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Affidamento in house, il Tar Liguria solleva la questione di legittimità costituzionale

Il Tar Liguria, nell’ordinanza n. 886 del 15 novembre 2018, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 (nuovo codice dei contratti pubblici), nella parte in cui esso impone all’amministrazione, che voglia avvalersi dell’affidamento in house per servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, di esternare le ragioni della propria scelta, motivando sulle ragioni del mancato ricorso al mercato.

Nell’ordinanza viene riportato che «ai sensi dell’art. 192 comma 2 del D. Lgs. 18.4.2016, n. 50, “ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

Il collegio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 192 comma 2 del D. Lgs. 18.4.2016, n. 50, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti diano conto nella motivazione del provvedimento di affidamento in house di un contratto “delle ragioni del mancato ricorso al mercato”, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, in relazione all’art. 1 lettere a) ed eee) della legge 28.1.2016, n. 11 (recante deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014).

I giudici evidenziano come il 5° considerando della direttiva n. 2014/24/UE chiarisce che “è opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”.

«Si tratta di una specifica applicazione del principio di autorganizzazione o di libera amministrazione delle autorità pubbliche, più efficacemente scolpito dall’art. 2 comma 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26.2.2014, n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, a mente del quale “la presente direttiva riconosce il principio per cui le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici. Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni” (cfr., in merito, anche CGCE, 11 gennaio 2005, C- 26/03, Stadt Halle, punto 48: “un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilità di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi”).

Coerentemente con il citato principio di autorganizzazione o di libera amministrazione delle autorità pubbliche riconosciuto nel 5° considerando, l’art. 12 della direttiva n. 2014/24/UE esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione, cioè dalla necessità di una previa procedura ad evidenza pubblica, gli appalti aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, quando siano soddisfatte le tre condizioni proprie dell’in house (a. l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b. oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; c. nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata)».

Tale essendo il quadro normativo di riferimento, ritiene il collegio che la disposizione di cui all’art. 192 comma 2 del D. Lgs. n. 50/2016, nell’imporre un onere motivazionale supplementare relativamente alle “ragioni del mancato ricorso al mercato” abbia palesemente ecceduto rispetto ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella legge di delega 28.1.2016, n. 11 (recante deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014), in violazione dell’art. 76 della Costituzione.

Il testo conclude che «La disposizione sospettata di incostituzionalità avrebbe innanzitutto violato il criterio direttivo sub a) – nonché l’articolo 14 commi 24-ter e 24-quater della legge 28 novembre 2005, n. 246, cui fa espresso rinvio – in quanto avrebbe introdotto un onere amministrativo di motivazione – circa le ragioni del mancato ricorso al mercato – maggiore e più gravoso di quelli strettamente necessari per l’attuazione della direttiva n. 2014/24/UE, la quale per un verso ammette senz’altro gli affidamenti in house a patto che ricorrano le tre condizioni di cui all’art. 12, per altro verso ha escluso i relativi contratti dal proprio campo di applicazione, e dunque dall’obbligo di esperire preventivamente una procedura di gara ad evidenza pubblica (cioè, il ricorso al mercato). Donde la violazione del divieto di gold plating, che costituiva uno specifico criterio di delega legislativa (lett. a)».

Documenti correlati: Tar Liguria, sez. II, ordinanza n. 886 del 15 novembre 2018