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Codice Appalti: violate le direttive europee. L’Italia messa in mora.

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.

Tutti i contenuti e il testo della lettera di messa in mora firmata dalla commissaria al Mercato interno Elżbieta Bieńkowska

Dieci contestazioni relative al codice appalti, una al Testo unico dell’edilizia in relazione alla norma che consente di evitare le gare per le opere di urbanizzazione sottosoglia Ue. Sono undici gli articoli di legge che secondo Bruxelles violano le direttive europee sugli appalti e devono essere modificati.

La richiesta è contenuta nella lettera di apertura della procedura di infrazione inviata al Governo italiano. La lettura del documento conferma che al centro delle contestazioni ci sono due grandi classici del rapporto tormentato tra Roma e Bruxelles sugli appalti: vale a dire le regole sui subaffidamenti e l’avvalimento. Il punto è che i Commissari europei non va giù che in Italia si tenti di limitare l’applicazione di questi due istituti, sia pure con il fine nobile di combattere le infiltrazioni criminali nel florido mercato delle commesse pubbliche. Ci sono poi alcune novità. Come quelle relative alla bocciatura di alcuni passaggi della disciplina delle cause di esclusione dalle gare che vietano alle Pa di estrarre il cartellino rosso in assenza di una decisione del giudice. E poi il no all’esclusione automatica delle offerte anomale e al calcolo separato del valore dei singoli lotti. Su tutto campeggia la filosofia di fondo che ricompare spesso nei provvedimenti di matrice europea su questi temi: alle stazioni appaltanti vanno garantiti ampi margini di libertà decisionale. Un “attestato di stima” che implica anche grandi responsabilità e che per questo la stragrande maggioranza delle circa 35mila piccole e piccolissime stazioni appaltanti italiani ha spesso fatto capire di non gradire affatto. Il nodo del subappalto Un quarto delle venti pagine della lettera è dedicato a “smontare” la disciplina italiana dei subappalti. Come largamente prevedibile, Bruxelles boccia innanzitutto la norma che impone il tetto del 30% ai subaffidamenti (articolo 105, commi 2 e 5) perché «nelle direttive Ue non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato». Su questo punto va ricordato che pende già un rinvio alla Corte di Giustizia europea, promosso esattamente un anno fa dal Tar della Lombardia. Con l’esito del tutto probabile che la decisione dei giudici europei, attesa entro l’anno, anticipi i tempi spesso lunghissimi della procedure di infrazione. Il limite quantitativo è però solo una delle bocciature alla trasposizione italiana delle regole Ue sui subappalti. Nella lettera si censura anche l’obbligo di nominare sempre una terna di subappaltatori, «anche quando all’offerente ne occorrano meno di tre». Secondo Bruxelles l’obbligo di nominare la terna non va bene perché in Italia viene applicato anche quando in realtà le imprese «non intendono far ricorso a nessun subappaltatore». Interpretazione che, come analizziamo in questo approfondimento, suscita qualche perplessità. A fare ancora più rumore, nel contesto italiano, dovrebbe essere il passaggio della lettera che censura il divieto di “subappalto a cascata”, vale a dire l’impossibilità per un subaffidatario di riassegnare a sua volta i lavori a un’altra impresa (articolo 105, comma 19). Bruxelles obietta che le direttive e i principi europei di «proporzionalità e parità di trattamento» impediscono di «imporre ai subappaltatori un divieto generale e universale di fare a loro volta ricorso al subappalto». Sarà. Viene però da chiedersi che senso avrebbe per il titolare di un appalto subaffidare dei lavori a un’impresa che deve a sua volta servirsi di un’altra ditta. Con tutte le implicazioni che – anche tacendo del rischio infiltrazioni – una situazione simile si porta comunque dietro in termini di responsabilità solidale e controllo della commessa (sia per l’impresa che per la stazione appaltante). Stop ai paletti sull’avvalimento. Come per il subappalto la Commissione boccia anche il divieto di avvalimento a cascata (articolo 89, comma 6). Nella lettera si legge che «le direttive non consentono alle stazioni appaltanti di opporsi, in modo generale, a che gli offerenti facciano affidamento sulle capacità di altri soggetti». No anche al divieto di avvalimento sulle opere superspecialistiche. Motivi di esclusioni dalle gare. Due i punti contestati: a) Esclusione per mancato pagamento di imposte o contributi, più poteri alla Pa. Giudicato non conforme l’articolo 80 comma 4 del Codice, che consente l’esclusione da una gara a un soggetto che ha commesso «violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali» (come previsto dalla direttiva Ue), ma solo in caso di «violazioni definitivamente accertate in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione». Secondo la Commissione questo è «non conforme» al diritto Ue: si dovrebbe cioè consentire alle stazioni appaltanti di escludere previo accertamento delle violazioni autonomamente condotto e dimostrato. b) Illeciti professionali, esclusione anche se c’è stato ricorso. Stessa logica nella seconda contestazione della Commissione. L’esclusione dell’operatore economico colpevole di gravi illeciti professionali (tra cui il caso se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico), deve essere sempre possibile da parte della stazione appaltante. Il Codice italiano, invece, all’articolo 80 comma 5, ammette l’esclusione solo se la risoluzione anticipata del precedente contratto non è stata contestata in giudizio dall’impresa. In sostanza: basta un ricorso per impedire alla Pa di escludere. Questo secondo la Ue è non conforme. perché «preclude alle stazioni appaltanti ogni valutazione circa l’affidabilità di tali offerenti sino a quando il giudizio non abbia confermato la risoluzione anticipata» Sì ai “collegamenti” in gara. Destinata a far discutere è anche l’obiezione che Bruxelles muove alle nome mirate a limitare le possibilità di collegamenti in gara. In particolare, la lettera censura le norme che: 1) vietano a più di un’impresa di avvalersi dei requisiti di un’altra azienda 2) impediscono la partecipazione alla gara di un’impresa indicata come ausiliaria (dunque portatore di requisiti) o subappaltatrice di un’altra azienda in corsa nella stessa procedura. «La Commissione è dell’avviso che i divieti incondizionati di cui ai precedenti punti siano incompatibili con il principio di proporzionalità – si legge nella lettera – in quanto essi non lasciano agli operatori economici alcuna possibilità di dimostrare che il fatto di aver partecipato alla stessa procedura di gara, o di essere collegati a partecipanti nella stessa procedura di gara, non ha influito sul loro comportamento nell’ambito di tale procedura di gara né incide sulla loro capacità di rispettare gli obblighi contrattuali». Anche qui impossibile eliminare i dubbi legati al fatto che due imprese in qualche modo collegate e partecipanti alla stessa gara non si scambino informazioni sui contenuti dell’offerta, con tutte le conseguenze del caso. Niente esclusione automatica delle offerte anomale. Da Bruxelles arriva anche la bocciatura di una delle misure che imprese e stazioni appaltanti chiedono invece di valorizzare per accelerare le procedure di gara. Stiamo parlando dell’esclusione automatica delle offerte anomale (articolo 97,comma 8) che il codice permette peraltro solo nel caso di appalti aggiudicati al massimo ribasso, di importo inferiore alle soglie Ue (in realtà poi 2 milioni perché è solo sotto questa soglia che l’Italia ammette il massimo ribasso) e con più di 10 offerte. Calcolo valore appalti (divisi in lotti). La Commissione ritiene non conformi alle direttive europee due norme italiane in materia di “calcolo del valore dell’appalto”, ai fini dell’applicazione o meno delle norme europee (obbligatorie appunto “sopra-soglia”). In un caso nel mirino c’è il Codice appalti, nel secondo – la vecchia questione delle opere di urbanizzazione – una norma del Testo Unico Edilizia recepita anche nel Dlgs 50/2016. a) Calcolo valore appalti, divisione in lotti. Le direttive europee del 2014 stabiliscono che quando per un’opera o un servizio può essere aggiudicato per lotti separati, ai fini del calcolo della soglia Ue «è computato il valore stimato complessivo della totalità di tali lotti». Dunque, «Quando il valore aggregato dei lotti è pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 4, la presente direttiva si applica all’aggiudicazione di ciascun lotto». Secondo la Commissione il Codice appalti, articolo 35, commi 9 e 10, viola questo principio, perché ne limita l’applicazione ai soli casi di «appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti separati», e non sempre (anche in caso di gare in tempi diversi) come imposto dalla direttiva Ue. b) Opere di urbanizzazione. Si tratta come noto di una vecchia disputa, che risale agli anni novanta. Già allora la Corte di Giustizia Ue stabilì che le opere di urbanizzazione rientrano nel campo di applicazione delle direttive UE sugli appalti pubblici e che, di conseguenza, il valore stimato da prendere in considerazione per verificare se la soglia UE sia raggiunta può essere determinato solo in relazione al valore globale delle varie opere, sommando i valori dei differenti lotti. Il Testo Unico edilizia 2001, però, e poi il Codice appalti 2006 e ora il Dlgs 50/2016 (art. 36 comma 4). L’articolo 16-comma 2-bis del Dpr 380/2001 ammette «l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria», di importo inferiore alla soglia UE, a carico del titolare del permesso di costruire e in questo caso «non trova applicazione il codice dei contratti pubblici». La norma è ambigua secondo la Commissione Ue: sarebbe legittima se interpretata nel senso che in caso di valore cumulato degli appalti sopra la soglia Ue, si devono fare le gare. Sbagliata sarebbe invece l’interpretazione per cui il Codice non si applica mai, «non soltanto se il valore cumulato dei lotti è inferiore alla soglia UE, ma anche se il valore di ciascun singolo lotto, considerato in modo isolato rispetto agli altri lotti, è inferiore alla soglia UE. Tale interpretazione è incompatibile con la direttiva». Ebbene, un’indagine del 2015 della Commissione, poi confermata nel 2017, rileva che «le Autorità italiane seguono l’interpretazione non conforme dell’articolo 16, comma 2-bis». Non solo, questa “non conforme interpretazione” – si legge nelle lettera della commissaria Elżbieta Bieńkowska – è avallata anche dall’Anac nella delibera 2016 del 1° marzo 2018. La commissaria ammette che il governo italiano, in una nota del 17 gennaio 2019, ha fatto sapere che il Consiglio di Stato, con parere del 24 dicembre 2018, avalla l’interpretazione conforme dell’articolo 16 comma 2-bis, come chiede la Commissione, e l’Anac «provvederà a modificare la sua delibera 206/2018». Ma «tali recenti sviluppi non possono essere considerati risolutivi». In ogni caso l’Italia ha già detto di voler seguire le indicazioni della Commissione.