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Ancora sul contratto continuativo di cooperazione e sul subappalto negli affidamenti pubblici

a cura dell’avvocato Leonardo De Vecchi.

Il Consiglio di Stato (Sez. III, n. 5068 del 18 luglio 2019) è tornato a pronunciarsi sui “contratti continuativi di cooperazione” e lo ha fatto, a sorpresa, in maniera decisamente estensiva, prendendo apertamente le distanze dal preesistente orientamento restrittivo.

Occorre dunque ripercorrere brevemente la genesi di tali contratti ed il loro inquadramento, da sempre frutto di forti incertezze, oggi accresciute dall’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali difformi.

Con il Decreto Correttivo (D. Lgs. 56/2017, in vigore dal 20 maggio 2017) è stato introdotto al comma 3 dell’art. 105 del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 50/2106), che si occupa delle deroghe al regime del subappalto pubblico, la lettera “c-bis”.

Tale previsione ha espressamente sancito che, nell’ambito degli appalti pubblici, non integra un subappalto l’affidamento di prestazioni a terzi disposto tramite “contratti continuativi” (definiti genericamente “di cooperazione, servizio e/o fornitura”) sottoscritti in epoca anteriore all’indizione della procedura di gara.

L’introduzione di una tale eccezione agli stringenti limiti che storicamente riguardano il subappalto pubblico (procedurali e quantitativi), unitamente al fatto che la norma è stata inserita nel testo di legge all’ultimo momento (dunque senza alcun riferimento nella Relazione governativa di accompagnamento né nei pareri resi dal Consiglio di Stato e dalla Conferenza Unificata), ha generato subito forti perplessità, sfociate in un indirizzo decisamente restrittivo da parte dei Giudici Amministrativi.

Ci si riferisce, in primo luogo, ad una sentenza del TAR Sicilia – Palermo, che ha affermato che tali contratti possono riguardare solo le “attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto” (Sez. III, n. 2583 del 6 dicembre 2018), e, in secondo luogo, ad una sentenza del Consiglio di Stato, secondo cui le prestazioni di tale tipologia di contratti devono essere necessariamente “rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo, come avviene nel caso di subappalto” (Sez. V, n. 7256 del 27 dicembre 2018).

Tali orientamenti restrittivi, in via di consolidamento (TAR Abruzzo – Pescata, n. 144 del 6 giugno 2019), sono stati apertamente criticati dalla sentenza del Consiglio di Stato qui in commento, la quale, in riforma di una sentenza del TAR Emilia Romagna, ha affermato che le prestazioni secondarie e/o sussidiarie ovvero quello non direttamente rivolte alla stazione appaltante sarebbero comunque “legittimamente acquistabili ab externo dal soggetto affidatario rivolgendosi ai propri fornitori, indipendentemente dall’epoca di stipula dei relativi contratti e senza essere tenuto al deposito degli stessi presso la stazione appaltante”. Il Consiglio di Stato ha infatti rimarcato come l’istituto dei contratti continuativi di cooperazione “si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto” e, dunque, “è ancorato ai medesimi presupporti applicativi”, sottolineando che il fatto che la prestazione debba essere resa in favore dei soggetti affidatari “non assume valenza restrittiva”, non dovendosi interpretarlo quale vantaggio “materiale”, ma solo quale “direzione giuridica della prestazione”.

Secondo tale orientamento, dunque, i contratti continuativi di cooperazione non sarebbero una “specie” distinta, con caratteristiche peculiari e diverse rispetto ai contratti di subappalto, ma una loro “sottospecie”, data dal solo fatto di essere preesistenti e continuativi.

L’esistenza di due orientamenti di senso contrario in relazione ai contratti continuativi di cooperazione si innesta nell’attuale dibattito sul subappalto pubblico, da tempo al centro dell’attenzione e alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra le opposte esigenze: da un lato evitare il rischio di infiltrazioni criminali nel mercato delle commesse pubbliche, dall’altro lato incentivare la concorrenza e di coinvolgere le piccole medie imprese nell’esecuzione di tali commesse.

Al riguardo giova ricordare che, dopo che la Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia proprio con riferimento agli ostacoli imposti dalla disciplina italiana al subappalto pubblico, che non sarebbero conformi al quadro giuridico comunitario, il Legislatore ha messo mano alla normativa disponendo forti aperture attraverso il Decreto “Sblocca Cantieri” (D.L. 32/2019, che, in particolare, ha alzato dal 30% al 50% la quota delle attività subappaltabili ed eliminato l’obbligo di indicare in sede di offerta la terna dei subappaltatori), salvo fare, in fase di conversione del medesimo Decreto (L. 55/2019), una mezza marcia indietro (in particolare rendendo temporanee, fino al 31 dicembre 2020, le modifiche più salienti e riducendo al 40% la predetta quota).

E’ dunque lecito attendersi, nel breve e medio periodo, ulteriori novità in tema di subappalto pubblico e, in questa situazione, il fronteggiarsi di opposti orientamenti rispetto ai contratti continuativi di cooperazione contribuirà a lasciare gli operatori di settore, imprese e stazioni appaltanti, in una situazione di persistente incertezza.

 

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