei soggetti aggregatori, con lo scopo di individuare, ad esempio, dei “champion” nazionali chiamati a gestire gli approvvigionamenti per determinate merceologie, mediante accordi a livello globale con operatori di mercato qualificati e, per il tramite del Ministero Affari Esteri, con Stati esteri. Oppure definendo un sistema di garanzie di pagamento in grado di superare il problema dell’anticipazione, che è molto rischioso per le singole amministrazioni, specie perché l’emergenza ha esaltato fenomeni di azzardo morale da parte di improvvisati operatori o discontinuità della fornitura.
Queste possibili soluzioni, confermate anche da Corrado Cuccurullo, Presidente e Amministratore Delegato di Soresa spa, storicamente una delle centrali di acquisto più attive e aperte all’innovazione, avrebbero contribuito ad evitare una frammentazione della domanda. Un problema di non poco conto, come già discusso nell’articolo Dopo il Covid-19: spunti per ripensare il procurement sanitario in ottica strategica, ed evidenziato da più multinazionali, come tra l’altro da Andrea Celli, Executive Board Member di Philips, ma anche da Fernanda Gellona, Direttore generale di Confindustria Dispositivi Medici.
La frammentazione della domanda può esporre, infatti, gli operatori di mercato a problemi di fair allocation dei prodotti. Se le multinazionali hanno sviluppato sistemi di monitoraggio molto puntuali dell’evoluzione dell’emergenza e del bisogno e cercano di rispondere alla frammentazione della domanda in modo etico, certamente questo non può essere dato per scontato. La disponibilità di assumersi il rischio di pagamenti anticipati da parte di alcuni governi o di accettare prezzi di acquisto alle stelle per l’evidente sbilanciamento domanda-offerta può portare a dirottare prodotti da un paese a un altro. Inoltre, la frammentazione della domanda in una situazione di estrema emergenza, dove c’è la disperata esigenza di acquistare ciò che è necessario per curare i pazienti e proteggere il personale sanitario, può determinare un’impennata della domanda percepita dalle aziende di produzione, non necessariamente rispondente al fabbisogno effettivo, come ha evidenziato Fernanda Gellona.
La rete delle centrali regionali ha lavorato attraverso un coordinamento informale sin dall’inizio dell’emergenza, come anche evidenziato nell’articolo “Coronavirus: dietro le quinte esiste una macchina pubblico-privato degli acquisti”. Tuttavia, è chiaro, che quando i magazzini sono vuoti e le terapie intensive allo stremo, ognuno vuole assicurare gli approvvigionamenti per il proprio territorio di riferimento e anche in questo caso sono emersi diversi approcci all’emergenza da parte delle Regioni.
In alcune, le aziende sanitarie, hanno mantenuto maggiori gradi di libertà per potere assicurare il soddisfacimento, attraverso i propri acquisti, dei fabbisogni lasciati scoperti dai contratti centralizzati. Questo ha anche consentito una maggiore flessibilità e agilità specialmente di quei centri di specializzazione che sono potuti arrivare prima sul mercato. In altre vi è stato il divieto di fare acquisti territoriali per assicurare un maggior coordinamento.
Di fronte all’emergenza i buyer pubblici si trovano costantemente a rispondere a una doppia tensione: garantire da un lato il rispetto dei principi pubblici degli acquisti, in primis la parità di trattamento, dall’altro di assicurare tempi rapidi per la selezione del fornitore. Le soluzioni a questo apparente trade-off adottate nei vari contesti sono diverse e richiederanno, terminata la fase acuta dell’emergenza, una riflessione approfondita per apprendere e condividere le lezioni apprese in modo da riorientare anche l’attività “ordinaria” in ottica strategica.
Se nei primi 45 giorni si è proceduto con logiche più che comprensibili di “trial & error”, ora vi è bisogno di una maggior pianificazione dell’emergenza e coordinamento tra territorio, regioni e livello centrale, come evidenziato Flavio Boraso, coordinatore sanitario dell’unità anticrisi di Regione Piemonte. Questo richiede una capacità capillare di raccolta del fabbisogno da parte delle regioni/centrali/soggetti aggregatori e una capacità di dialogo con il mercato per individuare le soluzioni più adeguate. Da questo punto di vista i processi di acquisto dovranno evolvere anche perché non sempre chi acquista conosce che cosa le aziende, anche come capofila di una rete nazionale/internazionale, possono mettere a disposizione del sistema sanitario. Una delle maggiori criticità rimane comunque l’individuazione di operatori credibili che siano in grado di assicurare la rapidità delle consegne e la continuità sanitaria anche tramite soluzioni integrate in luogo del singolo device, come ha raccomandato. Fornitori con produzioni in Europa, anche mediante i loro distributori o branch nazionali, possono certamente essere in grado di offrire risposte più credibili e affidabili, se non altro poiché il trasporto può avvenire via gomma, bypassando le difficoltà dei traffici aeroportuali o il congestionamento dei porti. La collaborazione intra-company è stata molto efficace per assicurare a Philips, per esempio, una rapida capacità di risposta alle esigenze nazionali, potendo contare su stabilimenti in Germania che hanno collaborato sin dall’inizio della crisi.
Il ruolo delle Regioni, grazie alla vicinanza al territorio, alle competenze delle unità di crisi e al supporto operativo delle centrali di committenza e scientifico delle università, è stato importante anche per l’attivazione di filiere di produzione, che possono beneficiare del supporto finanziario di Invitalia, a seguito del Dl Cura Italia. Questa è la strada auspicata dal presidente di Soresa, sia per far fronte all’emergenza, che si sposterà dalle terapie intensive alla presa in carico dei pazienti dimessi o dei contagiati in quarantena domestica, sia per ripensare in chiave strategica il procurement e il ruolo delle centrali regionali nel post-Covid. L’attivazione delle filiere regionali ha portato a risposte non immediate ma comunque molto rapide sia in Emilia-Romagna, per mascherine che ventilatori, sia in Veneto, dove Azienda Zero, la capogruppo regionale delle aziende sanitarie venete, ha attivato una filiera di dodici laboratori a servizio del gruppo LVMH per la produzione di Dpi, come ci ha riportato Sandra Zuzzi, direttore degli acquisti di Azienda Zero. In Regione Emilia un consorzio di Reggio Emilia produrrà 150.000 mascherine al giorno, destinate prevalentemente alla sanità, ma che saranno anche messe in vendita per consumo personale, attraverso un accordo con le farmacie della provincia, anche al fine di assicurare un prezzo equo. La riconversione della produzione per assicurare la fornitura di Dpi non è certamente semplice, visto che servono sia materiali adeguati sia le certificazioni, rispetto a cui esistono pochissimi laboratori in tutta Europa, tra cui uno è in provincia di Modena. L’azienda Fater, leader nella produzione di dispositivi per l’incontinenza, avendo a disposizione i necessari materiali e grazie all’expertise produttivo, come ci ha riportato Dario Esposito, responsabile del Public Affairs della divisione sanità, donerà 250.000 mascherine alla protezione civile e la successiva produzione sarà venduta alla stessa al costo.
La straordinaria capacità di risposta dell’impresa italiana, sia quella specializzata di settore sia quella non specializzata, sia dei gioielli di Stato, è qualche cosa che i nostri colleghi di Harvard si sono dimenticati di menzionare. E non solo rispetto alla mobilitazione filantropica, finanziaria e in natura, ma anche, per esempio, mostrando proattività ed etica nella definizione dei prezzi di offerta, diversamente a quanto sta accedendo negli Stati Uniti.
Se la donazione di singoli device da parte di filantropi è da scoraggiare, in quanto contribuisce a un’ulteriore frammentazione della domanda, è invece fondamentale il ruolo che possono giocare grandi imprese nazionali in grado di muoversi attraverso una rete istituzionale e di mercato, che in coordinamento con le autorità centrali, può assicurare non solo l’acquisto di ingenti quantitativi, ma anche il loro arrivo a destinazione. È questo il caso di Snam, che donerà complessivamente 625 ventilatori e 600mila mascherine e sta acquistando altro materiale sanitario per conto della struttura del commissario straordinario, con cui ha siglato una lettera di intenti. Altro attore che ha saputo, come da tradizione, muoversi in modo strategico è Croce Rossa, che già nel mese di gennaio aveva allestito il magazzino centrale con quanto sarebbe stato necessario per far fronte a una eventuale, poi confermata, emergenza, grazie alle relazioni solide con Croce Rossa Cina e ai canali umanitari internazionali, come ci ha riportato il Vicedirettore delle operazioni della Croce Rossa di Milano, Paolo Bosso. Questo conferma l’importanza di far parte di network internazionali istituzionali con forte expertise di gestione di emergenze sanitarie.
Non sempre, tuttavia, la relazione pubblico-privato ha funzionato. In alcuni casi, a causa dell’emergenza che ha portato a una maggior concentrazione sull’urgenza dei dispositivi vitali; in altri casi, per una carenza nel management pubblico delle competenze necessarie per immaginare progetti strategici di collaborazione. È questo il caso dei sistemi informativi, come ci ha riportato Luigi Giannazzo, direttore commerciale Italia di Dedalus, una delle aziende italiane leader internazionali di soluzioni digitali per la sanità. Le potenzialità offerte dalle piattaforme informatiche dei player più esperti sono innumerevoli e vanno ben oltre alle app per il tracciamento dei contatti e degli spostamenti. Si tratta di sistemi di gestione e condivisione clinica che consentono, oltre all’identificazione e tracciabilità del paziente tramite la app, anche la presa in carico e il monitoraggio dei pazienti, in collaborazione con i medici di medicina generale, con le Usca (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), sia di quelli in quarantena domestica sia di quelli dimessi. La soluzione Co4-Covid19 è stata adottata da regione Puglia e sarà lanciata nei prossimi giorni con il nome “Accasa”. Anche la Regione Sicilia sta valutando l’adozione della stessa piattaforma integrata ai servizi regionali di emergenza 112 118 e Protezione Civile. Questa soluzione sarà adottata anche in Albania, Australia Queensland e Sud Africa. Tuttavia, ci sono anche Regioni e Amministrazioni centrali che stanno ancora facendo acquisti frammentati sul fronte delle soluzioni digitali, per esempio limitandosi ad acquistare device o app, attraverso procedure di gara più tradizionali che mal si conciliano con l’acquisto di soluzioni innovative capaci di spostare il focus (e anche eventualmente del pagamento) dall’input al risultato. Logiche di acquisto di questo tipo seguono la strada della partnership pubblico-privata e potrebbero essere strutturate come outcome-based contract; soluzioni che hanno sempre fatto molta paura, perché più complesse e certamente non ordinarie e quindi sempre accantonate da un sistema in cui l’acquisto è stato gestito con logiche rigide, volte a tutelare la trasparenza e la mera economicità, preferendo la soluzione standard e ordinaria perché meno rischiosa. Questo atteggiamento ha frenato lo sviluppo, per esempio, di partnership pubblico-privato che in passato avrebbero potuto portare alla messa a punto di soluzioni di telemedicina, che oggi sarebbero state fondamentali nell’affrontare l’emergenza sia dei pazienti Covid sia di quelli cronici, come ricordato Celli di Philips, che da anni sta cercando di dialogare con le amministrazioni italiane per la sperimentazione di modelli di PPP in questo ambito. Anche perché soluzioni particolari e innovative, e non commodity, sono più difficili da acquistare in emergenza, come testimonia anche il caso della soluzione di Dedalus.
L’emergenza purtroppo continuerà e si sposterà, speriamo, sempre più dai reparti di cura intensiva, a lungo degenza e territorio, come ha evidenziato Gianni Bonelli, direttore generale dell’ASST dei Sette Laghi e questo necessariamente imporrà uno sforzo rilevante nell’individuazione delle soluzioni rapide ed adeguate a rispondere ai nuovi fabbisogni emergenti. Da questo punto di vista, sarà necessario pensare nuovamente alla conversione di posti letto o alla creazione di reti tra strutture sanitarie con diversa specializzazione, o a soluzioni di presa in carico dei pazienti o delle persone con fragilità, in forte raccordo con gli enti locali, sfruttando le potenzialità della digitalizzazione. Si apre quindi una fase delicata, dove il trial&error non sarà più ammissibile e questo impone un maggior dialogo e fiducia tra livello regionale e locale, PA e mercato.
Nonostante le difficoltà determinate sia dalla straordinarietà dell’evento sia dalla sua portata globale che ha creato uno shock negli approvvigionamenti; nonostante un sistema degli acquisti spostato sull’ordinario, avverso al rischio e più attento alla forma che alla sostanza, abbiamo assistito a una straordinaria capacità di trovare soluzioni da parte del management pubblico e dell’impresa. Le soluzioni che si sono dimostrate più efficaci, però, sono nate attraverso collaborazione, confronto, rete. Il post emergenza, che sarà una emergenza economica e sociale, dovrà essere gestito individuando policy e programmi attuativi volti a esaltare e a premiare la capacità di manager pubblici e privati di individuare soluzioni, ritornando a investire nel management pubblico, non tanto come nume tutelare della legalità ma come ideatore e attuatore di soluzioni economiche, efficienti, efficaci, eque.
Trovare risposte concrete ai fabbisogni richiede necessariamente l’individuazione dei soggetti o dei livelli istituzionali più vicini al problema e con maggiori competenze, senza retorica e arroganza.

* SDA Bocconi School of Management    (fonte: IlSole24Ore-Sanità 24)