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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Acta, non verba

a cura del professor Gustavo Piga.

All’appropriata locuzione “Verba volant, scripta manent” del Ministro Savona per descrivere lo stato delle relazioni tra Unione europea e Italia è utile aggiungerne un’altra: “acta, non verba”!

Necessità di azione che è stata richiamata nell’importante discorso presso l’Università di Lund del Presidente della Repubblica Mattarella, anch’esso meritoriamente sottolineato dal Ministro degli Affari Europei, quando ha affermato come “uno dei fondatori, lo stesso Jean Monnet, teorizzò come il progredire della costruzione europea fosse legato proprio alla sua capacità di superare le crisi”. Una crisi che in tal senso, al contrario di quanto avvenne negli Stati Uniti negli anni 30, in Europa non è mai riuscita a generare quella unità d’intenti che invece permise ai primi di cementare, grazie alla solidarietà della politica fiscale di Franklin Delano Roosevelt, una nazione finalmente veramente federale, gli Stati “veramente” Uniti d’America.

Un’Europa incapace di agire, le cui raccomandazioni, per esempio all’Italia, spesso pedissequamente seguite dai nostri precedenti Governi, hanno generato una stagnazione più lunga e intensa addirittura di quella della Grande Depressione del secolo scorso con annessa una instabilità dei conti pubblici che ha portato il rapporto debito PIL a salire di 20 punti percentuali in pochi anni malgrado l’esistenza di consistenti avanzi primari, la prova della c.d. assurda austerità in tempi di difficoltà economiche.

Chi ha agito, meritoriamente per chi scrive, per generare le condizioni necessarie per una ripartenza italiana e dunque europea è stato questo Governo, facendo in sostanza fallire l’accordo sciagurato del Fiscal Compact e della sua convergenza senza se e senza ma al pareggio di bilancio nel giro di un triennio, che tanta parte ha avuto nell’innestare le dinamiche di cui sopra: ”acta, non verba”, che hanno liberato circa 70 miliardi di risorse rispetto a quanto contenuto nel DEF firmato da Gentiloni e Padoan.

Ma se è vero che questa scossa era necessaria, essa non può assolutamente essere considerata sufficiente. Sempre da parte italica ci si sarebbe aspettati che a fronte di questo brusco e utile strappo si fossero concessi all’Europa strumenti utili per un dialogo nei fatti, al di là delle parole e degli scritti. Non era infatti pensabile che, a fronte di un noto e in parte condivisibile stereotipo prevalente in Europa sulla qualità della nostra spesa pubblica, al fine di rilanciare lo sviluppo non si fosse agito per – a parità di nuovi saldi di bilancio – proporne un utilizzo finalizzato alla certezza della sostenibilità dei conti pubblici via crescita economica. Il che implicava inviare all’Europa una manovra con il deficit al 2,4% del PIL, certamente, ma in cui le risorse venivano dedicate principalmente al rilancio dei martoriati (dai precedenti Governi) investimenti pubblici e ad una contemporanea spending review che non consistesse tanto nei soliti e negativi tagli lineari a casaccio ma nell’identificazione degli sprechi e nella loro cura via aumento delle competenze, in particolare delle stazioni appaltanti in sinergia con quel rilancio degli investimenti di cui dovevano essere le prime responsabili.

Sono passati 6 mesi di Governo gialloverde e quello che abbiamo visto in termine di azione è solo la prima parte, il “des”, il deficit al 2,4%, ma non il “do”: di spending review nulla sappiamo e di investimenti pubblici addizionali nulla abbiamo visto. E a nulla serve dire che il reddito di cittadinanza ha preminenza sugli investimenti pubblici perché si devono combattere disoccupazione e povertà: gli investimenti pubblici nelle zone più in difficoltà proprio quello avrebbero fatto, e ben meglio del reddito di cittadinanza perché si legano indissolubilmente e credibilmente con quanto di più nobile e degno vi sia nella vita delle persone, il lavoro.

È tempo che anche l’Italia porti all’Unione Europea quanto necessario per avviare quel dialogo che rimetta al centro del futuro delle prossime generazioni un progetto di vita in comune in nome degli ideali della libertà nella diversità che come, sosteneva Monnet, fanno grande una Unione di Stati.