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Politica industriale e procurement di beni sanitari all’epoca del Coronavirus

Mancano respiratori salva vita e mascherine salva contagio.  L’emergenza coronavirus ha messo a nudo le criticità e le contraddizioni della globalizzazione e del rapporto stato-mercato.

E’ cominciata quindi una  tardiva ma salutare riflessione sugli effetti della globalizzazione industriale e commerciale, sul ruolo dello stato nell’economia, sulle politiche (o non-politiche) industriali. E, a cascata, sul procurement pubblico.

Appunti per il cambiamento

All’epoca del coronavirus saltano ideologie e schemi. E’ crollato il feticcio della “libera circolazione delle merci” (e delle persone). Dal liberismo economico siamo passati all’autarchia produttiva.  Lo stato incentiva la riconversione industriale e diventa co-produttore di respiratori e mascherine.  Un impensabile sino a ieri revival della “pianificazione”  di sovietica memoria.

Ma tant’è.  Alla prova del coronavirus, non funziona un liberismo senza vincoli che lasci all’autoregolamentazione spontanea del mercato la decisione di che cosa produrre, quando  e dove.  Alla prova dell’economia globalizzata  non  funziona nemmeno un assetto  in cui il “pubblico” si limiti a svolgere una funzione “regolatoria”, e si trovi però a dove interviene per rimediare (a carico della collettività) agli effetti  distorsivi che si determinano (vedi crisi finanziaria del 2008).

Restringendo il campo ai fattori di produzione per la sanità, emergono, nel dibattito che si va formando,  alcuni punti di attacco.

  • Determinati dispositivi medici a valenza “salvavita” potrebbero venire  assoggettati ad un regime regolatorio e di commercializzazione simile a quello dei farmaci.  Con una contrattazione di prezzo in convenzione, come per il farmaco,  sul “valore” del prodotto, in termini di compliance e innovatività.
  • In generale, sottrarre beni strategici per la salute alla competizione esasperata sul prezzo, attraverso procedure di acquisto che valorizzino la qualità del prodotto e l’affidabilità del fornitore. Tra le cause dell’assenza di un’industria nazionale per determinate produzioni vi è infatti anche una spirale ribassista dei prezzi, a volte  a discapito della qualità,   che rende non profittevole la produzione in ambito nazionale . Ciò anche a causa degli acquisti centralizzati, ormai preponderanti, appiattiti su  una mera logica di spending review. Contratti pluriennali di grandi volumi,  poi,  riducono drasticamente le occasioni di fornitura, determinando l’assottigliamento dell’offerta. L’esigenza delle imprese di comprimere i costi per mantenere competitività porta a delocalizzare parzialmente o totalmente i processi produttivi e a impostare una produzione on demand, per ridurre gli oneri finanziari. Da qui anche l’impossibilità di far fronte a una massiccia domanda non prevista.
  • Considerare la domanda pubblica di beni e servizi esercitata sui mercati non come spesa improduttiva ma come  come strumento strategico di politica industriale.  In tema di politica industriale  lo stato dovrebbe diventare “interventista”, stabilendo la direzione del cambiamento, finanziando ricerca e sviluppo, stimolando e supportando quell’innovazione che qualifica le produzioni e crea competitività per le imprese.
  • “Accompagnare” e orientare lo sviluppo del mercato interno secondo i bisogni del sistema pubblico,  con relazioni stabili pubblico-priv ato  impostate per il medio-lungo periodo.
  • Utilizzare, in materia di ricerca e sviluppo, con condivisione di rischi e benefici e apporto congiunto di competenze,  anche strumenti di rapporto pubblico-privato  già previsti dall’ordinamento, ma poco o nulla praticati, quali  il partenariato per l’innovazione e  l’appalto pre-commerciale. Stimolare il mercato nella ricercare di soluzioni  innovative non solo sotto il profilo tecnico, ma anche di contrattualistica e finanza collegata, utilizzando anche il “dialogo competitivo”, pure previsto dalla normativa europea.
  • Stimolare una politica europea comune di domanda e base produttiva. Il mercato nazionale dei dispositivi medici è rappresentato per l’80% da piccole e medie imprese, non in grado di competere con le grandi aziende multinazionali, se  non in settori di nicchia, non caratterizzati da grandi volumi.  La massa critica necessaria per competere e  pesare sui mercati globali, dal lato dell’offerta e della domanda, in termini di investimenti, ricerca, potere contrattuale,  può essere raggiunta solo su scala europea.  Un timido esempio imposto dall’emergenza riguarda le azioni messe in campo di recente per acquisizioni comuni con i paesi dell’UE di dispositivi di protezione.
  • Qualificare il procurement pubblico, rendendolo anche strumento di politica industriale, attraverso azioni diverse:
  • Relativamente ai volumi di acquisto, anni di sottofinanziamento reale del SSN hanno compresso anche la domanda di beni e servizi, riducendo, per conseguenza,  i livelli prestazionali del SSN. Si impone quindi, per il mantenimento dell’universalità e qualità dell’assistenza, anche a fronte di bisogni crescenti,  un’inversione di tendenza nel finanziamento del sistema e nei volumi di acquisto  dei fattori di produzione
  • Resettare il sistema multilivello degli acquisti e i meccanismi di raccordo orizzontale e verticale sui piani istituzionale e organizzativo tra i diversi attori, in ottica di rete non burocratica,  con piani predefiniti di integrazione spinta in caso di emergenza di fabbisogno.
  • Qualificare la domanda attraverso un approccio all’acquisto modulato sul valore  (value for money) complessivamente immesso nel processo produttivo aziendale, considerando per i beni durevoli  il ciclo di vita del prodotto e  definendo, se del caso, tra i livelli di servizio necessari o a base premiale la capacità  produttiva  disponibile per picchi imprevedibili di domanda
  • Professionalizzare i buyer pubblici su competenze evolute non solo di ambito giuridico-amministrativo, ma anche  di carattere strategico-manageriale. In particolare a livello delle grandi centrali di acquisto.
  • Semplificare e velocizzare i processi decisionali e amministrativi in materia di acquisto, anche con interventi normativi. Stimolare l’innovatività  procedimentale, tutelando i buyer rispetto al rischio professionale
  • Misurare le performances dei soggetti aggregatori sulla qualificazione della domanda, non sui volumi di transato o sulla riduzione dei prezzi ottenuta
  • Monitorare adeguatamente e misurare le performances dei fornitori nella fase esecutiva dei contratti.
  • Costruire e alimentare banche dati sull’affidabilità dei fornitori, da utilizzare in fase di prequalifica e in gara.  Attuare il rating di impresa previsto dal Codice dei contratti.