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Appalti di servizi e principio di equivalenza

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi

Il Consiglio di Stato, con una recente sentenza (n. 2093 del 25 marzo 2020), si è occupato del principio di equivalenza di cui all’art. 68 D.Lgs. 50/2016 con particolare riferimento ad un appalto di servizi.

La gara aveva ad oggetto la prestazione di servizi informatici, ed in particolare di supporto e manutenzione di apparati di rete di un determinato produttore. Gli atti di gara specificavano il contenuto delle prestazioni richieste, facendo anche riferimento al servizio del produttore degli apparati di rete, dallo stesso erogato direttamente o tramite rivenditori.

La gara veniva aggiudicata ad un operatore economico che, pur non essendo un rivenditore del servizio del produttore, si impegnava ad erogare servizi equivalenti. Il rivenditore che aveva partecipato alla gara impugnava l’aggiudicazione lamentando che l’aggiudicatario avesse offerto un servizio diverso da quello richiesto – e cioè quello specifico del produttore – e che non avesse comunque fornito la prova, nell’ambito della propria offerta, dell’equivalenza. A tal fine invocava il principio statuito dalla Corte di Giustizia secondo cui: “quando le specifiche tecniche che figurano nei documenti dell’appalto fanno riferimento a un marchio, a un’origine o a una produzione specifica, l’ente aggiudicatore deve esigere che l’offerente fornisca, già nella sua offerta, la prova dell’equivalenza dei prodotti che propone rispetto a quelli definiti nelle citate specifiche tecniche” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 12 luglio 2018, nella causa C-14/17).

Il Consiglio di Stato rigettava il ricorso, confermando la sentenza di primo grado.

In primo luogo i Giudici hanno ribadito che il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, e la possibilità di ammettere, a seguito di valutazione della stazione appaltante, prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis. Tale principio trova ormai applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara (cfr. Cons. Stato, III, n. 6721/2018), ed è talmente rilevante da impedire interpretazioni della lex specialis di gara che possano restringere la partecipazione al solo produttore o a suoi rivenditori autorizzati.

Quanto alla dimostrazione dell’equivalenza, il Consiglio di Stato fornisce un’interpretazione ampia dei mezzi appropriati tramite i quali, ai sensi dell’art. 68, comma 7, D. Lgs. 50/2016, è possibile la relativa prova nell’ambito dell’offerta, in quanto “una volta richiamata l’attenzione della stazione sulla necessità di compiere le verifiche di cui all’art. 68, ciò che rileva è che queste siano rese possibili dalle modalità di presentazione dell’offerta”.

D’altra parte non va dimenticato che la suddetta disposizione rinvia ai mezzi di prova di cui all’articolo 86, che richiama l’Allegato VIII, Parte II, del Codice, il quale a sua volta individua una serie di mezzi, tra cui (lettera e), una verifica eseguita dall’amministrazione aggiudicatrice, che verte sulle capacità di produzione del fornitore e sulla capacità tecnica del prestatore di servizi e, se necessario, sugli strumenti di studio e di ricerca di cui egli dispone, nonché sulle misure adottate per garantire la qualità.

Conseguentemente, non è necessaria una prova “piena” dell’equivalenza nell’ambito dell’offerta, essendo sufficiente che gli elementi in essa indicati consentano alla stazione appaltante di compiere le relative verifiche. Ciò non contrasta con il principio affermato dalla citata sentenza della Corte di Giustizia in quanto, in tal caso, trattandosi di appalto di fornitura, ed in considerazione della tipologia di prodotti da fornire, soltanto la produzione in sede di offerta della scheda tecnica dei prodotti avrebbe consentito alla stazione appaltante lo svolgimento del giudizio di idoneità tecnica e di equivalenza rispetto alle specifiche offerte sin dal momento dell’offerta. Invece, nel caso esaminato, le verifiche ben potevano essere svolte successivamente, anche con la richiesta di chiarimenti all’offerente, in quanto si trattava di servizio da aggiudicarsi al prezzo più basso, con impossibilità di integrazioni dell’offerta, essendo sufficiente la rispondenza del servizio offerto ai requisiti minimi indicati che l’offerente si era impegnato a rispettare.

Altro passaggio di particolare interesse della sentenza è costituito dalla riaffermazione del principio, già stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7039 del 13 dicembre 2018, secondo cui “una volta che l’Amministrazione abbia proceduto in tal senso [n.d.r. alla verifica dell’equivalenza], la scelta tecnico discrezionale può essere inficiata soltanto qualora se ne dimostri l’erroneità”. Ciò significa che, una volta che l’Amministrazione ha dato ingresso alla verifica dell’equivalenza, il tema si sposta sulla valutazione eseguita e non sulla natura della prova fornita nell’ambito dell’offerta.

D’altra parte la possibilità di ammettere a seguito di valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, secondo il tradizionale insegnamento, “risponde al principio del favor partecipationis e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione (cfr. Cons Stato, III, 2 settembre 2013, n. 4364 e 13 settembre 2013, n. 4541, richiamate da Cons. Stato, III, 30 marzo 2018, n. 2013 e da Cons. Stato, III, 4 luglio 2019, n. 6212)”, sì da rendere detta valutazione insindacabile, se non in caso di manifesta irragionevolezza.

In ogni caso, è sufficiente una conformità di tipo funzionale degli elementi che connotano l’offerta tecnica alle specifiche tecniche, senza che doversi far luogo ad un criterio di inderogabile corrispondenza a dette specifiche (Cons. Stato, IV, 26 agosto 2016, n. 3701; cfr. nello stesso senso anche Cons. Stato, III, 11 settembre 2017, n. 4282 ed altre).

In conclusione la sentenza, particolarmente interessante in quanto relativa ad un servizio, ribadisce che il principio di equivalenza deve prevalere rispetto ad interpretazioni che portino a restrizioni della concorrenza, e sancisce che la tipologia di prova dell’equivalenza nell’ambito dell’offerta non può che essere adattata all’oggetto dell’appalto in conformità con il principio di appropriatezza dei relativi mezzi.

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